Cultura e Spettacoli
Lunedì 07 Settembre 2009
Mario Calabresi a ParoLario:
"Troppe polemiche sui nostri giornali"
Il direttore de "La Stampa" ospite martedì 8 settembre
in piazza Cavour con Giorgio Gandola, direttore de "La Provincia"
Quando ha deciso di fare il giornalista?
Mi piacciono i giornali da sempre. Da bambino cercavo di guardarli ma mia madre me li nascondeva. Per la nostra vicenda familiare, non voleva che leggessi la cronaca nera. Quando ci fu la strage di Bologna, avevo 10 anni, eravamo al mare, mamma comprò diversi quotidiani per avere più notizie possibili. Vidi la parola strage e mi venne voglia di saperne di più, ma non mi lasciò leggere. Quando venne l’ora di andare in spiaggia, mi finsi malato, rimasi in camera. Riuscii a leggere tutti i giornali. Al ginnasio ero l’unico che arrivava a scuola con due quotidiani, "Corriere" e "Repubblica". La svolta l’ebbi durante il primo processo per l’omicidio di mio padre. Mi ero iscritto a Legge pensando di fare l’avvocato o il magistrato, ma il processo mi cambiò radicalmente; tale era stata l’ansia che capii che non avrei potuto passare la mia vita in un palazzo di giustizia. Mi chiedevo se, con la mia storia, sarei stato un giudice sereno. Durante il processo mi distraevo guardando i giornalisti, mi incuriosivano. Mi iscrissi a Storia pensando di fare il giornalista.
Suo padre è stato vittima anche di uno sciacallaggio costruito da alcuni giornali. Da giornalista, quali sono i codici da rispettare?
Dietro ogni storia che raccontiamo c’è un uomo. Dobbiamo stare attenti a non vendere una persona per un titolo. Nei giornali si vede solo ciò che si pubblica. Molte volte mi capita di frenare una vicenda dicendo: "Attenzione, facciamo un controllo in più". Oggi ci si interroga se era giusto raccontare il privato di Berlusconi. Penso che andasse raccontato, con rispetto, ma che andasse raccontato. Su La Stampa non abbiamo scritto storie di camere da letto, ma di quanto accadeva a partire dalla richiesta di divorzio della moglie Veronica. Credo che i lettori e gli elettori abbiano il diritto di conoscere il privato dei personaggi pubblici. Negli Stati Uniti si è saputo delle amanti di Clinton, in Francia del divorzio di Sarkozy da Cecilia. Ma se si racconta la storia di due vicini di casa che litigano occorre attenzione. Un articolo può distruggere una vita.
Come sono cambiati i quotidiani rispetto a quelli che ha letto da adolescente per ricostruire la vicenda del Commissario Calabresi?
Negli anni 70 c’era conformismo. Centinaia di articoli dicevano che mio padre era un uomo della Cia, addestrato negli Stati Uniti; nessun giornalista si è preoccupato di verificarlo. Se l’avessero fatto avrebbero scoperto che non parlava una parola d’inglese, gli unici posti all’estero in cui era stato erano la Svizzera e, in viaggio di nozze, la Spagna. Oggi il giornalismo è cresciuto, ma una parte si sta ammalando di faziosità e anziché raccontare fatti dando chiavi di lettura, preferisce fare campagne ideologiche. Si preferisce la polemica alla comprensione.
È la passione per la verità che l’ha portata a scrivere?
Ho scritto "Spingendo la notte più in là. Storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo" con la curiosità di capire cos’era successo e la rabbia di vedere che la storia veniva raccontata da una parte sola, quella degli ex terroristi, dimenticando il punto di vista delle vittime.
Si rimprovera alla vittime di "non voler dimenticare". Ma di quegli anni cosa abbiamo dimenticato?
L’Italia aveva dimenticato troppo. Oggi, un po’ per il mio libro, un po’ perché il Presidente Napolitano e le istituzioni si sono dati da fare, il Parlamento ha istituito il Giorno della Memoria delle Vittime del Terrorismo (9 maggio). Non dimenticare è un valore, non una colpa.
Il suo ultimo libro «La fortuna non esiste» (Mondadori) nasce dall’aver seguito la campagna elettorale di Obama. Che America ha scoperto?
Ho viaggiato due anni per gli Stati Uniti, visitando 36 stati. Non ho seguito solo le tappe della campagna, sono andato a vedere la crisi delle case, chi ha i pignoramenti perché non può pagare il mutuo e deve dormire in macchina. Cercavo storie della crisi americana e invece ho scoperto la grande energia di persone che anche singolarmente cercano di ripartire, di reinventarsi. Ho capito perché hanno scelto Obama, un giovane senza troppa esperienza. Avevano voglia di cambiare completamente.
Che differenza ha trovato fra il giornalismo americano e italiano?
Noi curiamo più la scrittura. Gli articoli americani, salvo quelli dei grandi settimanali, sono asciutti e freddi, ma approfonditi, c’è un controllo spasmodico di ogni dato. Da noi non accade.
Vuole ricordare un incontro?
Gli Stati Uniti accolgono ogni anno più rifugiati di tutti i paesi del mondo messi assieme. Ho passato molte notti nell’aeroporto di Newark, ho visto arrivare gente dalle persecuzioni, dalle guerre, dai campi profughi. Ho visto l’emozione di chi inizia una nuova vita.
Grazia Lissi
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