Stefano Pistolini a Parolario: <Obama, presidente cool>
b.faverio
“Capita una, due volte nella vita di assistere a un’impresa storica” ci dice subito Stefano Pistolini parlando del suo libro dedicato a Barack Obama, primo Presidente nero degli Stati Uniti. Del resto, se è vero come è vero che la vittoria si giocava sul versante delle primarie democratiche, come è stato chiaro fin dall’inizio, si trattava di scegliere fra la prima donna ovvero il primo presidente di colore, cioè fra due alternative di altissimo impatto simbolico. Difficile non vedere il senso civico degli americani: dopo due mandati di Bush figlio, un colpo di coda di questa forza! Ma andiamo con ordine, incontrando l’autore di Mister Cool (Marsilio) - ospite di Parolario con il direttore de La Provincia, Giorgio Gandola - e facendo con lui quattro chiacchiere sul 44esimo Presidente degli Usa.Partiamo dal titolo del libro: cosa significa “Mister Cool”?“Cool” in inglese significa “saper piacere senza sforzo”. Ricorre ormai con frequenza in politica dacché l’immagine e la comunicazione hanno preso ad avere l’importanza che sappiamo. Nel caso di Obama è stato uno dei fattori, anche se non l’unico, del suo successo: senza coolness Obama non sarebbe passato dalla “candidatura di rottura”, come sembrava essere all’inizio, al suo trionfale successo.Appunto, come ha fatto Obama a riuscire nella sua impresa?Obama, e il suo team, non hanno mai sbagliato una mossa durante tutta la campagna elettorale, generando una progressiva eccitazione, una specie di valanga emotiva che è risultata travolgente. Comunque il segreto dei segreti – a tutti evidente – è che Obama è bravissimo, un vero purosangue della politica, come da noi non se ne vedono da almeno cinquant’anni. E’ un politico assolutamente fuori dalla norma, un comunicatore straordinario; un grande oratore, ma anche un visionario senza trascendere nell’utopia e un politico che sa ascoltare dando importanza a chi parla. E poi – come si dice in termini sportivi – ha dimostrato di essere un grande “finalizzatore” di tutto quanto è stato prodotto dal suo, pure straordinario, staff elettorale: lui stesso ha creato una squadra composta da uomini di grande abilità, che lavorava in modo eccellente servendogli degli “assist” deliziosi che lui implacabilmente metteva in rete.Che tipo di libro è quello che lei ha dedicato a Obama?Non è una biografia, anche perché ce ne sono di eccellenti, a partire dalla sua I sogni di mio padre (in Italia pubblicata nel 2004 dall’editore Nutrimenti, ndr). Il mio è un lavoro pragmatico ed anche concepito in funzione della nostra realtà politica, per segnalare le specificità delle lezione di Obama. Se vogliamo, è un’analisi e una descrizione del metodo usato da Obama per guadagnare la leadership. E’ corretto affermare che Obama è l’apice della tendenza di questi anni a trasformare la politica in comunicazione?Non sono completamente d’accordo. Credo piuttosto che il fenomeno Obama sia l’inizio del ripensamento della leadership nella politica occidentale. Mi aspetto che nei prossimi anni si affaccino sulla scena politica una serie di candidature atipiche, se così vogliamo dire, indice di questa novità.Tuttavia, non appena iscritta in cielo, la stella di Obama sembra già in fase calante: perché in questi mesi i sondaggi dicono che il suo consenso è in calo significativo?“Mister Obama, ci tiri fuori dalla crisi”, diceva qualcuno prendendosi di rimbrotti di Sua Maestà Elisabetta II! Penso che il problema sia fondamentalmente la crisi economica, che il mondo fatica a lasciarsi alle spalle e che, come bene sappiamo, si è originata negli Stati Uniti. Il banco di prova della sua presidenza sarà rappresentato dalla riforma sanitaria, come sostengono molti osservatori?Non lo so, difficile dirlo, quattro anni di politica americana possono riservare molte sorprese. In ogni caso non penso che Obama andrà incontro al disastro dei coniugi Clinton del 1994; sono invece convinto che sarà in grado di raggiungere un risultato, magari compromissorio, più soft e meno costoso per le finanze pubbliche, ma comune significativo. In grado cioè di generalizzare un diritto – quello all’assistenza sanitaria e, più in generale, alla salute – che oggi non è tale per tutti i cittadini americani. A dispetto di queste prime indicazioni che ci vengono dal suo operato sono convinto però che la vera insidia per lui sarà rappresentata dall’Afghanistan, una guerra che l’americano medio, oggi, fatica a sentire come propria e in ordine alla quale è, nondimeno, difficile pensare una exit strategy valida dal punto di vista strategico. Il fronte afghano rischia davvero di trasformarsi in un nuovo Vietnam. Riprendendo il titolo della tua trasmissione radiofonica in onda nei mesi scorsi su Radio 24 “Jefferson-Ming e l’arte del sorpasso”, è possibile immaginare un “Mister Obama” nella Cina dei prossimi anni?Fra decenni, forse secoli. In realtà, le modalità di fascinazione della cultura orientale sono molto diversi, direi troppo, per immaginare un “Mister Obama” con gli occhi a mandorla. E meno male, perché se la globalizzazione ci portasse a cercare un Obama cinese sarebbe davvero finita! Davide Gianluca Bianchi