Cultura e Spettacoli
Giovedì 17 Settembre 2009
E ora, riprendiamoci
il paesaggio lariano
La cultura ambientale incontra e, inevitabilmente si scontra, con gli interessi edilizi. Nel disagio avvertito, anche sul Lario, per la cementificazione di zone ad alto valore naturalistico, va però rilevato qualche segnale positivo, di accresciuta attenzione. Ne parla l'avvocato Antonio Spallino, nella relazione presentata ai Colloqui di Arosio sul paesaggio (26-28 agosto), che qui pubblichiamo integralmente.
Amici dei "Colloqui di Arosio". Illustri esponenti del mondo universitario e delle componenti del tessuto amministrativo europeo, regionale e locale. La vostra presenza è gratificante per gli organizzatori di questa nuova edizione dei nostri incontri. Sono certo, infatti, di interpretare il pensiero di tutti noi nell’esprimere, anzitutto, gratitudine all’amico Giuseppe Bana. Appassionato, rispettoso ed attivo, della cura della ^Casa dell’uomo^, per impiegare la penetrante espressione di una tra le più importanti studiose del mondo anglosassone, egli ha agito ed operato efficacemente, in prima persona, anche stimolando la pubblica amministrazione al perseguimento degli obbiettivi autenticamente ^civili^ in una società che sovente ha adulterato il ruolo antropologico, dimenticando la sua centralità nel ^sistema universo^. Ne ha dato esempio creando e gestendo la Fondazione denominata “Il Nibbio”, con l’apprezzamento della pubblica amministrazione del Comune, quello di Arosio, nella quale ha coltivato la tradizione del mecenatismo culturale e operativo che non di rado ha ^servito^ la società civile e politica fornendole competenze e modelli virtuosi. La venuta del Sindaco tra noi ne costituisce la prova tangibile. Contemporaneamente, Giovanni Bana ha curato la ^corrispondenza^ tra le competenze dei luoghi privilegiati del sentire ^umanistico-giuridico^ del vecchio continente. L’internazionalità dei contributi e delle presenze anche in questi Colloqui lo attesta. Tanto ciò è vero che - se posso impiegare una metafora – il ^territorio^ centrale dei ^colloqui di Arosio^ è sempre quello della “Convenzione europea del Paesaggio”. * * * Quest’anno la ^bussola ^ del Colloquio è bivalente. Un ^ago^ volge in direzione del “ruolo dei mass media” nel processo di sensibilizzazione della società alla centralità del tema del ^Paesaggio^ con particolare attenzione della sua componente ^rurale^. L’altra ^asta^ è quella del rapporto tra la componente agricola del territorio e tradizioni culturali e gastronomiche. Entrambi gli indirizzi mi paiono di estrema eloquenza e di puntuale attività. Per un verso stanno emergendo, anche sul piano sociologico, attenzioni a difesa dell’identità della ^continuità^ dell’iniziativa. Esse erano state parzialmente anticipate dal ^Colloquio^ dello scorso anno e, nell’intervallo tra esso e quello odierno, sono state sperimentate in alcune concrete prove amministrative. Esse mi paiono preziose anche per la cura che pongono nello sceverare l’autenticità del ^rurale^ dell’^hobby^ bucolico, anche questo da apprezzare ma da non confondere con il primo, che giunge a noi carico della storia del rapporto tra uomo e agricoltura. Ritengo essenziale il connotato di ^continuità^ che il programma vuole imprimere ai Colloqui per ^consolidarne^ i guadagni culturali e per delineare le ipotesi operative, da verificare sul campo. Ritengo, congiuntamente, essenziale il connotato ^dialettico^ del confronto tra le idee e le realtà da affrontare. A mò di esempio, mi riferisco al progetto del piccolo Comune di Montano Lucino che si accinge a deliberare l’assegnazione triennale di spazi rurali ai pensionati per la coltivazione di orti e il contributo municipale per i costi finanziari. A sua volta il ^Centro di educazione e documentazione del Lago di Pusiano^ (C.E.D.A.L.) ha avviato, nella scorsa primavera, la ricerca sulle piante rampicanti che rivestono le pareti di molte case nella stessa Pusiano, in Rogeno, in Bosisio e nei sette Comuni del lago. Lo stesso ^Centro^ ha anche annunziato la pubblicazione di un libro sul tema. Del pari, nel Comune di Cantù è giunta alla ventesima edizione l’iniziativa denominata <> -organizzata da ^Auser Canturium^ e dal Sindacato pensionati C.G.I.L. con il concorso del Comune – che realizza iniziative analoghe nel bosco comunale. La pluralità delle iniziative e la personalizzazione delle stesse, anche se talune ancora allo ^stato nascente^, inducono a supporre che sia in corso un processo di riappropriazione – nel senso nobile del termine – del rapporto della ^persona^ con il ^territorio^. Questa relazione merita di vigoreggiare. Non lo chiede solamente la sua intrinseca coerenza con lo spirito di ^appartenenza^ del singolo alla storia del proprio ^sito^. Lo richiede, altresì, l’esigenza collettiva di ^formare^ la persona del cittadino alla consapevolezza che la tutela è dovere di ciascuno di noi, e, come tale, non può venire ^rimessa^ a questa o a quella istituzione pubblica.
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Quando, nei primi anni duemila, emerse a tutto campo, nelle sue nuove dimensioni in atto e in prospettiva, il conflitto tra interessi privati immobiliari e interesse pubblico per il paesaggio furono studiosi illuminati, giornalisti avveduti ed amministratori preveggenti, a denunziare l’incompatibilità tra i due campi. Basti ricordare – a livello nazionale – lo scontro avvenuto nel 2003 tra undici ministri del governo Berlusconi e il Ministro per i Beni Culturali, Urbani, sul progetto del testo di ^legge-delega ambientale^ contenente la proposta di depenalizzare gli abusi edilizi compiuti nelle ^zone protette^, se successivamente ritenuti ^compatibili^ (sic!). La voraginosa discrasia tra cultura paesistica, memoria archeologica, qualità dei territori, da un lato, e potere ministeriale dall’altro lato, toccherà l’abisso nel marzo del 2009 quando la sua denunzia pubblica detonerà nella polemica tra una personalità della statura di un Salvatore Settis, direttore della celebre ^Scuola Normale di Pisa^, coerentemente dimessosi, a seguito della stessa, dalla carica di presidente del Consiglio Superiore dei Beni culturali, e la figura di un ministro della cultura tale Sandro Bondi. Il primo – così come farà il suo successore –aveva sottolineato la inderogabilità delle regole stabilite nel <> per i piani particolareggiati dei ^centri storici^, e dei nuclei edilizi di ^antico impianto^, per i piani paesaggistici e dei complessi immobiliari, edificati e non, di valenza culturale, contro la pretesa di attribuire prevalenza, su di essi, alle previsioni del c.d. ^Piano casa^: quasi che una attenta lettura del territorio non consentisse di contemperare le diverse esigenze, specialmente in un paese, quale l’Italia, dove le disposizioni di molti “strumenti urbanistici” sono macroscopicamente ^tracimanti^, senza alcuna motivazione demografica o sociologica o produttiva, dalle previsioni scientifiche del fabbisogno edilizio effettivo. Altri Stati europei, dalla Confederazione elvetica alla Germania, alla Francia, determinano periodicamente le percentuali del territorio assoggettabili alla espansione edilizia, nel rigoroso rispetto dei valori ambientali e delle esigenze reali della fruizione. * * * Il prevedere ciò che accadrà appare arduo. Ma quanto è già accaduto è più che sufficiente per constatare quale è “lo stato dell’arte” a livello politico. Infatti, il caso non è senza precedenti e non è unicamente italiano. Per convincersene è sufficiente riandare ad un ^classico^ pubblicato verso la metà degli anni venti del secolo scorso – “La trahison des clercs” di J. Benda, tradotto in lingua italiana due decenni dopo – seguito, per citarne solo alcuni, nel 1945 le riflessioni di C. Mauriac, con il medesimo titolo; nel 1958, da un altro ^classico^, “L’oppio degli intellettuali” di R. Aron; nel 1971, la “Introduzione alla sociologia degli intellettuali”, di P. Bourdieu; nel 1987, il sagio “On modernità post-modernity and intellectuals” di Zygmunt Bauman (l’autore de “La società liquida”; traduzione in lingua italiana del 1992, titolata “La decadenza degli intellettuali”); o, ancora, sceverare la messe dei trenta intellettuali italiani raccolta da D. Porzio nel volume “Coraggio e viltà degli intellettuali” (1977). Ma soprattutto, il bilancio più crudo del “viaggio nella terra dei filistei” – tale suona l’introduzione della documentatissima ricognizione condotta nel mondo politico e universitario europeo - la si può leggere in Frank Furedi (“Che fine hanno fatto gli intellettuali”, 2004). Oggi, scrive l’autore, “l’amore della conoscenza stride sempre più con l’ethos strumentale della cultura globale”. Per toccare con mano la qualità e il numero dei ^nodi^ del rischio è sufficiente pensare al recentissimo ^caso francese^. Qui, molti di coloro che sono impegnati nell’Università – ricercatori, professori, rettori (compreso quello della storica ^Sorbona^ di Parigi) – sono insorti contro i decreti del Governo che hanno drasticamente ridotto il numero dei docenti, imposto rigidi ^mansionari^ ai rapporti tra insegnamento e ricerca, trasferito “il mantenimento della ricerca”a persone e ad enti esterni “sotto la coperta della c.d. <> “. In questo contesto ricompare l’iconoclastico attacco alla “competenza”, denunziata, scrive Furedi, come “un mito da minimizzare […]” Lo spirito critico è un “ostacolo per chi ha voglia non di pensare, bensì di fare certo a suo vantaggio”. In casa nostra, la preoccupata ^segnalazione^ ci giunge, ad esempio, da uno studioso di linguistica dell’autorità di un Cesare Segre (Corr. Sera del 25 maggio 2009), con l’accorata avvertenza che “mettendo la museruola ai competenti, soli ad avere la capacità di giudicare” si “ridurranno le valutazioni, ormai affidabili a chiunque, a puro calcolo quantitativo”. Ne dirà da par suo, con la ^sprezzatura^ che gli è congeniale, Beha nel volume “I nuovi mostri” (Milano, 2009). Sottotitolo: “Un paese senza intellettuali” –omissis-. E’ forse questo il “primato” a cui ambiremmo giungere sulla biga della ^globalizzazione^? O non dovremmo,piuttosto sposare la causa di quel radicamento delle nostre azioni in una competenza sorretta da “una spiritualità ecologica che riconosce nel rispetto del creato tanto un atto di lode al Creatore, quanto un servizio necessario alla qualità della vita di tutti specialmente in un paese dalle incommensurabili ricchezze naturali e ambientali qual è l’Italia, troppo spesso messo a rischio dall’avidità degli umani, oltre che nel contesto del <>, in cui […] la violenza esercitata dai <> sui tempi biologici appare perfino scontata” ? (Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasco, in Corr. Sera del 2 settembre 2009)
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Analogamente, a livello locale, è forse possibile scordare gli sfregi recanti alle sponde delle rive lacuali da una edilizia non soltanto prevalentemente incolta ma, per dappiù, “autorizzata” da piani regolatori comunali approvati da consigli comunali condizionati dalla presenza dei diretti interessati, o comunque, indifferenti al canone etico del ^bene comune^. Quei piani vennero approvati dagli stessi organi amministrativi sopra ordinati, in una temperie ad un tempo ideologicamente populistica e culturalmente ignava o pigra. Peraltro, obbiettività vuole, che si ricordi come nel medesimo periodo si siano levati severi richiami alla cura dell’^autentico interesse pubblico^ e alla concreta autonomia ed ^efficienza della pubblica amministrazione^. Chi ha osservato sistematicamente il duplice e conflittuale rapporto in atto tra i due indirizzi surrichiamati non può avere dimenticato, quantomeno, talune “prove certe” dell’impegno civile e politico di cui hanno dato prova alcuni organi istituzionali locali quale l’Amministrazione Provinciale, o alcune espressioni della stampa, quale il più diffuso e autorevole quotidiano di Como. ^Prime cure per le ferite del lago^ è il titolo del fondo dedicato il 9 dicembre 2007 dal direttore de ^La Provincia^, Giorgio Gandola, alla doverosa e ancorché parzialmente tardiva presa di coscienza del flagello edilizio che stava abbattendosi sul territorio lariano (così come stava avvenendo pressoché dovunque). Da quel testo scaturiranno due ^loghi^ - “paesaggio a rischio” e “il lago ferito”- che i collaboratori del giornale onoreranno nel quinquennio successivo fornendo una puntuale documentazione delle cause e delle proporzioni della ^deriva edilizia^. Pochi giorni dopo la pubblicazione dell’editoriale del quotidiano, il presidente della Giunta provinciale, Leonardo Carioni, con la piena collaborazione dell’esperto, arch. Giuseppe Cosenza - protagonista coraggioso e competente di una strenua difesa dell’ambiente – e dell’assessore al territorio, arch. Stefano Valli, investe il Consiglio Provinciale del tema, sollecitando la Regione Lombardia ad assumere posizioni nette e addirittura elaborando un ^progetto di legge^ che vedeva nella Provincia “il garante dell’ambiente, in una fase di transizione in cui i Comuni, chiamati a predisporre i nuovi <> previsti dal piano di coordinamento territoriale non sono ancora entrati in vigore […]”. Esemplare è stata la motivazione espressa dal Presidente Carioni in osservanza dell’etica pubblica: “l’ambiente” – egli ha dichiarato testualmente – “è un patrimonio collettivo che ci è stato dato in prestito. Non possiamo rovinare quello che è destinato ai nostri figli” (in questi termini mi ero precedentemente espresso nell’articolo di fondo pubblicato sul quotidiano ^La Provincia^). Lezioni inutili ? non proprio, quantomeno per quei consiglieri comunali di Como che nel febbraio del 2008, in consonanza con la petizione sottoscritta da 1.100 residenti, hanno indotto l’assessore all’urbanistica Umberto D’Alessandro a ritirare, astenuto il sindaco, la proposta autorizzare ulteriori interventi viabilistici ed edilizi che avrebbero alterato il paesaggio connotato dal bosco di Sagnino. E non proprio per quei componenti della Giunta Regionale che, nel luglio del 2009, hanno sventato il rischio della ^riduzione^ al mercato di un caposaldo della memoria religiosa e architettonica comasca. Mi riferisco alla approvazione della proposta dell’assessore al territorio e all’urbanistica di dichiarare di “notevole interesse pubblico” l’ambito dell’abbazia benedettina edificata nel 1086 nel territorio oggi facente parte del Comune di Vertemate con Minoprio. I confini dell’ambito coincidono con quelli del ^parco locale^ istituito all’inizio del 2008. “Qualcosa” , dunque, “si muove”.
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