Branzi, il maestro del design
Due mostre evento a Como

In Pinacoteca gli oggetti di arredo, da Milly Pozzi le scenografie per la danzatrice Carole Armitage. L'artista italiano di fama internazionale si racconta a "La Provincia"

A Como oggetti poetici e territori infiniti dai perimetri fluidi raccontano la città e il mondo di Andrea Branzi in una mostra alla Pinacoteca civica e alla galleria Milly Pozzi. Parliamo di uno dei massimi esponenti del design moderno che nelle sale di Palazzo Volpi presenta oggetti rarefatti e leggiadri, tratti da varie serie fra cui "Uomini e fiori 2006" e "Sugheri 2007", e video come "Territorio Enzimatico". Il suo lavoro di ricerca sperimentale, tra design e progettazione di nuovi territori urbani. Nasce dal superamento della città vista come struttura rigida e architettonica per giungere ad una lettura della realtà metropolitana come luogo dinamico in cui i microprogetti e gli oggetti d’uso e decorativi sono nuovi protagonisti. Alla galleria Milly Pozzi ci sono video, modellini e i disegni preparatori delle scenografie dei balletti "Barbablu", "Pinocchio e Yo" e "Casanova" riprodotti in una serie di litografie stampate dall’Atelier Lithos e le incisioni raccolte nella cartella "Legni" dedicata a Ettore Sottsass jr.
Professor Branzi, di recente le è stata conferita una laurea honoris causa in design dall’Università La Sapienza di Roma. In un momento in cui ragazzi vengono scoraggiati dall’iscriversi ad architettura, che notizie ci sono sul fronte del design?
Il quadro del design non è quello di una fabbrica di disoccupati. Alla facoltà del Politecnico di Milano alcuni studenti non terminano gli studi perché trovano lavoro prima della fine del corso. La professione di designer si sta espandendo in tutto il mondo con la nascita di grandi università. Nel XXI secolo il design ha cambiato ruolo, se prima si occupava esclusivamente della componente estetica dei prodotti industriali poi è diventato un grande motore di energia di innovazione che programma cicli di prodotti.
Cosa intende per "cultura del progetto"?
Non soltanto una cultura finalizzata alla costruzione, ma qualcosa di molto più complesso che analizza la storia, l’evolversi delle tecnologie e i cambiamenti sociali comprendendo degli scenari analitici. I designer italiani hanno la tradizione di dare vita a laboratori di ricerca e sperimentazione pratica e culturale dove i risultati non sono destinati alla produzione industriale.
Che affinità c’è tra il design italiano e quello giapponese?
Italia e Giappone hanno sempre investito grandi energie sugli oggetti più che in grandi costruzioni e moderne infrastrutture preferendo la qualità della piccola dimensione che è molto attuale e cercando di cambiare il mondo a partire dalle piccole cose.
L’attenzione alla qualità dei microprogetti è anche al centro della mostra a Como «Oggetti e territori»…
La città non è più solo un giacimento di architetture. Siamo in una civiltà merceologica che si esprime, comunica e crea qualità attraverso gli oggetti, anche di serie, le tecnologie avanzate e il fatto a mano. Con le opere in Pinacoteca ho sottolineato questo rapporto tra gli oggetti e i territori da cui riparte una nuova architettura che non è quella esibizionista e verticale alla Daniel Libeskind. In sottofondo si ascolta la musica composta da Patti Smith per la mia esposizione in corso alla fondazione Cartier di Parigi.
Quale tema persegue, invece, nelle opere alla galleria Milly Pozzi?
Le litografie sulle scenografie dei balletti realizzati per la coreografa Carole Armitage introducono l’elemento di mobilità che è un tema ricorrente nel mio lavoro. Il balletto su Casanova si svolge in un grande armadio che si apre e si chiude interpretando la vita di questo grande libertino che impiega tutta la sua energia nel sistema chiuso delle corti europee e non partecipa ai moti della rivoluzione francese. Quanto hanno contato gli studi alla facoltà di architettura di Firenze?
Più che l’ambiente hanno contato alcune figure come Ludovico Quaroni che era un grande intellettuale più che un grande architetto. Il movimento di design radicale nasceva a Firenze negli anni ’60 in una città monumentale dove la modernità poteva solo essere frutto di un’invenzione. Archizoom è stata un‘esperienza di grande energia, positiva e critica.
Stefania Briccola

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