Corrado Fortuna:
«Il migrante e il lupo,
un giallo sociale»

Nel nuovo libro si racconta la storia di un pastore marocchino sbarcato a Lampedusa. «Farne un film? Un sogno»

Leggere “L’ultimo lupo” - il nuovo romanzo di Corrado Fortuna - suscita emozione, inquietudine, tenerezza, rabbia e riflessioni su tanti aspetti che sono propri della vita del protagonista, Tancredi Pisciotta, ma che possono essere di tanti. Nato a Palermo ma trasferitosi a Milano, Tancredi soffre, nell’anno in cui compie quarant’anni, tante mancanze, tra cui quella di un figlio. Quando decide di rifugiarsi nei luoghi in cui ha trascorso l’infanzia si rifugia a Piano Battaglia, nelle Madonie, minuscolo paese sperduto tra le montagne siciliane. Qui si troverà immerso nel mistero della morte di un pastore marocchino, Amir, del quale ha ritrovato il corpo in una notte di luna piena. Dalla sua bocca escono due parole debolissime: «Il lupo». Ma l’ultimo lupo delle Madonie è stato ammazzato tanto tempo prima, proprio dal nonno di Trancredi.

Corrado, “L’ultimo lupo” è un romanzo molto diverso dai precedenti, “Un giorno sarai un posto bellissimo” e “L’amore capovolto”. Da dove arrivano le nuove atmosfere?

Il libro è nato nell’estate del 2018, quella dei porti chiusi e delle tragedie dei migranti; attorno a me vedevo – anche da un punto di vista più personale – un colore scuro e questo insieme di sensazioni mi ha portato verso una “storiaccia”. Ho iniziato con il voler raccontare la migrazione, tanto che avevo iniziato a seguire proprio la vicenda di un migrante marocchino sbarcato a Lampedusa. Non avrei potuto farlo, però, se non inserendomi nella già vasta produzione scritta soprattutto da giornalisti ed esperti. Così mi sono ritirato per due settimane a Piano Battaglia, nella mia casa mobile – questo è un elemento della storia del tutto autobiografico – e lì ho visto nascere i personaggi e la storia. Rispetto agli altri due romanzi, stavolta ho scritto senza una scaletta, tanto che fino a metà della prima stesura non sapevo nemmeno chi fosse l’assassino. Questo è un modo di scrivere che ho molto apprezzato e che mi ha affascinato.

Altri elementi autobiografici sono dettagli dell’ambientazione e del personaggio di Tancredi che sembrano decisamente richiamare la tua esperienza. È così?

Sì, senz’altro. Il periodo scuro che attraversavo era caratterizzato dal percorso – lungo, doloroso, ma anche romantico - della fecondazione assistita, che anche Tancredi, mio coetaneo, vive. Piano Battaglia, come dicevo, è davvero il paese dove io stesso mi rifugio e torno. Quello è un luogo sempre identico a se stesso ed è anche un’ambientazione perfetta per riportare a casa un personaggio, i cui ricordi riemergono vividi. C’è anche un altro collegamento, per me inatteso: mentre scrivevo il libro mia madre mi ha raccontato che l’ultimo lupo delle Madonie è stato ucciso da un mio trisnonno, che nel libro è diventato nonno Adelmo.

Sei riuscito a delineare i personaggi nella loro completezza e nell’attaccamento a un ambiente circostante che rischia di cambiare.

Di sicuro quando si sta su una storia bisogna portare avanti con sé i personaggi e pensare a quello che vivono e vivranno. Io volevo anche provare a testimoniare, attraverso le descrizioni, cosa sia la natura e cosa rischiamo di perdere. Tancredi a quarant’anni vive internamente condizionato da ciò che accade nella società; io sono condizionato dalla solastalgia – la sensazione di “lutto” che accompagna la tragedia ambientale causata dall’uomo – e volevo che la natura fosse molto presente. Soffro per questo come per gli effetti delle migrazioni e ho replicato questo aspetto nel protagonista, che non ho voluto “mascherare” dietro l’aspetto del maschio contemporaneo “duro e puro”: Tancredi è un uomo che si commuove, che soffre per non essere padre, per la malattia de fratello minore e per Amir, e credo non ci sia nulla di più virile.

Da attore, autore per cinema e televisione, regista, nella stesura del romanzo hai portato quella scrittura?

Auspichi una trasposizione cinematografica?

Io cerco di scrivere solo narrativa, perchè il fine non dovrebbe essere vedere arrivare il romanzo al cinema. Detto ciò, farne un film sarebbe un sogno e ci stiamo lavorando: mi piacerebbe però dirigerlo, non interpretarlo. Intanto mi godo i riscontri, che sono molto positivi, e la bellissima notizia che il romanzo verrà tradotto in francese.

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