Cultura e Spettacoli / Como cintura
Lunedì 25 Maggio 2020
Dalla quarantena
una primavera
dell’immaginazione
Poesia: la nuova raccolta firmata da Pietro Berra, “L’indifferenza del cinghiale”, nata nei giorni del Covid, legge l’emergenza come un’opportunità di risveglio. La presenta qui Fulvio Panzeri
In un libro, “Un punto di approdo” da poco uscito in italiano da Einaudi, lo scrittore di origini libiche, Hisham Matar, sulle tracce dell’arte senese tra il 1300 e il 1500, che era stata il suo viatico, da giovane, dopo il rapimento e la scomparsa del padre nelle prigioni di Gheddafi, dedica un lungo capitolo, profetico, visto che il libro è stato scritto nel 2019, alla Peste Nera che aveva seminato morte in tutta l’Europa, nel Mediooriente e in tutto il mondo fino allora conosciuto, interrogandone i cambiamenti sulla percezione dell’uomo, della vita, della morte, della cognizione stessa dell’arte. E giungendo alla convinzione che nulla poteva essere più uguale a prima, perché l’uomo si era ritrovato a fare i conti con una tempo arrivato al capolinea, che doveva rivedere i propri valori.
Leggendo le “poesie della quarantena”, appena pubblicate di un poeta dall’intensità intima e naturale, qual è Pietro Berra, in quel suo trascendere i tempi di un quotidiano che diventa rivelatore di una diversa e nuova dimensione, ritornano alle mente le considerazioni del grande scrittore Premio Pulitzer.
Berra infatti accoglie questo tempo di chiusura apparente al mondo, imposto alle nostre esistenze dal Covid-19, come una diversa possibilità di ridare un’immaginazione nuova all’arte, in termini di tempo e di natura, cogliendo l’anima dei luoghi, interrogando e colloquiando con la forra boschiva che circonda la sua casa, appena fuori dall’abitato di una città come Como, sulla direttiva di una storica mulattiera che porta verso Brunate e che in questi anni è diventata una sorta di “museo” della parola poetica, cresciuto sugli alberi, dentro al loro selvatico e libero crescere.
Nel suo “L’indifferenza del cinghiale”, edito da “I quaderni del Bardo” edizioni, prezioso libro di intima e civile necessità, che si snoda su due piani, quello della parola poetica e quello dell’immagine, con le fotografie d’arte, in un intenso bianco e nero realizzate con la moglie Mirna Ortiz Lopez, visioni che si congiungono alla parola, che ne riprendono lampi di interpretazione, ma che hanno anche una loro dimensione autonoma e parallela, Berra mette al centro la casa, un luogo che rappresenta l’identità di una nuova luce, il punto da cui ripartire, la casa intesa non solo come edificio, ma anche come luogo allargato, che appartiene essa stessa a quel bosco, a quella natura che la circonda, a quella riscoperta di valori di un tempo lontano, legato alle radici, ai sentimenti che ci sono diventati indifferenti, sostituiti negli ultimi decenni da altri “santuari consumistici” come i centri commerciali.
Il tempo della quarantena è come se avesse inferto una ferita, una frattura necessaria per iniziare a costruire il nuovo tempo e i nuovi luoghi, in una sorta di ritorno per scoprire qual è il vero spazio che la natura ci offre, proprio fuori dal caos abitativo della città. Da una parte il tempo della quarantena evidenzia il senso della paura: “ Di agitarmi smetterò soltanto quando / avrò imparato ad abitare / di tutti i luoghi il più insicuro: / la mia anima e il suo involucro”; dall’altra Berra istituisce la possibilità per pensare ad una diversa utopia, che è una forma di speranza, quella di ritrovare, allargata, quella forma di luce che il padre aveva intuito per la casa: “A tuo modo hai scoperchiato la casa / per far entrare la luce/ come raccomanda il maestro di Vinci nel suo “Trattato”. Grazie / per avermi insegnato a vedere il cielo/ là dove c’era soltanto un muro.”.
Così la quarantena che racconta Berra è una sequela indiretta di questi ringraziamenti: all’amore della moglie, all’affetto ritrovato in chat, come in un quadro, verso il figlio lontano, all’indifferenza del cinghiale che lo attornia, agli alberi stessi che portano il segno della speranza e con le loro radici indicano uno spazio alternativo di memoria da cui ricominciare, diversi anche in una dimensione solitaria, che lentamente si popola di altre anime in cerca di un “luogo sacro” che le “visioni” colgono nei suoi particolari e che “le pietre scivolate dal pendio”, se possono rappresentare, oggi, una minaccia per la casa, diventano “muri, domani, per rifondare una cattedrale verde”.
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