Cultura e Spettacoli
Martedì 04 Febbraio 2020
Davide Van De Sfroos:
«Il mio nuovo disco
nella casa dei suoni»
Il cantautore laghée ha scelto un cottage in mezzo al verde di Rogaro, frazione di Tremezzina, per incidere i brani dell’album che vedrà la luce tra fine aprile e inizio maggio
Spaesati, nel vero senso della parola, nella tranquillità del Podere Brughee, un cottage in mezzo al verde di Rogaro, frazione di Tremezzina. Così vicini, così lontani: a un chilometro la vita di tutti i giorni, con i suoi impegni, le sue scadenze e anche le sue distrazioni, in quel rustico uno spazio per dedicarsi all’arte, alla musica, alla registrazione di un album. Davide Van De Sfroos è al lavoro per quello che sarà il disco del ritorno, a sei anni da “Goga e Magoga”. Nel mezzo il progetto orchestrale “Synfuniia” e il recente live “Quanti nocc”, ma, come aveva annunciato il cantautore lariano, «le canzoni ci sono ed è arrivato il momento di registrarle». Quella dell’isolamento con i musicisti ricorda scelte fatte, in passato, da grandi della musica, a iniziare da Dylan con la Band, nei boschi di Woodstock nel “basement” di Big Pink. Ma anche i Traffic, Neil Young, Johnny Cash e, a casa nostra, i Csi e perfino Guccini (per “L’ultima Thule”) hanno scelto questa soluzione. Trattandosi di Bernasconi, però, il primo modello è quello del capolavoro targato Waterboys.
È un “Fisherman’s blues” lariano?
Diciamo che lo spirito è quello. Da tempo coltivavo l’idea di realizzare un disco così, in una grande casa dei suoni, dove ogni stanza diventa una piccola sala di registrazione a sé stante. C’è la mia, con il mio microfono, le mie chitarre, ma anche il mio sgabello e i miei appunti. C’è un salone dove è piazzata la batteria. Nell’interrato ci sono i mari del Sud, con tutti i suoni del Mediterraneo che Anga estrae dai suoi strumenti assieme ai percussionisti.
Angapiemage Galiano Persico e il suo violino è immancabile. Quali sono gli altri “spaesati” di questa nuova avventura?
Anga, inoltre, cura tutta l’organizzazione, le presenze dei musicisti. Una po’ caporchestra, un po’ sergente maggiore. Un lavoro ottimo, perché siamo perfino in anticipo sui tempi. Il termine che ci siamo dati per l’uscita è tra la fine di aprile e l’inizio di maggio, sicuramente prima del concerto al Teatro Dal Verme di Milano l’11 maggio.
Che è già quasi sold out.
Sì, sulla fiducia, quindi non possiamo deludere. Anga cura anche gli arrangiamenti anche se, e qui sta il bello di questo metodo, questa volta non siamo arrivati a incidere con tutte le parti già scritte. Questo metodo, lo stare assieme, il suonare condividendo tempi e spazi fa sì che si possano raccogliere più idee. E poi abbiamo dei jolly. Il primo è Paolo Costola. Lui è il “signore dei tasti” dietro al suo mixer, che è piazzato in una grande stanza da letto matrimoniale. Daniele Caldarini, silenziosissimo come un monaco zen. Tastierista, musicista, musicologo, lui è qui per captare tutte quelle onde che, magari, al momento ci sfuggono e ci fa notare dei passaggi particolari. Per tutto il resto c’è Taketo.
Taketo Gohara, il tecnico giapponese che ha lavorato con Capossela, con Brunori, Motta, Verdena...
Anche con i miei amici della Banda Osiris, con Mauro Pagani, insomma, ha un curriculum che non si discute. Lo abbiamo incontrato e gli abbiamo proposto cinque brani su cui lavorare e lui li sta trasformando. È bello che le canzoni viaggino così, già subito, cambino forma.
E che suono bisogna aspettarsi da questo lavoro?
Folk e rock, come sempre, ma con tanti tasselli differenti. Un sound gonfio, a tratti lirico, ci saranno anche gli archi, in qualche momento, come i flauti magici di Andrea Cusmano, un contrabbassista jazz d’eccezione come Attilio Zanchi, parteciperanno anche gli Shiver con le loro corde e i loro cori, insomma, una bella tribù.
E in che direzione viaggiate?
Se c’è una tematica che accomuna i brani su cui stiamo lavorando – che sono 14, ma potrebbe esserci una quindicesima traccia fantasma – è quella del ritorno, alla campagna, alle nostre radici, non solo musicali. Mi piace cantare quelle persone che continuano a fare lavori che si stanno estinguendo, incuranti di chi le considera fuori dal tempo. Che vanno a vanti a fare quello che fanno, sicuri della loro missione anche se, come noi, felicemente spaesati.
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