Don Guanella volle redimere
il peccatore Giosuè Carducci

Un estratto del libro di Mario Sgarbossa sull'apostolo della carità

Pubblichiamo un estratto della biografia «Don Guanella - Voglia di bene» di Mario Sgarbossa (Edizioni Paoline, pp.184, 14 euro) in questi giorni in libreria.

Qualcuno si mostrò scandalizzato quando seppe che don Guanella aveva allacciato rapporti di amicizia con Giosuè Carducci, che aveva scritto l’Inno a Satana, la nota composizione poetica i quinari di cui lo stesso poeta disse: «Questa non è certo poesia da santi ma da peccatori; peccatori che delle umane allegrie e degli umani conforti non si vergognano e delle vie aperte non se ne chiudono nessuna».
I due si incontravano a Madesimo dove il poeta era solito trascorrere le vacanze estive. Qui un giorno si trattennero a lungo in conversazione e si lasciarono con la promessa che Carducci si sarebbe recato a Como per visitare la Casa della Provvidenza. Per don Guanella il celebre poeta era un’anima da riportare sul retto sentiero che conduce all’abbraccio del Padre, insomma una pecora smarrita da ricondurre con carità all’ovile. Il poeta aveva composto il blasfemo inno a Satana ma aveva fatto ammenda con la magnifica ode alla Madonna: «Ave Maria. Quando sull’aure corre l’umil saluto, i piccioli mortali scovrono il capo, curvan la fronte... Una di flauti lenta melodia passa invisibil tra la terra e il cielo... Taccion le fiere e gli uomini e le cose, roseo il tramonto nel azzurro sfuma, mormoran gli alti vertici ondeggianti: Ave Maria».(...)

Don Guanella conobbe anche monsignor Achille Ratti, il futuro papa Pio XI, quando questi era alla direzione della Biblioteca Ambrosiana. Conoscendo la grande familiarità che don Guanella aveva con Pio X, monsignor Ratti si rivolse a lui per caldeggiare la nomina a cardinale di monsignor Antonio Ceriani, il dotto e benemerito Prefetto dell’Ambrosiana. Qualcuno avrà obiettato che una biblioteca non era il migliore trampolino di lancio per assurgere alla porpora cardinalizia, asserendo che un Principe della Chiesa è anzitutto un pastore d’anime che, per conoscere le sue pecore, deve viverci accanto. Dall’Ambrosiana uscì il papa della conciliazione tra la Chiesa e lo Stato italiano, Pio XI, il quale, avendo conosciuto da vicino don Guanella, se ne uscì con un’appropriata e originale definizione, chiamandolo il Garibaldi della carità.
Se anche il futuro pontefice Achille Ratti si rivolse a don Guanella per una mediazione per ottenere un favore da Pio, c’è da pensare che il parlatorio della Casa della Provvidenza fosse diventato una specie di ministero. A ragione il professor Giuseppe Ballerini poté affermare che don Luigi era una delle migliori apologie pratiche del cristianesimo: «In un tempo di tanta incredulità, indifferenza, affarismo ed egoismo, egli ha fatto vedere quanto possa valere una fede viva e forte e un amore ardente e verso Dio e verso il prossimo...» (...)
Tanto fragili non erano le spalle di don Guanella, ne deboli le sue braccia abituare a maneggiare ogni strumento di lavoro e a livellare terreni incolti o paludosi, come il Pian di Spagna. Dei suoi buoni muscoli fece talvolta uso anche per difendersi dalle aggressioni di malintenzionati. Gli accade anche di dover fare a pugni con un gruppo di giovinastri che, dopo averlo insultato per strada perché li aveva rimproverati per il loro linguaggio scurrile frammisto a bestemmie, cercarono i passare alle mani. E’ fare del bene ai ricchi chiamarli a cooperare per aiutare i poveri, diceva don Guanella.
Qualcuno si stupiva del fatto che nelle sue tasche finissero tanto offerte e un giorno un amico, padre Borgonovo si pese la libertà di chiederlo all’interessato: «Non hai doti esteriori che attirino simpatia, non so comprendere come i ricchi ti diano tante offerte». Don Guanella sorrise divertito all’impertinente amico e rispose: «Questo non lo so neppure io».
La simpatia nasceva dalla sua amabilità, una virtù acquisita col dominio del suo carattere duro come la roccia delle sue montagne e che egli aveva ammorbidito fino al punto che quanti lo avvicinavano erano conviti che tanta amabilità, che destava simpatia, fosse un dono di natura.
Un giorno don Bacciarini lo accompagnò al battello per tornare a Como. In attesa don Guanella avvicinò i facchini del porto e cominciò a discorrere con loro, poi domandò loro se andavano a Messa la domenica e se si comportavano da buoni cristiani. Quegli uomini a un altro prete avrebbero risposto malamente ma con don Guanella, che pur non conoscevano, manifestarono istintivamente interesse e simpatia. (...)
Anche Agostino Gemelli, il futuro frate francescano fondatore della prestigiosa università del Sacro Cuore di Milano, fu indirizzato a don Guanella addirittura da Pio X, per sciogliere i suoi dubbi sulla Rivelazione e la dottrina della Chiesa: «Vai a nome unico da don Guanella», gli disse, dopo una lunga conversazione, «aprigli il tuo animo e fai quello cheti dirà». Stupore da parte di Agostino Gemelli che obiettò al Papa: «Ma quel prete non è un teologo...». E il Papa: «Non ti sei già rotto la testa con i teologi? Hai bisogno di un santo e don Guanella è un santo».
Ordinato sacerdote, padre Gemelli, già ben noto agli studiosi in campo medico e sociale, racconta: «Mi recai da don Guanella che mi accolse con straordinaria carità. Mi infuse nell’animo quella specialissima fiducia nella Provvidenza che era la sua caratteristica. Se dalla grave crisi sono uscito illeso lo devo alla grande carità di don Guanella, alla semplicità del suo spirito. Ho continuato a incontrarlo fino agli ultimi giorni della sua vita. Don Guanella quanta pazienza mi ha sempre usato!»

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