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Sabato 08 Febbraio 2020
«E il vincitore è...»:
il pagellone di Sanremo
Il critico musicale Alessio Brunialti dà i voti a cantanti e canzoni del Festival. Alessio ha scelto chi, a suo giudizio, meriterebbe di vincere: vediamo se siete d’accordo con lui
«E il vincitore è...»: il nostro critico musicale Alessio Brunialti dà i voti a cantanti e canzoni del Festival di Sanremo, che questa sera celebrerà la finalissima. Alessio ha scelto chi, a suo giudizio, meriterebbe di vincere e ha raccolto il meglio e il peggio di questa edizione numero 70 della kermesse musicale. Vediamo se siete d’accordo con lui
IL MEGLIO
Tosca – Ho amato tutto. Ha già in tasca almeno un paio di premi minori, quasi sicuramente il “Mia Martini” (è una canzone che sembra fatta apposta per Mimì). Brano elegante, interpretato con grande classe, in un mondo normale arriverebbe primo senza se e senza ma. Poi uno si ricorda che “Almeno tu nell’universo” non ce l’ha fatta e figuriamoci questa che non ha nemmeno un ritornello così orecchiabile. Uffa. Grandiosa anche “Piazza grande” fado. Voto: 9
Pinguini Tattici Nucleari – Ringo Starr. Meritano: hanno costruito una canzone che getta un ponte tra la loro normalità (che pochi del pubblico conoscono: in realtà hanno ben quattro album alle spalle) e la sanremesità inevitabile. Simpatici, forse un po’ troppo confusi per la diretta Rai, almeno faranno sì che tanti ragazzini vadano a cercare chi è, ’sto Ringo Starr. Bello anche il medley di canzonette del passato. Voto: 8
Junior Cally – No, grazie. Più che una critica al sistema, sembra partire da una frecciata a Fedez, per poi indirizzarsi a Salvini (“Odio il razzista che beve il mojito”) e Renzi (“Il liberista di centro sinistra che perde partite e rifonda il partito”) e ai colleghi che si svendono (“Giuro, la smetto con sta storia del rap, voglio scrivere canzoni d’amore per la mia ex, trovarmi un lavoro serio e diventare yesman, insultare tutti, sì, ma solo sul web”). Beh, è il testo più tosto del Festival, ma non se ne accorge nessuno. E rimarrà quello che aveva scritto un testo violento contro una donna. Voto: 8
Elodie – Andromeda. Ha tutte le carte in regola per vincere, perché è brava, perché è bella (eh, lo so, tutte le polemiche, poi però per il televoto conta anche quello assieme alla simpatia e all’abitudine) e perché il brano porta la firma di Mahmoud, trionfatore dello scorso anno. Ha l’unico difetto di impiegare un po’ troppo (più di un minuto) per arrivare al dunque, ma in radio sta già spopolando. Voto: 8
Francesco Gabbani – Viceversa. Così giovane e già così Zarrillo, era sparito dai tempi di “Occidentali’s karma”. Aveva vinto con un brano – tormentone e, viceversa, presenta una ballad pianistica che suona già sentita (in una sorta di terra di nessuno tra Dalla e Venditti) a tal punto da rischiare seriamente di vincere. Ha cantato mangiandosi tutte le parole, in compenso è intonato. Voto: 7
Rita Pavone – Niente (Resilienza 74). Brano grintoso e la “tota”, gagliarda settantaquattrenne fin dal (sotto)titolo stupisce con un brano modernissimo che ha il difetto, diffuso, delle troppe parole: se è rap è rap, se è verso cantato è verso cantato: l’ibrido costringe l’interprete a rincorrere le sillabe e non è semplice. Fin troppo estroso, ma senz’altro da “chapeau”. Voto: 7
Diodato – Fai rumore. È una ballata pianistica ultraclassica, senza sorprese, con il prevedibile ritornello che consente all’interprete di mette in risalto doti vocali non indifferenti in un Festival di stonature e note calanti. Così perfettino da risultare quasi irritante anche se sta piacendo tantissimo. Voto: 6
Giordana Angi – Come mia madre. È costruita come “Video games” di Lana Del Rey - ma a Sanremo partire su toni vocali troppo bassi non è mai consigliato – che va a innestarsi in un ritornellone alla Mia Martini. Troppe citazioni per una donna sola. Ma fa la sua figura. Voto: 6.
Irene Grandi – Finalmente io. Ci si son messi in quattro – Vasco, Curreri degli Stadio, e i fedelissimi Andrea Righi e Roberto Casini per scrivere questo brano un po’ Berté, un po’ no. Sta piacendo ai fan della cantante toscana, che ce la mette tutta, in effetti, per supplire alle mancanze di una canzone senza infamia e senza lode. Voto: 6
Paolo Jannacci – Voglio parlarti adesso. Se non alla Enzo, sarebbe stato scontato, da lui ci si aspettava un pezzo alla Paolo (Conte). Invece sfodera una ballad dedicata alla figlia che abbisogna, però, di maggior spessore vocale. Voto: 6
Achille Lauro – Me ne frego. A furia di stare a guardare com’è vestito e quanto provoca e com’è tatuato e se copia Bowie e se rende omaggio a Bowie e... uno perde di vista la canzone. È un Ivan Cattaneo senza talento vocale, un Vasco Rossi (e lo pensa anche lui) senza la dotazione base di intonazione, ma c’è un equivoco: non è un cantante. È un performer e lo scandalo che suscita la dice lunga dello sguardo che ha chi osserva Sanremo. Chi è abituato a ben altre provocazioni sorride o fa spallucce. Rolls Royce era meglio. Voto: 6
IL PEGGIO
Levante – Tikibombom. È un problema complesso: il testo è interessante, ma lo ha cantato con un birignao vocale che lo ha reso inintelligibile. Non si capisce, ad esempio, che il “Tikibombom” è uno sfottò rivolto a chi balla il latino mentre altri preferiscono ballare il tango, soli al mondo. La musica, poi, è faticosa, come spostare un armadio pieno. Occasione sprecata. Voto: 5.
Le Vibrazioni – Dov’è. Seriamente candidato al ruolo di Pooh della generazione successiva, il quartetto sa indubbiamente costruire un pezzo pop con tutti i crismi. Peccato, però, che questa ciambella non sia uscita con il buco. Le manca quel qualcosa che ha reso “Dedicato a te” un tormentone inevitabile. Voto: 5
Enrico Nigiotti – Baciami adesso. La canzone, tanto per incominciare, è tutta sua e non è poco in un concorso dove tutti i brani hanno almeno tre firme. Poi è una ballatona rock a tema amoroso, come sempre, senza particolari sussulti. Voto: 5.
Marco Masini – Il confronto. Quasi irriconoscibile, con barbone da hipster, canta un brano abbastanza masiniano che meriterebbe voto 6. Ma, visto che fanno media anche le cover, ha permesso ad Arisa di disintegrare “Vacanze romane” e questo è imperdonabile. Un punto in meno! Voto: 5
Michele Zarrillo – Nell’estasi o nel fango. È l’animale sanremese per eccellenza. Mentre gli altri puntano alla vittoria, a una rinascita artistica, lui guarda alle date estive e alle apparizioni televisive garantite dal Festival. Porta un brano estremamente zarrillico, adattato alle orecchie del 2020. Concorrerà finché avrà fiato. Voto: 5.
Rancore – Eden. Troppe parole mitragliate a perdifiato manco fosse “Rapput”. È la classica canzone che ti sbattono in faccia quelli che sostengono che il rap è tutto uguale. Questo ha un ritornello “catchy” al punto giusto e nelle radio (e ai ragazzini) piacerà. Zan zan zan! Voto: 5
Riki – Lo sappiamo entrambi. Una canzone che appare, ti sta davanti alle orecchie per tre minuti e mezzo e poi svanisce senza lasciare traccia. Lo sappiamo entrambi. Voto: 5
Bugo e Morgan – Sincero. Sarebbe bello scrivere che in questo brano convivono brillantemente due personalità geniali, ma irregolari che spiazzano con un brano che mette in risalto le doti di entrambi. Ma non è così. A risaltare sono i limiti vocali (a Sanremo, sarà banale, l’intonazione e la tenuta di una nota sono ritenute fondamentali da gran parte del pubblico) e lo sanno anche loro, perché la versione del disco è tutt’altra cosa. Voto: 4
Alberto Urso – Il sole ad Est. Se c’è qualcosa di cui il mondo non avvertiva la mancanza è un nuovo Bocelli, soprattutto mentre c’è ancora in circolazione l’originale. Sembra uno che è stato scartato da Il Volo, e con ragione. Lanciato da “Amici” porta una canzone che potrebbe essere stata scritta nel 1960, e non è un complimento. Voto: 4.
Piero Pelù – Gigante. Invece di festeggiare i 40 anni con i Litfiba, li celebra da solo con un brano che ha tutti i difetti del rock italiano che quando vuole sa essere davvero insignificante. Voto: 4
Raphael Gualazzi – Carioca. Jazzista prestato al pop con risultati non troppo convincenti (meglio “E se domani” interpretata in duetto con la perfetta Simona Molinari). Improbabile incursione nel mondo della dance latina, davvero si poteva evitare. Voto: 4
Anastasio – Rosso di rabbia. È arrabbiato, incazzatissimo, scomodo, più per contratto che per reale necessità. “E poi volete sapere dei miei fantasmi”, chiede, e viene subito da rispondergli “No, grazie” (ma quella è un’altra canzone). Sembra un pezzo dei Rage Against the Machine, per ammissione del diretto interessato ché oggi si copia senza più vergogna, fino al ritornello dove il rock si fa ancora più confuso. Panico, panico! Voto: 3
Elettra Lamborghini – Musica (E il resto scompare).
La pietra dello scandalo di questo Sanremo. Sorta di Paris Hilton de noantri, risposta a domande che nessuno aveva mai posto, fatica ad arrivare alla fine delle sue frasi musicali monotonali. La canzone è ruffianissima e non ha tutto il testo in spagnolo solo per le regole ferree della manifestazione. Se volete provare un’esperienza mistica, riguardate le sue prestazioni senza volume. Voto: 2
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