Cultura e Spettacoli
Sabato 04 Aprile 2009
Grande guerra inedita
tra i sentieri del parco
Restaurato dagli alpini comaschi il fronte costruito per bloccare i tedeschi. Al confine con la Svizzera, la Linea Cadorna non fu mai utilizzata: oggi diventa un percorso turistico
Novant’anni fa erano gli scarponi chiodati dei fanti in grigioverde a calpestare l’erba e le foglie nelle trincee del Monte Sasso, oggi sono le scarpette delle scolaresche. Fresche voci di adolescenti risuonano nelle cavità dove un tempo si ammucchiavano i proiettili d’artiglieria e regnava un silenzio carico di tensione, mentre le piazzole allora occupate dai treppiedi delle mitragliatrici sono diventate delle terrazze panoramiche che offrono una vista impareggiabile oltre il confine con la Svizzera, sulla piana di Chiasso. Siamo sulla collina che sovrasta Cavallasca (Como), all’interno del parco regionale della Spina Verde, in corrispondenza di quello che fu un caposaldo della «Linea Cadorna», un fortino collocato lungo un susseguirsi di fortificazioni che andava dal Monte Bianco al Pizzo dei Tre Signori, nelle Alpi Orobiche, passando per Como, la Valle Intelvi, Menaggio. Un’opera imponente realizzata durante la Grande Guerra con un preciso scopo bellico: quello di arginare un improvviso attacco che i tedeschi avrebbero potuto sferrare violando la neutralità svizzera, attraversando da nord a sud la Confederazione e piombando sul fianco sinistro dello schieramento italiano che aveva il grosso delle sue forze rivolto ad est, sul fronte dell’Isonzo. Cadorna, il comandante in capo dell’esercito italiano, ritenendo possibile una manovra simile, che avrebbe significato quasi istantaneamente la perdita di Milano e della pianura fino al Po, aveva deciso la costruzione immediata di una linea fortificata che andava portata a termine nel minor tempo possibile.
Così fu fatto. Ma la temuta offensiva dal confine elvetico non venne mai e già prima di Vittorio Veneto le fortificazioni della «Linea Cadorna» vennero abbandonate, le foglie riempirono le trincee, le piogge le sommersero nel fango, le radici degli alberi si insinuarono fra le pietre e diroccarono i muretti, la gente perse la memoria di quelle installazioni, vero e proprio monumento a una guerra mai combattuta. Ma ora quel monumento alla guerra riemerge quasi come un monumento al lavoro, grazie proprio al lavoro volontario e disinteressato degli alpini comaschi, della Sezione del capoluogo e di una serie di Gruppi, che hanno condotto nel giro di un anno, fra l’ottobre 2007 e il settembre dell’anno scorso, il recupero e il restauro conservativo del fortino, dopo un primo intervento di ripristino del parco della Spina Verde fra il 2004 e il 2005. Perché mai monumento al lavoro? Per trovare una risposta immediata basta una visita al fortino. Lo scavo delle trincee, dei ripari, delle riservette delle munizioni, su un terreno che misura circa duecento metri per settanta, fu realizzato sotto l’incubo di un attacco imminente nel giro di poco più d’un anno. La storia dice «da 20.000 operai civili», ma bisogna ricordare che gli uomini validi erano al fronte, perciò a costruire l’incredibile sequenza di opere di sbarramento che comprendeva complessivamente 70 chilometri di trincee e 700 chilometri di strade e mulattiere furono soprattutto vecchi, donne e ragazzi. Anche a Cavallasca, il tracciato militare che dal paese portava al Monte Sasso fu percorso dalle donne che arrotondavano le magre entrate del bilancio familiare trasportando grandi e pesanti gerle piene di materiali da costruzione. Erano materiali di prima qualità – è possibile rendersene conto oggi osservando come hanno resistito al tempo – che venivano messi in opera cercando di sfruttare al massimo le opportunità offerte dal terreno. Altri provvedevano a scavare la pietra (è visitabile oggi una lunga galleria a U, con un’entrata e un’uscita) per realizzare ripari e ricoveri, senza risparmio di energie. E non hanno certo risparmiato energie gli alpini che, con incredibile accuratezza e sensibile interpretazione della funzione delle strutture che andavano riscoprendo, hanno ridato vita alla vecchia fortificazione. Nei muri delle trincee ai quali i soldati stavano appoggiati con il fucile alla mano sono state trovate le nicchie nelle quali venivano appoggiati i pacchetti di medicazione o i caricatori delle armi. E si sono conservate perfino le maniglie in ferro alle quali ci si aggrappava per balzare fuori in caso di attacco.
Gli alpini non hanno risparmiato sforzi per ridare un senso a quelli che apparivano dei ruderi muti, ma continuano a non risparmiarsi in un’altra opera che merita di essere sottolineata: si trasformano regolarmente in guide volontarie per le numerose scolaresche che visitano la zona. Guide particolarmente apprezzate per la capacità di descrivere i dettagli della vita in trincea e il senso militare della fortificazione, ma anche per l’amore per il territorio che essi non proclamano ma dimostrano concretamente, come hanno fatto proprio in questo angolo della Spina Verde. Per i ragazzi, la visita al Monte Sasso si trasforma così in un’occasione affascinante di studio di una pagina di storia minore ma non certo insignificante, una storia nella quale il ruolo centrale non è affidato al rombo dei cannoni o allo scoppio delle bombe, ma ai passi silenziosi di chi saliva sentieri scoscesi sotto carichi sfiancanti e - se è consentito – anche la storia di gente dal cuore grande e dalla penna sul cappello che l’amore alla propria terra sa dimostrarlo con i fatti.
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