Cultura e Spettacoli
Lunedì 30 Marzo 2009
Hai successo?
Allora ti stronco
Il critico Panzeri e Chiaberge, il responsabile de "Il Sole24Ore" domenicale, intervengono sulle "bocciature" di Vitali (Il Riformista) e Saviano (La Stampa)
Gli ultimi casi di stroncatura di scrittori assai dissimili tra loro, quali possono essere Andrea Vitali e Roberto Saviano, autori di libri profondamente diversi, l’uno impegnato nella costruzione di una lunga "memoria" di provincia, alla maniera di un Balzac che si nutre di grottesco e di pietà verso i suoi personaggi e l’altro sperimentatore di una narrazione presa direttamente dalla realtà, ma raccontata con il piglio del vero romanziere, sono gli ultimi casi di un giornalismo culturale che in questi anni si è allontanato sempre di più dall’esercizio critico e tende soprattutto a "sparare" su quei libri o su quegli autori che dimostrano di essere amati dal pubblico. E quindi fanno notizia. Con un "ritorno" in termini di "immagine" e di visibilità per il giornalista stesso, autore della stroncatura. Non è nuovo come atteggiamento, ma attraversa il sistema culturale italiano, fin dagli anni Sessanta, quando il "Gruppo 63", quello degli "sperimentatori" metteva alla berlina autori come Giorgio Bassani o Carlo Cassola, definendoli «le Liale» della narrativa italiana e invitando a un cambiamento di rotta, ad una scrittura più sperimentale. Più che analisi dettagliate delle opere dei "bocciati" le loro invettive erano petardi che venivano sparati qua e là, in quel caso per sostenere una nuova funzione letteraria, un rinnovamento. Il tempo però ha avuto ragione non sugli stroncatori, ma sui bocciati. Giorgio Bassani e Carlo Cassola vengono letti ancora oggi e i loro libri più famosi sono continuamente ristampati nelle collane economiche, mentre dei romanzi dei narratori sperimentali di allora, da Sanguineti a Balestrini, non vi è più traccia in libreria. A volte le stroncature sono usate come "regolamenti di conti" nell’ambito della società letteraria e basta che un autore riscontri un minimo di successo popolare, per essere messo all’indice. Prendiamo gli anni Ottanta e un autore come Tondelli che di quel decennio è stato un simbolo: acclamato per la scrittura sporca e parlata, tra Kerouac e Cèline, nel 1985, quando decide di fare un esperimento postmoderno, reinventando il romanzo d’azione e quello rosa, in una cornice nazional-popolare, qual è quella di Rimini e balza in testa alle classifiche di vendita, viene severamente stroncato, proprio per questa ragione, per aver utilizzato i meccanismi del romanzo di consumo. L’Italia è fatta così: non si perdona ad un autore di piacere al pubblico, di incontrare il successo popolare. E allora quando questo avviene, soprattutto da parte degli ambienti più progressisti e radical chic diventa "una colpa". È successo anche a Susanna Tamaro che dopo il clamoroso boom mondiale di "Va’ dove ti porta il cuore", viene letteralmente "massacrata" per il romanzo successivo, "Anima mundi". Era il prezzo che doveva pagare, seconda la logica di molti giornalisti culturali. Per quel successo inaspettato, per quel favore che i lettori le avevano regalato. Abbiamo citato solo alcuni casi di autori che hanno dovuto passare sotto la scure della "stroncatura" gratuita, che colpisce alle spalle, ma non argomenta il motivo dell’acredine che ha guidato la battitura del pezzo. Il diritto di stroncatura è sacrosanto e intoccabile, per chi esercita la professione critica che deve esprimere un giudizio articolato sulle opere, valutandole dal punto di vista della coesione tra scelta tematica e impianto stilistico, verificando la riuscita del progetto iniziale e le eventuali scivolate nel banale, nell’ovvio, nella retorica. Nell’esercizio critico tutto questo va bene, se è articolato e se riguarda un’analisi seria dell’opera, che deve essere letta (almeno) e non ha nulla a che vedere con le situazioni mediatiche in cui si infila o in cui viene infilato dal gioco delle strategie editoriali gli autori. I due piani vanno tenuti distinti: da una parte c’è l’opera, il romanzo, la saggistica raccontata, la varietà dei vari generi cui l’autore fa riferimento; dall’altra c’è lo scrittore, la sua visibilità, il suo presentarsi al pubblico, in televisione o con un libro ogni anno, che non risultano colpe talmente gravi da meritare certe stroncature. È certamente lecito anche il diritto di critica sugli atteggiamenti "pubblici" che sceglie un autore, che possono essere sbagliati, possono abusare di frequenza, mandando in libreria un libro ogni anno, creare "mitizzazioni" che possono apparire sopravvalutazioni rispetto alla reale portata dell’autore, ma che non devono sovrapporsi con giudizi affrettati e per nulla spiegati al lettore sul valore delle opere. La stroncatura, vista in questi termini, non porta un reale aiuto al lettore nella scelta dei libri da leggere, ma un giochino giornalistico troppo facile. Così il giudizio, senza un fondamento dettagliato, pone il lettore ancora di più da parte dell’autore colpito dal bersaglio delle penne avvelenate. Tra vent’anni di chi si ricorderà la storia letteraria? Di Vitali o di Saviano? Oppure degli stroncatori che credono di metterli K.O.?
(Critico letterario di «La Provincia», «L’Avvenire» e «Famiglia Cristiana»)
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"Ma agli editori
qualche volta
si deve dire no"
di Riccardo Chiaberge
Come faceva rilevare la rubrica «Le vespe» del Sole 24Ore, a proposito di Roberto Saviano, è che c’è una certa invidia nei confronti del suo successo, che è un successo mondiale, e che chiaramente disturba molto anche autori che non hanno un’uguale affermazione. Questo vale anche per le critiche rivolte ad Andrea Vitali, in una forma molto diversa perché lo scrittore bellanese non è così famoso, anche se certamente è uno scrittore popolare. C’è tuttavia una regola, valida non solo per Vitali, che a volte la quantità va a scapito della qualità: sicuramente si potrebbero fare molti altri esempi di scrittori. Pensiamo allo stesso Camilleri, a volte non ne imbrocca qualcuna, eppure nonostante questo continua a vendere: non è che tutti i romanzi di Camilleri siano ugualmente degni di essere letti, ogni tanto anche lui sonnecchia o lavora un po’ con la mano sinistra. Spesso il problema è l’editore che pretende dall’autore un altro titolo: questa è anche un po’ una condanna a doppio senso. Alla fine diventa un meccanismo che tende a replicarsi proprio per ragioni di mercato, perché è lo stesso editore che sollecita. Bisognerebbe che gli scrittori avessero la serietà di dire: «No, quest’anno non ho l’ispirazione , mi lasci un po’ più di tempo». Possiamo affermare tuttavia che l’esercizio della critica, della recensione come tale è sempre più raro, e quindi magari c’è una tendenza a sparare contro chi è molto affermato.
(Testo raccolto da Manuela Moretti)
* Responsabile dell’edizione domenicale del «Sole24Ore»
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