Houellebecq
e l’equivoco islamico
Un burqa culturale
soffoca l’Occidente

L’uscita di “Sottomissione” a ridosso della strage
di Parigi alimenta un cortocircuito: il libro attacca la perdita dei valori morali, non i musulmani

Due settimane fa, proprio su queste pagine, sostenevo come l’ultimo romanzo di Umberto Eco, “Numero Zero”, fosse un copia-incolla di numerose citazioni, che avevo elencato. Ed è notizia di pochi giorni fa che alcuni passaggi sono stati copiati addirittura non da saggisti, ma da Wikipedia, l’enciclopedia che tutti consultano su Internet. In quel contesto ho sottolineato la genialità di Umberto Eco nel porre l’interrogativo: oggi è più importante il “chi” scrive o il “cosa” scrive? Eco è un genio perché è riuscito a vendere il proprio romanzo- che a oggi è il primo in classifica- non solo ai lettori (tra l’altro la lettura è godibile), ma soprattutto a quei tanti che da mesi avevano prenotato sui propri giornali “anteprime”, “interviste esclusive”, “recensioni” addentrandosi su come Eco in “Numero Zero” fosse riuscito a rendere narrativa il problema di un’informazione sempre più superficiale. Eco si è dimostrato un genio proprio perché è riuscito, con il proprio romanzo volutamente e palesemente copia-incolla, a creare una trappola mediatica, un cortocircuito che resterà nella storia non solo del giornalismo, ma della letteratura. Tutti l’hanno intervistato perché è Eco: non perché è l’eco di Eco.

Vittima e carnefice

Un altro genio è Michel Houellebecq, lo scrittore francese che, sempre vittima e carnefice di un sistema mediatico impazzito, ha fatto parlare in tutto il mondo con il suo “Sottomissione” (Bompiani, traduzione di Vincenzo Vega, 282 pagine, euro 17,50). Uscito nelle librerie francesi lo stesso giorno dell’attentato alla redazione del settimanale satirico “Charlie Hebdo”, da mesi questo romanzo faceva parlare come un “romanzi anti-islamico”. Tanto che tutta questa attenzione mediatica ha costretto l’autore a vivere sotto scorta. Anche qui un altro corto-circuito giornalistico: in tutto il libro non c’è una riga che possa anche solo sembrare contro l’Islam. Anzi. Un altro grandissimo della letteratura contemporanea mondiale, l’americano Thomas Pynchon, nel suo ultimo “La cresta dell’onda” (Einaudi ) è molto più anti-islamico sia per la trama sia per diversi passaggi in cui ricorre il neologismo “I-slam” ( “I slam”: “Io odio). Ecco c’è più violenza in questo “Io odio” di Pynchon che in tutto “Sottomissione”.

I «disordini misteriosi»

La storia, che ha invaso pagine culturali e anche le cronache internazionali, dovrebbe essere nota a tutti. Siamo nel 2012. Da tempo in Francia ci sono “disordini misteriosi” e le elezioni presidenziali hanno un risultato clamoroso: il leader del neonato “Partito della Fraternità Musulmana” vince e tutto sembra cambiare. Sembra: perché i passaggi incriminati, come la sottomissione delle donne «costrette a indossare pantaloni larghi e a lasciare il lavoro» e «chi non è musulmano è costretto ad andare in pensione» sono solo provocazioni all’interno di una cornice narrativa distopica. E da questo punto di vista, quello di immaginare un futuro prossimo venturo lontano dall’utopia, proprio sull’Islam ne hanno già scritto.

Su tutti Chesterton, l’inventore di Padre Brown, che nel romanzo del 1914 “L’Osteria volante” (Bompiani) immagina un’Inghilterra totalmente sottomessa al governo islamico, con il benestare dell’aristocrazia britannica, mentre in un saggio successivo del 1917 e dedicato al generale inglese Lord Kitchener (mai tradotto in Italia, ma trasposto nel film “Khartoum” con Lawrence Olivier e Charles Heston) aggiunge altre considerazioni.

La figura del Profeta

Leggiamo: «C’è nell’Islam un paradosso che rappresenta una permanente minaccia. Questa grande fede nata nel deserto fa sbocciare la sua estasi proprio dalla desolazione della sua terra, e si potrebbe anche dire dalla solitudine della sua teologia. Essa afferma, e con non poca sublimità, qualcosa che non è tanto la singolarità di Dio, quanto la sua solitudine. Con estrema semplificazione, la fede è in tutto simile alla figura solitaria del Profeta Maometto; eppure questo isolamento prorompe perpetuamente nel suo esatto contrario. Un vuoto sta nel cuore dell’Islam che deve essere riempito ancora e ancora dalla mera ripetizione di quella rivoluzione che lo ha fondato. Non ci sono Sacramenti, l’unica cosa che può accadere è una specie di apocalisse, unica quanto la fine del mondo; e di conseguenza non si può far altro che ripetere questa apocalisse e che il mondo finisca ancora e ancora. Non ci sono preti, eppure questa uguaglianza può solo generare una moltitudine di profeti anarchici numerosi quasi come i preti. Proprio il dogma che dice che c’è solo un Maometto genera una processione infinita di Maometti».

E questa è la stessa visione di Houellebecq quando sottolinea che l’unico pericolo dell’Islam è che non esiste una guida, come per noi il Papa. Il vero obiettivo di Houellebecq è in realtà, come in tutti i suoi scritti, non l’Islam, ma la colonizzazione culturale americana (si legga ad esempio “Restare vivi” del 1997). Già in quel libro scrive: «Il mondo soffre perché è libero», mentre in questo “Sottomissione”: «Della libertà l’uomo non ne può più, troppo faticosa». Quello di “Sottomissione” non è «il grido di un uomo murato nella propria rovina», come in tanti hanno evidenziato, anzi.

Libero dalle tentazioni

È un Houellebecq finalmente liberatosi dalle troppe tentazioni di “scrittore corsaro” alla Pasolini (si leggano, ad esempio, il suo intervento sul Pasolini del film su San Paolo in cui sostiene che «l’ambientazione andava fatta a New York che, come l’America, nonostante il dinamismo apparente, è una civiltà decrepita». Per non parlare dei continui rimandi critici in “Sottomissione” a poeti come Charles Cros o il Baudelaire che, 200 anni fa, scrisse: «Il progresso ci americanizzerà e ci atrofizzerà il cuore». Più che contro l’Islam Houellebecq continua a ingaggiare la sua battaglia contro la perdita dei valori morali, politici e sociali del nostro contemporaneo.

Cos’è peggio? Una donna islamica con il burqa o una donna occidentale ormai per lo più ridotta a mero oggetto sessuale? Cos’è meglio? Essere costretti alla pensione o non arrivarci mai? Come scrive nella raccolta di poesie “Il senso della lotta” (edita da Bompiani nel 2000 nella traduzione d’autore di Aldo Nove, ma da tempo fuori catalogo) il vero e unico problema siamo noi occidentali, ormai nichilisti e cinici, perché «Non c’è più granché in fondo ai nostri sorrisi, /Siamo prigionieri della nostra trasparenza».

Siamo noi i colpevoli: sempre a cercare nemici esterni pur di non comprendere che il primo male è dentro di noi. Ormai ciechi nell’ignoranza del nostro burqa esistenziale.n

@gianpaoloserino

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