I 50 anni del “cantalago”
Davide Van De Sfroos

Importante traguardo, l’11 maggio 2015, per Davide Bernasconi: il magnifico “tarlo” della musica italiana. Le sue tante atipicità: il dialetto, il folk, l’assenza dai circuiti commerciali. Eppure il successo continua

Nel 2015 si celebra un doppio anniversario per Davide “Van De Sfroos” Bernasconi: i vent’anni di carriera, contando dalla pubblicazione di “Manicomi”, il disco che segnalò al pubblico e ai critici una piccola band di un minuscolo paesino del Lario, e anche i primi cinquanta di vita, un traguardo che l’artista laghée taglierà domani.

Personaggio assolutamente atipico nel panorama musicale (e non solo) nostrano, Van De Sfroos è il cantautore che più ha fatto discutere in questi due decenni di canzoni, di concerti, ma anche di libri, di poesie, ora perfino di documentari per raccontare il suo territorio.

Filmati atipici, quelli di “Terra & Acqua”, perché tutto quello che riguarda Davide è atipico. È atipica, innanzitutto, la lingua, ma i comaschi, forse, non possono capirlo. Anche chi non frequenta il vernacolo tremezzino, conosce in qualche modo quei suoni e quegli accenti. Basta uscire dalla convalle, invece, è il discorso cambia, non poco. Lingua oscura per i milanesi, distante per bresciani e i bergamaschi, è assolutamente aliena per il resto della Penisola, isole comprese. Eppure, imprevedibilmente, ha funzionato.

Lingue riscoperte

Il pastore abruzzese, il bracciante lucano, perfino l’incontentabile casalinga di Treviso hanno risposto, e con loro decine di migliaia di connazionali che, forse, non hanno imparato il Tremezzino (tanti, complice – anzi, colpevole – il correttore di Word scrivono ancora “Tramezzino”), ma in compenso hanno riscoperto i propri dialetti, le parlate locali, i racconti, storie che apparivano stanco repertorio di nonni sempre meno considerati, rivitalizzate e tornate alla ribalta. Forse è eccessivo indicare in Van De Sfroos il capofila di un “movimento” che mescola vernacolo e sonorità folk: tanti lo hanno fatto prima di lui, tantissimi lo hanno seguito, ma Davide ha dalla sua una forza, una convinzione che lo hanno reso, incontestabilmente, il punto di riferimento per questo genere che quasi genere non è.

Quattro accordi?

Esponendo il fianco alle critiche, anche queste, atipiche. I più generosi van dicendo che Van De Sfroos scrive sempre le stesse canzoni, che non va oltre i tre accordi (uno in più, secondo Elio e le Storie Tese che lo hanno bonariamente sbeffeggiato in “Complesso del primo maggio”: «Impara quattro accordi, ci costruisce un repertorio»), che, insomma, «è sempre uguale». Sarebbe perfino puerile sottolineare che questi detrattori, se interrogati a fondo, confessano di non ascoltare un suo album più o meno da quei vent’anni che si celebrano ora, ma questo non toglie che, in larga parte, abbiano ragione.

Cantante di estrazione folk (nonostante insospettabili passioni collaterali che vanno dal metal più violento alla new age più soporifera), Bernasconi scrive musica semplice per gente semplice e farlo con efficacia, lo sa qualsiasi compositore, è tutt’altro che semplice. Le critiche più forti, invece, non riguardano in alcun modo la musica e le parole, ma la politica. Tanti artisti, in passato, hanno “fatto politica”, pochissimi schierandosi apertamente, altri, per così dire, “lasciando intendere”, non dichiarando, ma mai smentendo perché, inutile nascondersi, certe appartenenze possono fare comodo. Ma Van De Sfroos è atipico anche in questo, e tanti faticano a comprenderlo: non si è avvicinato alla politica, è stata la politica ad avvicinarsi a lui.

Cantastorie degli umili

Canta in dialetto e promuove le tradizioni del territorio che è, poi, quello lariano, quindi lombardo, quindi “feudo” della Lega Nord e i militanti del Carroccio, così come i dirigenti, non si fanno pregare e rispondono all’unisono «Van De Sfroos!» a chi gli domanda qual è il cantante preferito, con la stessa foga con cui esclamano “libertà” in manifestazione e “Buona Padania” quando si congedano al telefono. E lui ha cantato per i leghisti. Ma Davide canta storie di gente comune, umile ed ecco che attira le simpatie degli ex democristiani e dei post comunisti, quel centrosinistra che ne apprezza le doti di “artista del popolo”. E lui ha cantato per i centrosinistri. E il centrodestra? Quello non leghista? Da quella parte si ammirano le doti di grande comunicatore spontaneo e di capopopolo indiscusso: Van De Sfroos è, senza possibilità di smentita, l’“uomo forte” dei suoi concerti. E lui ha cantato per i centrodestri.

Tutti, da destra, da sinistra, dal centro, dal Nord, tutti che si danno di gomito e si stringono gli occhi perché «gli altri possono dire quello che vogliono, ma lui è dei nostri». Invece non è di nessuno, pardòn, di tutti. «Canto le mie canzoni per tutti, vado dove mi chiamano, non chiedo a chi mi ascolta cosa vota e che tessera ha».

Unire e non dividere

Affermazioni che hanno indispettito i più intransigenti, ma che sono perfettamente coerenti con la natura aperta di un artista che, sicuramente, vorrebbe unire e non dividere. Tutto questo è stato coronato da un successo atipico: gli ultimi tre album hanno raggiunto la testa delle classifiche.

L’ultimo, “Goga e Magoga”, addirittura ha sfiorato la vetta, arrivando al secondo posto mentre sulle piattaforme digitali è stato primo per un lungo periodo. Eppure nessuna emittente commerciale trasmetteva le sue canzoni, il videoclip pur totalizzando più di 140mila visualizzazioni su Youtube, non era in “rotation” televisiva e il successo acquisito a Sanremo da “Yanez” (quel video è vicino ai due milioni e mezzo di clic) non garantiva la spendibilità del soggetto per i media. «Evidentemente sono un tarlo nel sistema – commentava – Le canzoni non passano alla radio, il videoclip esiste solo in rete, eppure i dischi si vendono, la gente arriva ai concerti sempre numerosa”...

Che li abbia fregati tutti? Almeno altri cinquant’anni, Davide, magnifico tarlo nella legnosa scena musicale e intellettuale italiana.

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