Cultura e Spettacoli
Giovedì 02 Aprile 2009
Il critico Lea Vergine a Como:
"Arte e moda? Una grande patacca"
La studiosa, tra le più note nel mondo, terrà il 3 aprile una conferenza sui vari aspetti dell'"Arte come specchio di paure e desideri"
"Si discute tanto di scandalo del mercato e di altre sciocchezze, ma l’arte mai come oggi è stata così impegnata": parola di Lea Vergine. La studiosa tra le più note in Italia e all’estero il 3 aprile, alle 21, terrà una conferenza alla Fondazione Ratti di Como sui vari aspetti dell’Arte come specchio di paure e desideri per entrare poi nel vivo di questa forma di “sragionevolezza” che propone una prospettiva diversa sul mondo reale e rincorre da sempre l’idea dell’amore. Lea Vergine è stata uno dei primi critici ad occuparsi della Body Art pubblicando nel 1974 Il corpo come linguaggio. Tra i suoi libri spiccano Arte in trincea (Skira, 1996) e la raccolta Parole sull’ arte. 1965-2007 (Il Saggiatore, 2008). Il suo lavoro ha un tratto profondamente umano e non smette mai di insegnare l’arte della “sciamachia” che si traduce nel combattimento assiduo contro la propria ombra.
Lea Vergine, quale tema illustrerà nella conferenza di stasera alla fondazione Ratti?
La situazione attraversata in questi ultimi decenni, estremamente ricca, ma anche drammatica. Gli artisti oggi spesso fanno della vita un romanzo; qualche volta sono sadici, talora sono infuriati e altre volte sono molto sarcastici. Tutte queste pratiche testimoniano lacerazioni segrete e rappresentano la maschera che indossa la pietà verso se stessi. Non è qualcosa che riguarda solo l’arte, ma tutti noi perchè gli artisti sono innanzitutto umani.
Come si declina l’arte oggi?
L’arte mai come oggi è stata più impegnata a livello politico. Per questo è una sciocchezza affermare che sia diventata soltanto evasione. Un’altra sciocchezza è parlare dello scandalo del mercato perchè vuol dire che si pensa solo a Damien Hirst e Jeff Koons, ma il mondo dell’arte non è solo fatto da queste due persone. È vero che gli artisti citati fanno sobbalzare tutti per le quotazioni delle loro opere dovute soprattutto all’ingresso nel mercato dell’arte di nuovi ricchi che non sono come quelli vecchi. Tuttavia se parliamo di mercato vi appartengono in modo più ragionevole anche artisti come Mona Hatoum, Vanessa Beecroft, Adrian Paci e Luca Vitone che hanno un aggancio alla realtà di oggi e alla dimensione sociale e politica. Vanessa Beecroft, che ora espone al Padiglione d’arte contemporanea di Milano, si interessa sempre ad argomenti di grande attualità, Adrian Paci, artista albanese che vive da tempo in Italia, dimostra grande sensibilità ai problemi dei migranti e Luca Vitone lavora sul tema dell’urbanizzazione della città.
Quale differenza c’è tra le performance di Gina Pane e quelle di Vanessa Beecroft?
Sono due cose completamente diverse. Vanessa Beecroft comunque dipinge con forme e colori, mentre Gina Pane faceva un altro discorso più vicino al teatro e alla psicoanalisi.
Hanno entrambi valore politico e sociale?
Certamente. Adesso si guarda a Gina Pane come a un mito, mentre quando era viva e vegeta non è che fosse così tanto acclamata. È sempre la solita storia che vale soprattutto in Italia: ci si interessa agli artisti solo quando sono morti. Non credo affatto che Mario Schifano avrebbe avuto lo stesso enorme successo anche sul piano del mercato se non fosse morto e così è per Alighiero Boetti.
Chi sono i committenti oggi?
Una volta conoscevano il latino mentre oggi commerciano in carni all’ingrosso.
Ci sono ancora i grandi galleristi?
Ci sono stati Arturo Schwarz e Gian Enzo Sperone, ma parliamo di gente che ha dai 60 agli 80 anni. Tra i più giovani devo riconoscere che ce ne sono alcuni pieni di passione come Pasquale Leccese e Massimo Di Carlo, un grande mercante e un uomo colto.
Che cosa pensa dei vari rampolli e delle presunte signore dell’arte?
Fenomeni da sottobosco che accadono dappertutto.
Come si delineano le figure del critico e del curatore?
Il curatore va in cerca di opere e capitali, e in sostanza fa l’organizzatore, mentre il critico scrive e situa le opere dei pittori e degli scultori in un più ampio contesto storico, ideologico e filosofico. Saranno sempre diverse le mostre di un critico da quelle dei cosiddetti curatori. Se le cose cambiano e muoiono certe figure, come quella del critico, può darsi anche che le mostre vengano fatte direttamente dai collezionisti.
Vuole parlare del rapporto fra arte e moda?
È una delle grandi patacche della cosiddetta comunicazione. Si mettono insieme sarti, pittori e scultori e si dà al pubblico questa marmellata di cose spacciandola per arte. Il sarto bravo non si sogna di mettere la sua gonnellina accanto a Donald Judd pensando di aver fatto arte.
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