Il quarto racconto d'agosto
Cronaca effervescente/7

Si conclude con un colpo di scena l'ultimo appuntamento con le avventure della giornalista Elettra

Durante il gioco, la pistola rimase per tutto il tempo appoggiata sul tavolo, accanto a un posacenere e alla bottiglia di grappa, così da ricordare a Elettra che non si trattava di una partita amichevole. Mentre calava una briscola, un carico o anche una carta senza valore, la canna nera dell’arma le rammentava ogni momento il rischio che stava correndo. Cercò di non pensarci e chiamò a raccolta tutta l’energia che le era rimasta. Rifletté sul fatto che carta dopo carta, partita dopo partita, la situazione stava volgendo a suo favore. Più tempo passava e più c’erano speranze che i militari di pattuglia finalmente avrebbero fatto irruzione. Elettra continuava a giocare quasi senza rendersi conto che, ormai, erano molte più le partite che vinceva rispetto a quelle che perdeva o che finivano in pareggio. «Le carte parlano soltanto con te», sbottò Briscola a un certo punto. «Mai visto nessuno con tanta fortuna». Elettra si sentì punta nell’orgoglio. «Non si tratta di fortuna», ribatté. «E di che cosa, allora?». «Bisogna essere capaci di giocare». «Stai insinuando che io non ne sono capace?». «Lasciamo perdere. Tocca a me fare il mazzo?». «Un momento!», la interruppe Briscola. «Andiamo a fondo di questa storia. Vorrei farti presente che sono un ottimo giocatore. Per quattro volte consecutive campione del Torneo Guardie-Prigionieri disputato annualmente nel Carcere Regionale». «Non sono mai stata in carcere». «E questo che cosa significa?». «Che non so come si gioca là dentro. Magari non tanto bene». «Si gioca benissimo, invece!», urlò Briscola al colmo dell’indignazione. Il contrabbandiere era più nervoso che mai e sulla sua faccia era spuntata una collezione di "tic".
«Sarà meglio lasciarlo vincere un po’», pensò Elettra raccogliendo le carte per mescolarle. «Non vorrei che interrompesse la partita». Mentre faceva il mazzo - questa volta senza trucchi - la colse però il sospetto che, se avesse perduto la mano successiva, la situazione avrebbe potuto peggiorare: c’era il rischio che Briscola sentisse puzza di bruciato. Meglio, allora, procedere per gradi. Decise così di applicare, per una volta ancora, la tecnica di Superasso ma, nel cambiare strategia in corsa, la mano incappò in un’incertezza. Negli occhi di Briscola si accese un bagliore ferino. Scattò come un serpente e afferrò un polso di Elettra. «Che cosa sta succedendo?», ruggì. «Niente! Lasciami andare». Ma Briscola stringeva il polso come in una tenaglia e la costrinse a voltare la mano. Nel palmo c’era un asso di fiori che proprio non avrebbe dovuto trovarsi lì. Il contrabbandiere balzò in piedi afferrando la pistola. «Stai barando!», urlò. «Scommetto che hai barato per tutta la sera». «Non dire stupidaggini», rispose Elettra. «È stato un incidente». «Incidente un corno! Hai barato e basta. Sai cosa faccio, io, ai bari?» Elettra non ebbe bisogno di chiedere informazioni: Briscola le stava agitando la pistola sotto il naso. A questo punto, non sapeva se aver più paura della pistola di Briscola o dello "stress" che, dopo gli ultimi sviluppi della partita, doveva aver raggiunto livelli astronomici e che, in combutta con il salame piccante, si preparava a provocarle un’esplosione atomica nelle viscere. Che la sua sorte fosse legata a una pallottola o a un tremendo mal di stomaco ormai le era indifferente. Lasciò che il destino decidesse per lei e chiuse gli occhi. «Capo...». Era la voce di Sbilenco. «Che cosa vuoi? Ti ho detto di tacere!». «Lo so. Ma qui fuori è pieno di militari...». Elettra aprì gli occhi in tempo per vedere la porta della casupola cedere sotto una spallata. In un batter d’occhio la stanza si riempì di divise: per la gioia, le avrebbe abbracciate tutte. «Nessuno si muova!», gridò l’ufficiale in comando. «Siete in arresto». Briscola soffocò una bestemmia e, dopo aver scagliato a Elettra un’occhiata feroce, tese le mani all’ufficiale perché lo ammanettasse. Ben presto anche gli altri contrabbandieri furono messi in condizione di non nuocere e l’ufficiale si rivolse a Elettra con un impeccabile saluto militare. «Tutto a posto, signorina. Ora scorteremo i prigionieri in città. A questo proposito, avrei un favore da chiederle». «Dica pure».
«Non ho uomini a sufficienza per trasferire a valle i prigionieri e contemporaneamente anche il loro carico. Resterebbe per gentilezza di guardia ai sacchi fino al nostro ritorno?». «Ma certo!». Quando la colonna dei militari e dei prigionieri si allontanò, Elettra poté finalmente rilassarsi: sentiva lo "stress" accumulato in quelle ore sciogliersi come neve al sole. Adesso avrebbe incominciato per davvero a seguire le raccomandazioni del dottore: riposo assoluto e tranquillità sarebbero state, d’ora in poi, le sue parole d’ordine. Almeno così credeva. In quel momento, lo stomaco a lungo silenzioso esplose come un vulcano, irradiando un tormento che sembrava forgiato nella lava. Elettra credette di svenire.

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«Questa storia (concluse il signor Bargilli) contiene una morale: è vero che i cronisti di nera sono sottoposti a "stress" più degli altri giornalisti, ma è anche vero che proprio di "stress" hanno bisogno per vivere. Se ne nutrono come di un nettare e, in sua assenza, crollano. Ricordate? Elettra subisce il primo attacco di mal di stomaco mentre cerca di rilassarsi a teatro e il secondo quando il pericolo, nella casupola, è ormai scampato...». «Insomma, Bargilli!», protestò uno dei giornalisti che aveva seguito il racconto senza fiatare. «Che cosa, mio caro?». «Vuoi dirci come è andata a finire? Elettra svenne, oppure no?». «No: ci mancò poco ma non svenne. Per tenere a bada il dolore, camminò a lungo avanti e indietro. Poi incominciò a sfasciare ogni cosa: il tavolo, le sedie, la finestra. Infine, non le restò che prendere a calci i sacchi accatastati contro il muro. Va sottolineato che uno di questi si ruppe, rivelando la natura del prezioso carico di Briscola...». «Sarebbe a dire?». «Due quintali di Polvere Effervescente del Dottor Stroud».

Mario Schiani

(7 - fine)

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