Il racconto d'agosto de La Provincia:
"Il critico innamorato" / 4

Mughetto si presentò alla mostra sottobraccio alla fidanzata-artista. "Mi chiedo chi possa essere La Croûte", disse Clarissa scrutando i presenti

Nelle due settimane che precedettero l’inaugurazione della mostra - annunciata nella prestigiosa galleria centrale Madame Gâchis - l’animo di Mughetto Sinni si macerò nella colpa e nello stordimento, un po’ come accade al monello che consumi in una sola sessione il sigaro sottratto allo zio in visita dal Sudamerica.
Il nostro critico non riusciva a chiudere in modo soddisfacente il bilancio della sua contabilità sentimentale. Nella colonna delle "entrate" poteva annotare l’amore di Leggera e la bontà del piano escogitato per mandare in porto l’operazione di sfidanzamento; alla voce "uscite", però, non poteva fare a meno di considerare il suo atteggiamento ingeneroso nei confronti di Clarissa, ragazza pestilenziale in fatto di iniziative ludiche, ma anche in perfetta buona fede nella convinzione di possedere un autentico talento artistico. Dopo la recensione di La Croûte, si sarebbe ritrovata non solo priva di fidanzato, ma anche con ogni aspirazione pittorica divorata come un sandwich al cetriolo durante il tè pomeridiano.
Lo scrupolo, insomma, tormentava Mughetto e lo tormentò fino al giorno in cui, sottobraccio alla fidanzata-artista, si presentò alla galleria per l’inaugurazione.
Clarissa, lo si può ben immaginare, era nervosa ed eccitata: si guardava intorno con il movimento scattante tipico dei piccioni impegnati a individuare le briciole di pane rimaste sull’acciottolato.
«Mi chiedo chi possa essere», disse stringendo il braccio di Mughetto.
«A chi ti riferisci, mia cara?»
«Ma a Deniche La Croûte, naturalmente! Sono certa che è già qui, impazzisco all’idea di non sapere chi sia».
«Un po’ di pazienza...», pensò Mughetto. «Solo un po’ di pazienza». Ma una fitta di rimorso gli trafisse il costato.
«Credi che sia quel tale?», insistette Clarissa. «Vedi quel tipo odioso laggiù? Quello con gli occhi porcini e le mani da bufalo sovrappeso. Oh, sono quasi sicura che è lui. Dev’essere un tipo del genere, sudicio e sgusciante».
Mughetto si irrigidì. «Che cosa te lo fa pensare?»
«Non hai letto le sue recensioni? Non trovi che rivelino un’indole subdola? Solo un topo fiero della sua provenienza fognaria potrebbe concepire simili bassezze. Guarda quell’altro tale vicino al mio Ritratto di Alcione con Dentiera! È lui! Osserva la fronte bassa, il sopracciglio folto, l’occhietto vizioso...»
«Dubito che La Croûte abbia un aspetto così deplorevole...»
«Ma sì, ti dico! Hai presente quella sua scrittura volgare e négligé? Dev’essere uno di quei parassiti della società che si nutrono di invidia e croste di formaggio... Un autentico miserabile».
Era troppo.
Il risentimento di Mughetto aveva poco a che fare con le croste di formaggio: fu l’accusa di covare invidia a ferirlo.
Mai e poi mai aveva scritto una recensione spinto da un così basso sentimento. Non poteva negare di essere drastico nei suoi giudizi. Perfino crudele. Mai meschino.
Le parole di Clarissa gli restarono impresse nella mente e passarono davanti ai suoi occhi mentre, quella sera stessa chiuso nello studio di casa, inseriva un nastro nuovo nella macchina per scrivere. «Bufalo sovrappeso, eh? Invidioso, eh? Miserabile, eh? La vedremo».
Di colpo si manifestò il volto sorridente di Leggera: «Fallo per me, amore. Fallo per noi».
Mughetto avvicinò un foglio vergine al rullo e lasciò che la macchina affamata lo ghermisse. Non appena la prima lettera si stampò sulla carta non c’era più nessun Mughetto nei paraggi: al suo posto - gli occhi iniettati di sangue - sedeva Deniche La Croûte.


<Come i più affezionati lettori sanno bene, la mia collaborazione con La Nostra Voce dura da anni. Anni, mi sia consentito di aggiungere, del tutto meravigliosi: mai uno screzio con la direzione, mai una discussione.
Anche per gli amici più cari, tuttavia, presto o tardi si presenta la necessità di un chiarimento. Questo momento è arrivato e credo sia opportuno affrontarlo subito e in sede pubblica, in modo da evitare che incancrenisca e, di conseguenza, possa produrre conseguenze più gravi.
Mi appellerò direttamente a Lei, caro signor Direttore, e lo farò per rivolgerLe una domanda precisa: che cosa ho mai fatto di così malvagio perché Lei, dopo anni di onorato servizio, si sentisse in dovere di infliggermi una punizione così grave? Com’è possibile che Lei, la sera, si corichi accanto alla signora moglie Direttrice senza che il rimorso di quello che ha fatto Le tormenti le viscere? Perché, in nome di Dio, tra tutti gli uomini disponibili ha scelto me per recensire la mostra Visioni e sbalordimenti alla galleria Gâchis.
Fin dal mio arrivo, ho sospettato dovesse esserci un errore. La prima sala, infatti, annunciava un assortimento di "nature morte". E morte erano di certo, queste nature, ma sicuramente non per cause naturali. Perché, allora, scomodare un critico d’arte quando un cronista di "nera" si sarebbe mosso con molta più disinvoltura tra questi delitti irrisolti?
Il sospetto è diventato certezza quando sono passato alla seconda sala, allestita sotto l’insegna "ritratti". Mi sono chiesto: per quale bizzarro motivo il signor Direttore ha voluto che guardassi queste foto segnaletiche, questa desolante galleria di facce criminali, di lineamenti contorti dal vizio, di volti minati dal tarlo dell’alcolismo? Voleva forse che riconoscessi tra loro l’autore di un crimine efferato, il rifiuto umano capace di un attentato anarchico, l’assassino di innocenti virgulti?
Se è così, signor Direttore, sappia che, nonostante l’indignazione e il disgusto, ho portato a termine il compito assegnatomi. Ho annotato nel mio taccuino il nome del responsabile di tante indicibili  nefandezze. E sono in grado di rivelarlo ai lettori.
Questo nome è quello di Clarissa Barozzi-Patrulli...>.

Mario Schiani

 (4 - continua)

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