La Lario story di Dino Risi

Una cugina centenaria, una gita da balilla ad Erba in compagnia di un cuoco omicida e i film che lo hanno consacrato

L’ingresso di Dino Risi nel mondo del cinema, senza dubbio tra i più dolci, fu comasco. Non lariano, però, ma ceresiano. Venticinquenne medico specializzato in psichiatria, convinto dopo sei mesi di manicomio di avere sbagliato strada, ad un Risi un po’ flaneur nel negozio milanese di un amico antiquario fu Alberto Lattuada ad offrire quella che sembrava quasi un’evasione. Un non meglio determinato lavoro su un set cinematografico in Valsolda. A Oria Mario Soldati girava “Piccolo mondo antico”, a Dino Risi sorrise, presa da un amore repentino per il nuovo venuto, Alida Valli. Nientemeno. La gelosia di Soldati è un capitoletto a parte della liaison, così come con più disincanto che nostalgia (la promessa di lei dal finestrino del treno per Roma di rivedersi presto, invece sarebbero passati cinquant’anni prima che i due si reincontrassero al Quirinale, per essere insigniti dal Capo dello Stato di un’onorificenza) riferito da Risi medesimo in un libro, “I miei mostri”, che non tradisce il titolo: è come una delle sue migliori commedie, una autobiografia ironica e autoironica, sapida, montata con ritmo perfetto. Con più di un riferimento comasco del regista che, nonostante vivesse dai primi anni cinquanta a Roma, si sentì sempre il milanese che era e al quale, da bambino, occorse un episodio quanto mai degno del titolo del libro. Scolaro, racconta di essersi recato con tutta la classe a Erba, per la prima volta in divisa da balilla: a lui, refrattario, l’aveva recapitata il maestro - si chiamava De Amicis – in modo che si uniformasse ai compagni in quella sorta di gita scolastica comprensiva di risotto in una trattoria dell’Erbese. A tavola il maestro De Amicis si era permesso una minima fronda svariando sugli altisonanti saluti di regime e l’improvviso sopraggiungere dei Reali Carabinieri doveva avere gelato tutti, anche se si erano subito infilati in cucina traendone ammanettato il cuoco. Reo, racconta ancora Risi, come poi la classe aveva appreso, d’avere tagliato la testa alla moglie con gli attrezzi del mestiere. A tavola,il secondo restò nel piatto. Absit injuria verbis, ma è in quello stesso libro che Dino Risi non dimentica il compleanno di Carla Porta Musa centenaria, occasione festosa per cui il regista, all’epoca prossimo ai novanta più che agli ottanta, annota celiando sull’età di essere tornato a Como. Sulla sponda comasca del lago, nella pienezza della sua attività di regista, quando la vocazione che sul vicino specchio d’acqua luganese ancora non sapeva d’avere sarebbe invece giunta dalle parti del capolavoro, aveva girato la prima parte di “Una vita difficile”. Una delle location lariane più riuscite in assoluto, con Alberto Sordi in vesti di partigiano. La dimostrazione, a ben vedere, dell’imprinting lacustre, ai tempi di Oria Valsolda, del futuro regista Dino Risi: sul Verbano, ormai in fine di carriera, l’avrebbe confermato il senso del mistero del lago che avvolge “La stanza del vescovo”.

Bernardino Marinoni

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