Cultura e Spettacoli
Lunedì 10 Agosto 2009
L'altra conversione
di Alessandro Manzoni
Quella che si verificò a Parigi nel 1810 fu una svolta "letteraria" più che autenticamente di fede. Lo sostenne il grande critico Natalino Sapegno: quella lezione è oggi pubblicata dall'editore Aragno, insieme ad altri scritti che l'italianista Vincenzo Guarracino ha letto per noi. Ma su don Lisander vi proponiamo anche altri due approfondimenti: la notizia della sua passione per i vini rari e il mini-show degli Oblivion, il gruppo bolognese che ha ridotto in 10 minuti "I Promessi Sposi".
Fu un uomo profondamente tormentato e complesso, nei suoi comportamenti più che nei suoi scritti, Alessandro Manzoni. (...) la famosa "conversione" del 1810, a Parigi. Un episodio, questo, su cui molto si è favoleggiato e scritto e su cui tante cose hanno inciso, a partire dalla presenza e dall’influenza della moglie Enrichetta Blondel. Una "conversione" (che sarebbe più esatto definire, più che una "frattura", un approdo e una rielaborazione del patrimonio ideale assimilato negli anni di formazione e poi per giovanile intemperanza rigettato), che da religiosa si rivela essere anche e forse più ancora letteraria, dando i suoi frutti in opere che denotano un’adesione sempre più matura e coerente a una concezione della letteratura di tipo molto particolare. Quella per intenderci dell’«utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo».
(Estratto dall'articolo di Vincenzo Guarracino, pubblicato sull'edizione dell'11 agosto de "La Provincia")
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E i "Promessi Sposi"
divennero un musical...
Sono stati il caso teatrale e mediatico dei mesi scorsi. Gli Oblivion, gruppo bolognese composto da cinque attori-cantanti, è riuscito nell'impresa di ridurre a un musical di dieci minuti "I Promessi Sposi", capolavoro di Alessandro Manzoni. Pochi giorni dopo la pubblicazione su Youtube, lo spettacolo era già cliccatissimo. Risultato: dopo 150 mila contatti in 2 mesi e 750 commenti su Youtube, il gruppo è riuscito a portare "I Promessi Sposi" al Teatro Parenti e poi al Ciak di Milano. Forza dei classici? Per farvi un'idea:
http://www.oblivion.it/html/viewvideo.php?id=47.it
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Manzoni, il vizio
del "bicchierino"
(Da "La Provincia", 6 ottobre 2008)
di Emilio Magni
Manzoni amava bere un suo vino esclusivo, il Serbillano, prodotto sulle colline del Verbano. A "don Lisander" piaceva tanto il Serbillano da convincere, una volta a tavola, l’astemia Giulia Beccaria a gustarlo con disinvoltura. Su queste piacevoli debolezze manzoniane si dissertò e si scoprì qualche gustoso particolare, durante alcuni convivi brianzoli, colti ed epicurei, di qualche decennio fa.
Erano i tempi in cui scivolava via, piacevolmente pigra, la gaudente adunata vespertina di amici intorno alla tavolata imbandita e il conversare vagava sulle qualità dei vini, come accade sempre quando le menti prendono a farsi un po’ torbide per i ricorrenti apprezzamenti delle mescite che l’oste, esperto e generoso, andava facendo. Erano della compagnia intelletti vivaci, colti, pieni di passioni per le varie muse delle arti e degli ingegni, tanto che la conversazione, una sera, andò allargandosi, con concetti e riflessioni dotte, sulla letteratura dell’Ottocento passando disinvoltamente da un poeta all’altro: dal Porta al Manzoni, dal Foscolo a Leopardi. Con il bicchiere alzato, con inconscia frequenza, per celebrare le più celebri rime, venne naturale cercare un abbraccio tra la poesia e il buon vino. Ed è stato così che largo si è fatta la pretesa di conoscere se anche i grandi poeti dell’Ottocento amavano il vino e in particolare di che colore e qualità. In prima battuta la discussione sembrò andare a perdersi in un mare di ovattate prostrazioni perché, presi così di botto, i conversatori non seppero tirare fuori risposte concrete. Poi, lentamente la situazione riconquistò qualche tono vivace grazie a uno dei commensali il quale tirò qua un sonetto nel quale Carlo Porta celebrava il vino semplice delle contrade meneghine, sostenendo: «Che Toccai, che Alicant, che Sciampagn, / che pacciugh, che mes’ciozz forest! / Vin nustran, vin di nost campagn». Altre voci si alzarono per ricordare che , anche se con poche parole, nello Zibaldone, fu Giacomo Leopardi a conferire valore e gloria al vino definendolo «il più certo e (senza paragone) il più efficace consolatore », celebrando il suo valore, la sua natura ed asserendo che alcuni esperti suggeriscono: «Volendo dalle donne quei favori, giova prima bere buon vino». Davanti a queste ardite affermazioni qualcuno restò tra l’incredulo e il sorpreso. Un altro s’azzardò a dire che Leopardi talvolta sorprende proprio ed aggiunse che il poeta di Recanati scrisse addirittura una poesia contro la minestra che proprio non gli piaceva. Mentre su queste battute la serata andava smorzandosi, di colpo si alzò il notaio Franceschetti, uno degli animatori, di quei raduni epicurei, e annunciò d’improvviso che lui sapeva che Alessandro Manzoni era uno cui «piaceva bere» e soprattutto sapeva «bere giusto». Di colpo l’atmosfera si rianimò e l’ingegner Mazzoleni, che amava focosamente «don Alessandro » e tutte le sue opere, rimase sconvolto, quasi offeso. Riuscì solo a dire: «Addirittura », poi riacquistò vigore e disse: «Lo dimostri». Il notaio annunciò di aver scovato delle carte dei primi del 900 che parlavano di una scoperta di «cose interessanti» fatta nelle cantine della Villa Torricella, sopra ad Erba (Como), citata più volte dal Porta e dimora del Manzoni nel 1859. Al momento non poteva esibire prova alcuna, ma alla prossima adunata avrebbe dimostrato che il Manzoni amava bere un vino «straordinario », chiamato Serbillano di Lesa, prodotto sui colli del Lago Maggiore, dove era la dimora della famiglia dei conti Borri Stampa, quella della sua seconda moglie Teresa, che era proprietaria anche di Torricella. La congrega degli amici gaudenti non perse tempo. Pochi giorni dopo, davanti alla tavola imbandita, il notaio esibì, delle carte ingiallite. Era una copia della mensile Emporium, che il famoso «Istituto d’arti grafiche di Bergamo » pubblicò per molti decenni tra l’Ottocento e il Novecento. Nel numero del febbraio del 1932 lo scrittore Ezio Flori (autore di importanti lavori sulla vita privata di casa Manzoni, conservati all’«Istituto studi Manzoniani») racconta che all’inizio del secolo scorso la villa di Torricella fu acquistata dall’imprenditore e mecenate Luigi Silva di Seregno, ricco personaggio, tecnico dell’agricoltura, dell’industria e della finanza. Preso possesso della celebre dimora il Silva andò a rovistare un po’ qua e un po’ là. Sistemò la camera da letto che accolse il Manzoni e altri reconditi anfratti. La scoperta più bella fu in cantina dove stava una trentina di bottiglie che venivano da Lesa. Flori scrive: «E allora si comprese che era del Serbillano, quel famoso vino del lago che piaceva tanto a don Alessandro, che quando appariva in tavola, a casa Manzoni, faceva per dispetto torcere il viso a donna Giulia Beccaria, ad alcuni commensali dire che fra tutti gli altri vini lo preferivano e don Alessandro protestare di voler lui solo possedere tutte le brente disponibili a Lesa. E allora donna Giulia acquietarsi e, tra la sorpresa generale, berne più di un bicchiere». Il vino Serbillano amato da Manzoni? Ora se ne sono perse tutte le tracce e il suo vitigno è dimenticato. Come tanti altri celebri se l’è portato via la fillossera. Per fortuna quel prezioso storico che fu Ezio Forni ne scrisse su l’Emporium un tempo giornale assai prestigioso ed ora assurto a pezzo raro per i collezionisti.
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