Cultura e Spettacoli / Como città
Domenica 07 Luglio 2013
L’Arena al test Trovatore
Decisive le voci femminili
Chiarini e Daolio su tutti: applausi a quest’opera in chiaroscuro
L’acustica dello spazio non ancora al meglio, bene il Coro Aslico
E venne il giorno della lirica ritrovata all’Arena. Dopo “Carmina Burana” con le sue grandi masse sonore, il grande palcoscenico diviso a metà fra interpreti musicali e coreografici, le prime impressioni sulla resa acustica del rinnovato spazio all’aperto nel cuore della città, appassionati ed esperti attendevano una prima operistica per tastare definitivamente il polso musicale dell’Arena.
“Il trovatore” di Verdi in edizione Aslico e la (finalmente) calda sera estiva di venerdì hanno dato risposta alle attese. A cominciare dal palcoscenico, tornato alla prevedibile collocazione centrale estesa dall’intera facciata del Canonica verso la platea, con l’orchestra ai piedi, fra palco e pubblico. Dal posto laterale di fila centrale l’insieme sonoro arriva, in effetti, un po’ schiacciato: basta, per assurdo, retrocedere di poco, dove il fondo dell’arena inizia una leggera pendenza, perché il suono di coro e cantanti solisti “passi” con sufficiente chiarezza. Spostamento possibile perché il pubblico non ha esaurito i posti disponibili alla “prima” di questo “Trovatore” di giovani promesse Aslico, speriamo distribuendosi nelle due serata previste.
Si replica stasera (domenica 7 luglio) alle 21.30, ma si attenderà che cali il buio: non potrebbe essere altrimenti, dal momento che il maggior punto di forza dello spettacolo si rivelano essere le “scene di luce” di Fabio Massimo Iaquone e Luca Attili proiettate sulla facciata.
La “skené” fissa dell’antico teatro greco, in Arena composta facciata ottocentesca, si anima modernamente per tutto lo spettacolo di quelle proiezioni luminose alle quali i comaschi sono ormai abituati nei grandi eventi e che qui diventano ancora più ricche ed efficaci. Resta dunque modernamente vuota d’oggetti la dimensione orizzontale del grande palcoscenico, lasciata al gioco dei corpi delle masse sceniche: la regia di Matteo Mazzoni non è particolarmente originale in tal senso, riportando a una sorta di rallentatore che non si capisce se sia scelta o condizione contingente.
Con l’occhio accattivato ora dal caleodoscopio floreale, ora dalle trasformazioni in movimento della facciata, ora dalle geometrie, cerchiamo di concentrarci sul suono. Superato il piccolo rimpianto per come doveva essere il silenzio ottocentesco di fondo, ci si può concentrare sul capolavoro verdiano.
Il giovane direttore Francesco Cilluffo, che ha già portato questo “Trovatore” nel circuito Pocket Opera dei piccoli teatri storici, riesce a “tenere” pressoché dall’inizio alla fine l’orchestra con il palcoscenico vocale: a patto però - e lo capiamo - di controllare meticolosamente il dato velocità, con qualche inevitabile appesantimento. In scena, con un Coro Aslico soddisfacente in ogni situazione, è un cast solistico non proprio omogeneo.
Se Alexandru Aghiene è un Conte di Luna localmente prestante, Ji Myung Hoon è un Manrico volenteroso ma senza un controllo sufficiente del suo mezzo vocale; più unito il duo femminile con una Cinzia Chiarini che rende Azucena con grandi vibrati e senso della drammaticità insieme a una Serena Daolio buona Leonora.
Pubblico convinto negli applausi solo alla fine, tiepido a scena aperta.
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