LECCO Perché Lear, perché Amleto? E i tragici greci, Molière e Goldoni. Perché Beckett. Sono le domande che si pongono ogni volta che a teatro viene riproposto un classico. Cosa ha da dire un testo scritto secoli fa, a noi contemporanei supertecnologici iperconnessi.
Cosa ha da dirci un testo del 1605, che parla di un vecchio re, delle sue figlie, di alcuni uomini a lui fedeli e di altrettanti infedeli, di una tempesta che cancella i contorni delle cose e confonde, lasciando che la morte faccia il suo corso.
Tragedia del potere e del dovere, qui e là grottesca, dramma dell’amore filiale e del tradimento, affresco di un mondo piombato nel caos. Ci sono parecchi punti in comune in Re Lear di Shakespeare con i nostri tempi. Anche ora come allora carneficine, tradimenti, ricerca del potere a ogni costo e attraverso ogni forma di governo. Conflitto generazionale.
E allora di nuovo, perché Lear? Lo chiediamo a Michele Placido, regista e interprete di “Re Lear”, con il quale debutta stasera, domenica 16 novembre, la stagione di prosa del Sociale di Lecco.
«Il testo di Re Lear è sempre al passo con i tempi. Che è la virtù dei classici. E’ sempre attuale perché racconta di come l’uomo non riesce a imparare nulla da se stesso, dai suoi errori politici e famigliari. Inoltre c’è una corrispondenza molto evidente con l’assenza di valori della nostra epoca, con la discesa morale a livelli sempre più bassi, con lo sfilacciarsi di rapporti che si deteriorano, con i conflitti che sorgono un po’ dovunque».
Tutta l’intervista su “La Provincia di Lecco” in edicola domenica 16 novembre
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