Cultura e Spettacoli
Giovedì 15 Gennaio 2009
Margherita e Benito
l'idillio a Cavallasca
Il giornalista comasco Roberto Festorazzi ha raccolto le rivelazioni della baronessa Jsa von der Schulenburg, ospite nel '54 della Sarfatti, al villino Il Soldo
Si torna a parlare di Margherita Sarfatti, di questa grande protagonista del Novecento europeo nota soprattutto al grande pubblico per essere stata, per quasi vent’anni, amante di Benito Mussolini. Chi scrive, lo scorso mese di settembre, ha ricevuto importanti confidenze dalla baronessa Jsa von der Schulenburg, che dal 3 al 5 settembre 1954 fu ospite della Sarfatti al villino Il Soldo di Cavallasca, alle porte di Como, in prossimità del confine svizzero.
La Schulenburg, 88 anni splendidamente portati, è la vedova di un aristocratico tedesco, il barone Werner, figura di diplomatico e di letterato, amico del Duce, scomparso nel 1958. In quella tarda estate di 55 anni fa - questo il suo racconto - la baronessa Jsa venne mandata "in missione" dal marito nel cottage di Cavallasca (acquistato dalla Sarfatti esattamente cent’anni fa: nel 1909). Scopo del viaggio era di convincere l’amica Margherita a non pubblicare un libro che, nelle intenzioni dell’autrice, avrebbe dovuto essere un j’accuse contro Mussolini. L’intervento fu provvidenziale e sortì l’effetto desiderato, perché l’ex consigliera politica del Duce, già oggetto di un tenace ostracismo da parte del mondo intellettuale dopo il suo rientro in Patria dall’esilio (nel 1947), probabilmente a quel tempo sarebbe stata fatta a pezzi dall’intellighenzia nostrana, e come minimo accusata di tardivo pentimento, se avesse dato alle stampe una tale opera.
Così Margherita Sarfatti rimase con le labbra cucite, fino alla sua morte, avvenuta nel 1961, rifiutandosi di parlare nuovamente di Mussolini. Una rimozione totale? Non proprio, perché, agli intimi amici, come gli Schulenburg, l’ex "dittatrice delle arti" rivelava eccome la sua intima delusione nei confronti dell’uomo che aveva contribuito ad affinare politicamente, come statista, nei primi anni del suo governo. Relegata definitivamente in un angolo, dopo la guerra d’Etiopia del 1935-36, nel novembre del ’38 la ninfa Egeria del fascismo dovette espatriare per non finire vittima - in quanto ebrea - delle discriminazioni introdotte dalle leggi razziali. Werner von der Schunleburg apparteneva alla cerchia degli amici e dei collaboratori più fidati della Sarfatti. Per questa ragione, egli si sentì in dovere di inviare a Cavallasca la giovane consorte per risparmiare a Margherita nuove cocenti delusioni ed amarezze.
Il racconto di quella visita è affidato alle parole stesse della baronessa Jsa: «Mi accolse al Soldo con grande affabilità. Si creò subito un clima amichevole. Parlammo a lungo insieme e tutti i colloqui avvennero in tedesco. Io ho l’impressione che lei cercasse un biografo e che pensasse a me. Si parlava del dopoguerra, della famiglia, e ricavai la sensazione che desiderasse apparire sotto un’altra luce. Mi dedicava tutta la giornata. Andammo fuori in campagna, dal contadino, mi portò nella sua biblioteca, mi disse che nel mio letto aveva dormito Napoleone. Si aprì a confidenze con me, come aveva fatto con poca gente. Era un’intellettuale con orizzonti vastissimi, aveva un modo di vivere il mondo che mi pareva straordinario. Non è sufficiente descriverla come una donna di classe. Era una dama du grand monde. Mi offrì da bere del cognac. Mi mostrò come faceva ginnastica, alla porta. Aveva una personalità più complessa di quella di Mussolini. Non si può descrivere la sua compagnia, si poteva soltanto goderla».
A Jsa Schulenburg, Margherita svelò che il Duce, la notte della Marcia su Roma, tra il 27 e il 28 ottobre 1922, si era rifugiato impaurito nel villino di Cavallasca, pronto ad espatriare in Svizzera, nel caso in cui il colpo di Stato fascista fosse fallito. Fu la Sarfatti a rincuorarlo, in quelle ore decisive, convincendolo a desistere da quel proposito che gli storici hanno finora ignorato: tutti i libri (a cominciare dalla biografia "Dux", scritta proprio dalla Sarfatti) raccontano infatti che la sera del putsch Mussolini si trovava a teatro a Milano. Ma la baronessa Schulenburg mi ha svelato altri particolari inediti del suo lungo dialogo con Donna Margherita. Ecco la sua testimonianza: «Di Mussolini mi raccontò di quando andava a cavallo con lui nella campagna di Cavallasca. Poi accennò al volto del Duce, così come viene mostrato in molte fotografie, con l’atteggiamento duro del dittatore. Mi disse che spesso le avevano chiesto se fosse così rude anche come amante. E poi mi fece vedere delle fotografie di Mussolini con il volto rilassato, come si possono trovare ancora su alcuni libri. Espressioni in cui egli appare simpatico». Un altro delicato capitolo della vita intima, della vicenda biografica di questa grande protagonista del secolo trascorso, è quello riguardante la conversione della Sarfatti al cristianesimo. Anche a questo proposito, la vedova Schulenburg ci regala preziose rivelazioni, frutto di quei colloqui confidenziali di 55 anni fa: «Me ne parlò apertamente, senza imbarazzi. Mi disse che la sua educatrice, quand’era bambina, le insegnò il tedesco, la vecchia scrittura gotica, e molto altro sulla cultura germanica. L’istitutrice era cattolica romana ed aiutò la ragazzina a comprendere l’ambiente cattolico veneziano in cui viveva. Così Margherita acquistò un’inclinazione che crebbe gradualmente. Tale evoluzione non fu affatto influenzata dalla politica. Ricordo ancora le sue precise parole: "Deve sapere, Jsa, che ancora nel Settecento, proprio a Roma, a tutte le processioni solenni venivano portate anche alcune statue di divinità greche. Alcuni stranieri indignati, una volta domandarono al cardinal Albani i motivi di questa abitudine pagana ed egli rispose: la rappresentazione ebraica di Dio e le divinità greche sono gli antenati del nostro credo, i loro pensieri migliori sfociarono nel cristianesimo. In modo analogo succede a me. Sono legata al credo cattolico e porto molto coscientemente dentro di me i segni della mia provenienza"». Questa era Margherita Sarfatti. Di lei, fatalmente, ci dovremo occupare ancora a lungo.
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