Matt Manent: "Ecco il mio rap educato"

Il musicista cabiatese: "Racconto quello che vivo, niente droga e violenza"

La musica nel comasco continua a dare segnali di grande vitalità, con una molteplicità di generi e nuovi interpreti pronti ad emergere con progetti e produzioni interessanti. Tra questi si colloca il rapper Matt Manent, all’anagrafe Mattia Colombo, 24 anni, di Cabiate. Una laurea appena conseguita in Mediazione linguistica e culturale, un e.p, "Dedalo", realizzato nel 2006, Matt ha pubblicato in questi giorni il suo primo album, "Palestra di vita" che vanta numerose collaborazioni e si propone come un emblematico esempio della corrente più riflessiva dell’hip hop, il cosiddetto "conscious rap", che si occupa di temi sociali, senza esaltare gli eccessi (in contrapposizione con il gangsta rap). Iperattivo, Colombo affianca all’attività musicale la conduzione di un programma radio online, Streetbeat, diventato un punto di riferimento per gli amanti del genere e si è fatto conoscere nel giro underground internazionale dell’hip hop grazie al primo pezzo rap della storia scritto in cinque lingue diverse, "Universal speaker". Il video del singolo "Ovunque tu sia" sarà presto su All Music.
Il titolo del suo album fa pensare ad un lavoro autobiografico, è così?
"La palestra di vita di cui parlo è la mia. Come rapper tengo molto al valore dei testi, al valore culturale del rap inteso come poesia. Non cerco il facile ascolto o il facile scandalo. Racconto storie mie o di quello che mi circonda con un’attitudine positiva. Sono figlio di un operaio e di un’infermiera, ho visto le persone a me più vicine fare fatica veramente per guadagnarsi la giornata. Ho sempre guardato mio nonno uscire presto di casa la mattina per andare a fare il frontaliere. Il mio è un rap educato, che parla di quello che ho vissuto, non di vere o presunte vite da ghetto e nemmeno di droghe e violenza".
Nel suo disco ci sono molte collaborazioni, come sono nate?
"Soprattutto da incontri e amicizie. Non credo molto nei rapporti coltivati unicamente attraverso internet, nell’hip hop il contatto umano è fondamentale. Senza trascurare il lato artistico, avere un buon feeling umano è il primo tassello per creare qualcosa insieme".
Quali sono  i suoi artisti di riferimento?
"In realtà non mi ispiro a nessuno in particolare. Spesso così facendo si finisce nell’emulazione. Sono cresciuto ascoltando i primi Neffa e Articolo 31. Tra gli stranieri stimo Common, Nas e Talib Kweli".
Come le è venuta l’idea di scrivere un pezzo in cinque idiomi diversi?
"Fin da piccolo mi hanno affascinato le lingue straniere, ho frequentato il liceo linguistico e poi l’università, perfezionando inglese, tedesco, francese e spagnolo. Ho deciso di concentrarmi su questa cosa perché volevo fare un pezzo dal respiro internazionale, che fosse comprensibile a tutti".
Ha ottenuto più visibilità all’estero? 
"C’è stato non poco interesse attorno a questo progetto, ma anche al singolo "Ovunque tu sia". Il 26 giugno sarò ad un festival in Germania, nel frattempo aumentano i contatti, soprattutto dall’Est Europa".
E’ nato a Cantù e cresciuto a Cabiate, c’è anche il nostro territorio nelle sue storie?
"Nelle mie narrazioni c’è indubbiamente l’humus in cui sono cresciuto. Parlo della provincia in generale, perché aiuta a crescere con meno barriere sociali rispetto alla città". 

Fabio Borghetti

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