Cultura e Spettacoli
Giovedì 16 Aprile 2009
Nella storia dei Somaschi
anche un ex islamico
Un laico consacrato, tale Giovanni Battista detto il Moro, fu inviato dalla Congregazione comasca a insegnare ai fanciulli ospiti del nosocomio. Correva l'anno 1566. E' uno dei documenti del libro che ricostruisce la storia dei Somaschi in riva al Lario
Grandi ideali e grande capacità di tradurli in opere superando ostacoli e resistenze. La storia dei Somaschi, dalla morte del fondatore San Girolamo Miani nel 1537 ad oggi, è soprattutto questo, un percorso che all’interno di quello della Chiesa trova una propria originale forma di sviluppo innestandosi nei primi tempi sulle spinte della Riforma e consolidandosi il 29 aprile 1569 nella formazione dell’Ordine. Si tratta di una storia per molti versi ancora da indagare, sulla quale tuttavia getta una lama di luce vivissima, anche con un’accurata ricostruzione dei contesti socio-culturali, lo studio recentemente pubblicato a firma del ricercatore e docente di filosofia e storia, preside del liceo classico del Collegio Gallio di Como, Padre Giovanni Bonacina.
Nelle pagine di quest’opera - "L’origine della Congregazione dei Padri Somaschi" - l’autore prende in esame, con assoluto rigore metodologico, proprio i primi anni di un’esperienza destinata a diffondersi nel mondo e a produrre risultati importanti per l’educazione dei giovani. È il periodo in cui il carisma e l’esempio di San Girolamo Miani cercano di realizzarsi nelle scelte dei discepoli, che vengono chiamati Servi dei Poveri e si dedicano agli orfani, secondo un progetto che - scrive nella prefazione Padre Giuseppe Oddone - «si inserisce appunto nel tentativo di riforma della Chiesa, di cui egli (il fondatore, ndr) ebbe ardentissima sete, e nell’evangelismo del tempo: progetto attuato non attraverso lo studio teorico delle fonti bibliche o nelle controversie teologiche, ma nella realizzazione concreta del Vangelo attraverso l’amore di Cristo Crocifisso, il servizio dei poveri, vivendo e morendo con loro, in una scelta di assoluta povertà che ancor oggi stupisce e sconcerta, realizzando alla lettera la parola di Cristo: "Va, vendi quello che hai, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi"».
Una ricerca d’archivio pluridecennale, che ha consentito fra l’altro il ritrovamento di numerosi atti notarili di rinuncia ai beni o di donazioni, offre la possibilità di conoscere la provenienza dei "devoti viri" che si affiancano agli orfani e ai primi discepoli del Miani con il compito di provvedere al governo e all’amministrazione. Si tratta di nobili, benestanti, alcuni addirittura ricchissimi possidenti conquistati dall’ideale evangelico dell’attività caritativa. Lo studio prende in esame l’itinerario, non sempre lineare, che porta dai primi passi fino alla erezione dell’Ordine di Chiarici Regolari, attraverso una serie di riconoscimenti da parte dell’autorità religiosa locale e centrale ma anche attraverso tentativi di collaborazione o addirittura fusione con realtà religiose già organizzate, come i Teatini prima e i Gesuiti e i Barnabiti poi. Si tratta di esperienze che non portano i frutti sperati e ben presto si risolvono in scioglimenti di unioni che mostrano, insieme all’impossibilità pratica di durare nel tempo, la specificità dell’ispirazione dell’esperienza somasca e anche della formula adottata per l’inserimento nella realtà locale. Le pagine di Padre Bonacina documentano la vita delle comunità attraverso gli atti ufficiali, le approvazioni, le Bolle, dando atto della evidente attitudine dei somaschi a farsi insegnanti e educatori. È il caso della Bolla di San Pio V dell’8 dicembre 1568, che istituisce la Congregazione dei Chierici regolari di Somasca, nella quale si legge fra l’altro: «Questi religiosi vivono in modo esemplare: fra le altre opere di pietà si dedicano soprattutto ad istruire gli orfani nella vita cristiana, nelle lettere e nel lavoro manuale, tenendo conto della capacità di ciascuno. In vari seminari sono preposti alla direzione e formazione dei chierici. Per tutto questo non vi è dubbio che questa congregazione durerà in eterno». Progressivamente, in particolare dopo la trasformazione della Compagnia in Congregazione, l’originaria organizzazione fondata sulla collaborazione fra religiosi e laici, ai quali era affidato il governo delle opere, vede incrinarsi i rapporti e la figura del sacerdote assumere sempre maggiore importanza, malgrado il tentativo di tenere aperto comunque un canale di comunicazione e aiuto reciproco.
Innumerevoli, a partire da quella del fondatore, le figure di rilievo che balzano dalle pagine del volume. Qui ne ricorderemo solo una, singolare per molti versi, quella del laico consacrato Giovanni Battista detto il Moro, che nel 1566 venne inviato dalla congregazione all’ospedale Sant’Anna di Como, in accoglimento di una richiesta dei deputati del nosocomio. Nato non lontano dalla Mecca da genitori maomettani, il Moro era stato fatto schiavo da una nave turca, in seguito catturato dai veneziani dopo una battaglia in mare, creduto una spia e incarcerato per sette anni. Liberato per intervento di una donna devota presso il doge, fu assistito nell’ospedale dai Santi Giovanni e Paolo dai somaschi, si convertì alla fede cristiana e fu battezzato. Il 15 aprile 1566 veniva accolto in ospedale a Como «per istruire i fanciulli in alcuni lavori adatti alle loro capacità e doti». Il libro si chiude con un’interessante raccolta di documenti. Fra gli altri, un discorso attribuito al vescovo di Bergamo Pietro Lippomano nel luglio del 1533, nel quale, riferendosi a «Hieronymo Miani, patricio Veneto», si afferma che «ha voluto instituire tale regola e religgioso modo de vivere et bene operare, primo a sé, dopoy a cui el volesse imitare, che senza alcuno dubio, in quella perseverando, poterà mediante la divina gratia di sua final salute esser securo».
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