Pio XI e il setaiolo:
una storia lombarda
scritta sul piviale di seta

Dal Vaticano a Como il manto donato per l'Anno Santo del 1925. La mostra rivela che Guido Ravasi rischiò un incidente diplomatici

di Carla Colmegna

Spesso al centro di polemiche e analisi storiche discordanti per il suo ruolo pontificale in pieno periodo fascista e bellico, (indicò il duce come «l’uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare») il Papa comasco "torna a casa" fra "la sua" seta. Pio XI, Achille Ambrogio Damiano Ratti è a Como fino all’8 dicembre. Ratti nacque a Desio (Mi) il 31 maggio del 1857, ma respirò da subito profumo di lago e seta. Il padre Francesco, diresse infatti diversi stabilimenti di seta, e la sua presenza lariana è confermata anche dalla meravigliosa villa Ratti, fatta costruire vicino a Cernobbio nella prima metà dell’800 dalla famiglia di Pio XI, che a maggio risultava in vendita su internet. Ora Papa Ratti è tornato a Como grazie alla creatività di Guido Ravasi, inventore di sete operate e stampate, industriale, al quale la Fondazione Antonio Ratti dedica una mostra personale nella sede comasca di Lungo Lario Trento. Fu proprio Guido Ravasi a creare il parato che Pio XI indossò il 24 dicembre del 1925 per la chiusura dell’Anno Santo, della Porta Santa, durante il Giubileo dello stesso anno. Il prezioso mantello è eccezionalmente stato prestato alla Fondazione dalla Sacrestia della Cappella Sistina, restaurato dall’Istituto Centrale per il Restauro di Roma proprio in occasione della mostra. Al Papa, il parato lo regalò ufficialmente un gruppo di famiglie milanesi, quelle di Angelo, Attilio e Giovanni Vittadini, che vollero che il gioiello - tessuto, fino ad allora per la prima volta in Italia, da macchine industriali e non ricamato - venisse consegnato nelle mani del pontefice il 15 dicembre, giorno di Sant’Achille e quindi del suo onomastico. Tre chili e 600 grammi di manto, una leggerezza inimmaginabile per una cappa della circonferenza di dodici metri, divisa in nove spicchi - anche questa un’assoluta novità, un azzardo, "imposto" da Ravasi - affinchè il disegno, angeli in volo attorno al tondo con la sigla IHS, apparisse sempre in verticale. Pio XI fu il primo a stupirsi di tanto ingegno, lo colpì soprattutto la leggerezza del manufatto. Già s’immaginava, probabilmente, di dovere offrire a Dio anche il sacrificio del peso di quel mantello da portare sulle spalle per la cerimonia più solenne dell’anno e di certo non breve. In più, la sua colonna avrebbe dovuto subire anche la gravità della mitria e della stola, parimenti realizzate da Ravasi. Niente di tutto ciò. Le preoccupazioni del Papa furono anche quelle del setaiolo comasco, pragmatico oltre che creativo. Tre chili e seicento grammi dovevano bastare, 190 grammi per la stola, 370 per la mitria, gioielli compresi.
«Avete fatto un’opera di amor filiale» dirà a Ravasi Pio XI provando i vestimenti sacri. E nessun altro ne avrebbe mai più avuti di uguali. Ravasi si occupò infatti personalmente della distruzione dei cartoni sui quali il manto era stato lavorato al telaio. Non fu solo però Ravasi a occuparsi del paramento papale. Abituato a non restare chiuso nel suo stabilimento, ma a collaborare con altri massimi esperti che potevano aggiungere ricchezza alle sue creazioni, che mostrò alle Biennali Monza degli anni Venti e all’Espozione Internazionale di Parigi del 1925, Ravasi chiese l’aiuto dell’orefice milanese Alfredo Ravasco. Con lui divise l’ansia di dare vita a un oggetto assolutamente unico e straordinario che li avrebbe consacrati alla storia. Ravasco ebbe l’incarico di realizzare il fermaglio del manto e la decorazione in coralli del capino e dello stolone di seta gialla con due stemmi. I coralli furono cuciti a gruppi di tre, perché dovevano ricordare le tre palle dello stemma pontificio con l’aquila, e Ravasi si permise di interpretare il motto dello stemma "Raptim transit" inserendovi la sagoma di tre topini, evocativi del cognome del Papa, Ratti. Il fermaglio è invece formato da un topazio sul quale è incisa la sigla IHS su raggi brillanti, emblema dello Spirito Santo. Nella cornice, rubini e perle orientali; topazi bruciati, perle, rubini orientali, smalto per le borchie laterali che Ravasco realizzò seguendo lo stile ambrosiano, che sapeva essere molto caro a Pio XI. Il piviale, oltre ad essere decorato con gioielli, è quasi un libro da leggere, tanti sono gli elementi significativi che Ravasi vi volle inserire. Sono chiaramente identificabili le iniziali del motto latino "Iesus Christus Hominun Salvator", la parola Pax all’interno di medaglioni con inserti di ulivo e scritte del motto del pontificato di Pio XI "Pax Christi in Regno Christi".
Alla Fondazione, il manto polarizza l’attenzione; guardato quello, il resto dell’operato di Ravasi quasi scompare. A ragione, perché costò non poche apprensioni al comasco se lo stesso scrisse che al momento della consegna del gioiello in Vaticano, monsignor Perosi, cerimoniere, disse che esso «non poteva essere usato. (...) perché non era bianco "puro"». Costò fatica a Ravasi, «passai un brutto quarto d’ora» aggiunse, sostenere la bontà del suo ciclopico lavoro: «(...) Affermai che Sua Santità (...) sarebbe spiccato come può spiccare una perla in mezzo a frammenti di gesso. Sostenni che, era vero che (...) avevo usato altre tinte oltre al bianco, ma mi ricordavo di un esperimento (...) di fisica, (...) girando velocemente un disco dagli spicchi multicolori, si forma all’occhio il bianco perfetto».

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