Quel Premio in nome di Alda Merini
E la poesia come valore per l’oggi

Il presidente del “Merini”, Pietro Berra ne spiega le finalità: «Sosteniamo chi si dedica con serietà e talento alla ricerca letteraria». E denuncia i falsi meriniani sul web, su cui è inciampato anche un critico

«Uno dei più bei libri di poesia degli ultimi quarant’anni», scrisse Giovanni Raboni nella prefazione a “Testamento”, raccolta di Alda Merini che egli curò nel 1988 per l’editore Crocetti.

Nel trentennale di questo libro, noi del Premio internazionale di letteratura Alda Merini di Brunate (www.premioaldamerini.org), abbiamo preso spunto per dedicare ai “testamenti”, non senza un pizzico di ironia, una sezione speciale, in sinergia con Noir in Festival, e in memoria anche di un altro scritto testamentario della “poetessa dei Navigli”, la lettera (emersa e pubblicata lo scorso anno in un volume biografico sulla relazione con il poeta tarantino Michele Pierri) con cui nel 1984 lasciava al futuro secondo marito tutto ciò che possedeva su questa terra: un terreno... a Brunate.

L’ambizione

Sì, perché l’ambizione con cui il nostro premio è nato sette anni fa, non è certo quella di fare parte di un premificio nazionale che distribuisce riconoscimenti ad autori più o meno noti, men che meno di contribuire a fare della Merini un santino o un’icona, bensì vogliamo sostenere, a prescindere da chi siano, le persone che si dedicano con passione, talento e competenza alla ricerca letteraria, sia che lavorino sulla parola come poeti (sezioni inedito ed edito), sia che facciano ricerca sulla poesia contemporanea (sezione tesi di laurea), oppure educhino alla poesia i propri alunni (sezione scuole). Tutto questo lo facciamo tenendo i piedi ben piantanti per terra... nella terra comasca, e in particolare a Brunate, dove vissero i nonni di Alda (il conte di Como Giovanni Merini sposò la contadina Maddalena Baserga e in paese fondò la Società di mutuo soccorso oggi più che mai attiva nell’aiutare chi è in difficoltà), dove nacque suo padre Nemo e dove rimangono tracce di un legame, fatto di visite, affetto ed espressioni del lessico familiare («Il tuo cuore è attaccato al cavo della funicolare» rispose un parente all’ipocondriaca Alda che riteneva invece fosse «appeso a un filo»), spezzato dall’internamento in manicomio che l’avvolse nell’oblio.

Ci è parso importante recuperare e salvaguardare ciò che la storia di Alda Merini e della sua famiglia rappresenta per l’Italia e per il territorio comasco, parallelamente alla sua poesia e più in generale a quella degli autori contemporanei, che pure rischia di essere sepolta da un prematuro oblio, per distrazione collettiva. Insomma, la memoria, come fonte non solo per non ripetere errori del passato, ma anche per dare sostanza al futuro attraverso idee creative non improvvisate, e la poesia come opportunità di narrazione (e chiave di lettura) dell’io, dei luoghi, della storia dell’umanità, come possibilità di connettere locale e globale attraverso la parola illuminata: questi i valori cui si ispira il Premio Merini.

A freddo, due considerazioni sui commenti “frettolosi” che si sono letti nei giorni scorsi dopo l’ennesima ribalta avuta dalla Merini, ovvero l’inserimento di un suo testo nelle tracce della maturità, sono doverose. Un ottimo poeta italiano, che peraltro negli anni scorsi ha partecipato al Premio Merini e l’ha vinto, ha definito la collega milanese un “prodotto del Costanzo show”, dimenticando che fu scoperta a 16 anni da Giacinto Spagnoletti, che la inserì nell’antologia “Poesia italiana contemporanea 1909-49” (con Montale, Ungaretti, Quasimodo, Saba ecc). Lo stesso Montale a 20 anni la ritenne meritevole di apparire nel volume “Poetesse del Novecento”, con cinque liriche giovanili, ma già caratterizzate da una «straordinaria invenzione verbale e sintattica» (Giorgio Manganelli sul “Corriere della sera”). Nel 1962 Merini ha all’attivo quattro raccolte, che hanno attirato l’attenzione, tra gli altri, di Maria Corti. Sarà lei, con Spagnoletti, Scheiwiller, Borsani, e i già citati Manganelli e Raboni, a riscoprirla negli anni ’80, prima di Costanzo. Per “La terra santa” (1984) userà la parola “capolavoro”, la filologa Corti, tra i massimi studiosi di Dante.

Trittico della croce

Anche nella poesia senile, quando ormai, dopo i riflettori televisivi, una pletora di editori improvvisati pubblicherà incalcolabili raccolte di poesie che Merini non ha mai scritto, ma al massimo dettato al telefono, emerge ancora un filone importante: il “trittico della croce”, tre volumi prefati da Gianfranco Ravasi, che addirittura evidenzia una “teologia meriniana”.

Poi, nei giorni scorsi, arriva un critico che ignora tutto questo e sostiene che Merini sia soltanto una “poetessa Perugina”, citando due poesie e tre aforismi, nessuno dei quali appartenente alle opere maggiori. Uno (“Io sono con te in ogni maledetto istante che ci vuole dividere e non ci riesce”) è in realtà l’ultima riga di un racconto pubblicato da una giovane pugliese, Lucy Gemma (da “Per un grammo di gioia”, Aletti editore), che probabilmente avrà gradito l’accostamento a Laura Pausini. «Sono più che certa che la poetessa se la stia ridendo da lassù», ha commentato Barbara Carniti, una delle quattro figlie di Alda. E noi ridiamo con lei.

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