Cultura e Spettacoli
Sabato 25 Aprile 2009
Quell'ultima "verità"
sulla fine di Mussolini
Pubblicato in Italia, da Garzanti, il rapporto Lada-Mocarski che l'America ha reso disponibile agli storici solo nel 2000
Il titolo ha una doppia valenza. "La fine" è fattuale, poiché rimanda all’esecuzione di Benito Mussolini e Claretta Petacci, ma anche evocativa. Negli intenti degli autori (gli storici Giorgio Cavalleri, comasco e Franco Giannantoni, varesino, a cui questa volta si è aggiunto, con il suo contributo prezioso di ricerca, Mario J. Cereghino), questo saggio vorrebbe mettere la parola fine sulle ricostruzioni relative agli ultimi giorni e alla morte del duce che si sono susseguite dal 1945 ad oggi anni per smentire o correggere quella ufficiale, invero poco convincente. Il dibattito, come è noto, ha registrato un salto di qualità negli ultimi anni, dopo lo "sdoganamento" della destra erede del fascismo che ha spostato la questione dal piano storico anche a quello politico con la volontà, legittimità, di poter aggiungere altre voci a quelle ufficiali riferite per lo più all’ortodossia della sinistra comunista e post comunista. Giannantoni e soprattutto Cavalleri, autori di una ricerca storica puntuale e dettagliata sulla materia, tradotta in varie opere (su tutte la celeberrima "Ombre sul lago" dello storico comasco) si sono ritrovati in una sorta di terra di mezzo: pur rimasti sempre distinti e distinti delle tesi "ufficiali" comuniste, non sono stati risparmiati dai rilievi e dai revisionismi dell’altro versante politico. Con "La fine", gli autori propongono una nuova (in verità nota per gran parte) versione dei drammatici fatti di Dongo e Giulino di Mezzegra che non si discosta molto da quella presentata in "Ombre sul lago", ma che si giova dell’inedito e originale contributo dei documenti dell’Oss (il servizio segreto americano antenato della Cia e operante nei teatri della seconda guerra mondiale), rimasti negli archivi di Langley, in Virginia, fino al 2000. I documenti riguardano le relazioni redatte da Valerian Lada-Mocarski, uno dei più abili agenti del servizio statunitense ad Allen Dulles, capo dell’Oss. Gli americani erano interessati alla sorte di Mussolini per due motivi. Il primo riguarda la volontà di catturarlo e di sottoporlo a un regolare processo. Ma il loro tentativo fu vanificato dall’azione dei partigiani del Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia, la cui componente comunista premeva perché fosse fatta immediatamente giustizia del duce e dei gerarchi fascisti. Una volta preso atto del fallimento della loro azione, i vertici dei servizi americani vollero sapere per quale motivo fossero stati bruciati dall’azione dei partigiani comunisti e affidarono l’inchiesta all’agente 441, cioè Valerian Lada-Mocarski con esperienze di spionaggio bellico in Medio Oriente, Egitto, Francia e Svizzera da cui aveva tentato invano di impadronirsi dei famosi diari di Galeazzo Ciano, genero di Mussolini, fucilato a Verona nel 1944 come traditore. Lada-Mocarski aveva allora 50 anni e parlava un italiano approssimativo. Per elaborare i due memorandum segreti sugli ultimi giorni di Benito Mussolini, di Claretta Petacci e dei gerarchi fascisti si mosse dal 29 aprile alle fine di maggio del 1945 fra Dongo, Como e Milano. L’agente dell’Oss si avvalse di alcuni fonti: testimoni oculari che avevano assistito alla cattura del duce, della Petacci e dei gerarchi da parte dei partigiani della 52ª brigata Garibaldi «Luigi Clerici», e soprattutto, della relazione di un ufficiale partigiano di cui Lada-Mocarski aveva coperto l’identità e che però aveva permesso di svelare come colui che «sparò i due colpi di grazia a Mussolini», un partigiano appartenente al comando di brigata presente a Giulino di Mezzegra durante l’esecuzione e riconoscibile nel capitano Neri, cioè Luigi Canali, caduto pochi giorni dopo per mano dei suoi stessi compagni comunisti assieme alla Gianna (Giuseppina Tuissi). I documenti dell’Oss (nelle due versioni di Lada-Mocarski ) confermano la presenza sulla scena del delitto del colonnello Valerio (al secolo Walter Audisio) ragioniere comunista di Alessandria inviato da Milano per compiere la missione. Con lui, a scortare Mussolini e la Petacci vi erano un partigiano armato di mitra (il comasco Michele Moretti detto "Pietro") e Aldo Lampredi (Guido). Dopo un tentativo infruttuoso di eseguire la condanna a morte in una piccola piazza di Giulino di Mezzegra, per la presenza di altre persone, il gruppo risalì in auto e si fermò vicino al cancello di Villa Belmonte. A sparare, secondo la ricostruzione dell’agente segreto Usa, furono il revolver di Audisio e il mitra di Moretti. Le pallottole del revolver entrarono obliquamente nella schiena di Mussolini (l’autopsia non rileverà poi proiettili entrati da dietro) mentre i colpi esplosi dal mitra raggiunse il duce al petto. Anche Claretta Petacci fu raggiunta da diversi colpi al petto, probabilmente esplosi dal mitra di Moretti, e morì immediatamente. Per il dittatore, invece, sarebbero stati necessari due colpi di grazia esplosi dal capitano Neri, giunto dal lato più basso della strada perché attirato dagli spari. Questa, in sintesi, la versione del servizio segreto Usa sulla fine di Mussolini. Si può essere certi che non sarà l’ultima.
G. Cavalleri, F. Giannantoni, M. J. Cereghino, «La fine. Gli ultimi giorni di Benito Mussolini nei documenti dei servizi segreti americani (1945-1946)», Garzanti, 273 pagg., 16,60 €
© RIPRODUZIONE RISERVATA