Cultura e Spettacoli
Mercoledì 04 Febbraio 2009
Rosi: "Eccovi Slab City
la città degli invisibili"
A Como il regista incanta il pubblico con il suo raro documentario
Oggi "Pranzo di Ferragosto" e il cinequiz con Luisa Morandini
Un’esperienza umana prima che cinematografica ma, anche, una visione che porta lo spettatore in un’altra dimensione, quella sospesa nel tempo e nello spazio di Slab City, la città inesistente in mezzo al deserto Colorado, California del Sud, due ore di macchina da Los Angeles, così vicino e anche così lontano da una realtà dove, «pochi lo sanno, è illegale vivere all’aperto: o hai una residenza o stai in un dormitorio», ma se chiudi gli occhi cinque minuti su una panchina un poliziotto ha il diritto di farti sgomberare. Parola di Ken, che ha mollato tutto e vive in un autobus, di Lily, un medico che ha visto morire il figlio che tentava di difenderla, di “Insane” Wayne, 40 anni di carcere per omicidio di primo grado (e il suo sguardo allucinato non lascia dubbi sull’origine del soprannome), di Mike, Carol, Sterling e anche di Cindy, che si prende molta cura del suo aspetto e corona il suo sogno aprendo un piccolo salone da parrucchiera, ma ha alle spalle sei matrimoni e altrettante ex... mogli, visto che è un marine che ora, quasi settantenne, ha scelto di essere un travestito ed è fuggito dove nessuno lo avrebbe giudicato.
Un’oasi di senza volto
"C’è un codice molto preciso, nessuno ti farà mai domande", ha raccontato Gianfranco Rosi, artefice, più che regista, di "Below sea level", uno degli avvenimenti del festival "Il cinema italiano". Ha vissuto con quella gente a intermittenza per quattro anni, girando più di cento ore di materiale da solo, senza mai guardare quello che era rimasto nella telecamera se non al momento di montare: «Solo allora mi sono reso conto di avere per le mani un film» che piacerebbe ai fratelli Coen, soggetto di Faulkner e sceneggiatura di William Burroughs. Racconta Rosi: «È l’unico luogo negli Usa dove puoi vivere senza passaporto e senza identità. È una comunità che varia da 150 a duemila individui, tutti con le loro roulotte e i loro camper, in mezzo al deserto. Tutti fuggono da qualche cosa e non si sa cosa stiano cercando, ma vivono nel rispetto reciproco. Senza acqua corrente e elettricità, senza pompieri né polizia. Per quattro anni ho vissuto con loro, prima senza girare, sono semplicemente partito per vedere quella realtà. Poi alcuni di loro sono diventati autentici personaggi: trascrivendo i loro dialoghi mi sono reso conto che sembrava una poesia di settanta pagine». Questa è la “beaten generation”, la generazione battuta, anche se un po’ dello spirito beat traspare nella canzone di Mike che esalta la vita in quello stato di libertà totale, con tutti i pro e i contro.
«Spero di riuscire a proiettarlo presto proprio per loro», ha concluso Rosi, salutato da un’ovazione di un pubblico ipnotizzato. Lo stesso che ha affollato il Cineplex Astoria per un altro film molto atteso, La terra degli uomini rossi presentato dall’autore, Marco Bechis che, oggi alle 10, lo proietterà agli studenti.
Alessio Brunialti
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