Salvare il creato?
Appello condiviso,
tra dubbi e certezze

Ricorre oggi la terza «Giornata per la salvaguardia del creato», promossa da Papa Benedetto XVI. Ecco una sintesi della conferenza tenuta, il 29 maggio al cinema Astra di Como, da Vera Fisogni, sui problemi filosofici sollevati dall’appello del Papa.

"Salviamo il creato". Chi non si sente di approvare l’appello del Papa, in tempi di deriva ecologica? Eppure non tutti la pensano come Benedetto XVI sul fatto che il mondo sia opera di Dio, ma non per questo si sentono meno ecologisti. Inoltre, c’è da chiedersi se è davvero in potere di ciascuno di noi addossarsi l’arduo compito di trarre in salvo il pianeta.
Per fondare il valore di questa giornata ecologica - indipendentemente dalla fede o dall’appeal mediatico del tema - bisogna poter giustificare il valore del mondo, sia che lo si consideri come dono di un Creatore, sia che lo si accolga come qualcosa che c’è stato dato, anche se non sappiamo bene da chi e come. Vedremo che è possibile, mentre il vero problema riguarda la pretesa di salvare il mondo, abbastanza infondata da entrambe le prospettive. Con o senza fede in Dio.

Salvare il "creato"        
                                          

La visione del mondo come realtà creata presuppone un Creatore che dà vita alle creature. Dio è fonte effusiva di bene, le creature hanno il bene, per partecipazione.  Su questa base Tommaso d’Aquino spiegò l’inclinazione naturale (o inclinatio) che è all’origine degli atti umani, cognitivi e morali, come pure dell’istinto animale. Se questo pensatore del Medio Evo, il filosofo che più seppe giustificare la naturalità della prospettiva creaturale del mondo, fosse oggi tra noi, promuoverebbe probabilmente le ragioni di un’ecologia globale proprio sulla base di questo reciproco movimento di essere e di bene. Sottraendo mondo, riducendo la realtà o smantellandola - si pensi alla trasformazione della foresta amazzonica in una landa desolata a scopi industriali - inevitabilmente si toglie qualcosa alla visione, all’opportunità di entrare in relazione, di conoscere; si limita la possibilità di sentire, che è l’ingrediente fondamentale nella dinamica della volontà (consentire est simul sentire, dice sempre Tommaso, nella Quaestio 15 della Summa Theologiae).
Per concludere: il creato è un tessuto di relazioni, di diffusività di bene (valore sociale); il creato offre l’opportunità - all’uomo, soggetto dotato di autodeterminazione personale - di fare il bene, gli fa sentire che le cose valgono (valore morale); il creato permette di muovere dal piano naturale a quello sovrannaturale, mediante un movimento di trascendenza (valore spirituale). 

Salvare il mondo "dato"

Anche una visione del mondo che prescinda dall’ordine di un creatore porta argomenti forti a favore della salvaguardia della realtà. Se assumiamo la prospettiva fenomenologica - quella di uno sguardo candido e rigoroso alle cose, senza pregiudizi - non possiamo dire che quanto si trova davanti a noi sia "creato", ma solo che si tratta di qualcosa di "dato", concesso in uso oltre che in dono. Punto. Il primo principio di questa via filosofica, che ebbe in Husserl il suo maestro, per poi essere perfezionato anche da pensatori cristiani come Edith Stein (la quale si convertì proprio muovendo dalla fenomenologia), sostiene la fedeltà ai fenomeni.
Dire che c’è qualcosa piuttosto che nulla, è già tributare attenzione e rispetto (da re-spicio, rispettare implica un certo modo di guardare) all’oggetto a cui ci si volge; tale attenzione è massimamente riguardosa perché il fenomeno fa intuire il senso e il valore della realtà: se guardo il lago, faccio un’esperienza cognitiva, in quanto vedo, penso, intreccio rimandi, provo emozioni.
La fedeltà ai fenomeni porta a riconoscere quanto le cose date siano costruttive, arricchenti per la fioritura personale, termine caro ai fenomenologi della persona, anche se molto di moda e un po’ abusato negli ultimi tempi. Ma andiamo oltre. Attraverso uno speciale esercizio di attenzione si può afferrare qualcosa di non ulteriormente riducibile, in altre parole, il nocciolo duro o l’essenza del fenomeno a cui si guarda. Come si vede, l’esperienza metafisica (afferrare qualcosa che va "oltre" il dato) non è solo una prerogativa della via creaturale, ma pure di un approccio puramente razionale e che prescinde da qualsivoglia idea di un Dio creatore.


In un vicolo cieco   

Per quanto suoni paradossale, però, nessuna delle due prospettive sembra avallare la possibilità che salvare il mondo - creato da Dio, originato da leggi fisiche o prodotto dal caso - sia nelle prerogative umane. Laddove si postuli un Creatore che ha l’essere in senso pieno, che può dare vita dal nulla a qualcosa - il creato ex nihilo fit - non si può che attribuire a questa eminente Persona, e solo ad essa, la prerogativa di salvare quanto ha creato. Non a caso, sul piano teologico, Dio è anche il Salvatore. Anche il mondo inteso come costellazione di fenomeni che nulla deve ad un soggetto trascendente, non può essere salvato dall’uomo. O meglio, riformulata in chiave fenomenologica, l’espressione "salviamo i fenomeni" implica il rispetto per ciò che si vede e la considerazione della propria specificità. Ma ciò che è dato, di fatto, non ci appartiene interamente. Se non è in nostro potere del tutto, come possiamo pensare di poter avere l’ultima parola - benché in positivo - sul mondo?

In aiuto al mondo


Che senso ha, allora, l’enunciato "salviamo il creato" pronunciato dal Papa o il più laico "salviamo il mondo (dato)"? Per uscire da questo problema, soffermiamoci brevemente su cosa significhi "salvare", nell’uso comune. Può voler dire "trarre in salvo", ma anche attivarsi per portare aiuto, si pensi alle espressioni: "Ho salvato X che rischiava di annegare" o "arrivo, vengo a salvarti". L’idea di una salvezza per così dire definitiva, che toglie in modo decisivo dal pericolo, può appartenere solo a chi ha in suo potere le creature o le cose, quanto meno sul piano del ragionamento. Perché quello della fede offre altre risposte. Al contrario, l’atto di salvare nel senso di "correre in aiuto" è assolutamente possibile laddove vi sia capacità di ascolto, di azione, di intelligenza e di creatività per mettere in campo gli interventi più idonei. Dunque, non solo questa via si presenta praticabile, ma anche e soprattutto a misura degli esseri umani, che queste prerogative posseggono in misura esclusiva (la volontà) o eminente (l’intelligenza, la creatività). Correre in aiuto al mondo alla deriva implica quindi di prendere coscienza delle difficoltà. Questo lavoro autoriflessivo consegna a chi lo fa la consapevolezza di avere una responsabilità nella conservazione del mondo, quale che sia il punto prospettico dal quale ci si pone.  Salvare il "creato" o il "mondo", a questo punto, non differisce nella sostanza. Su questo piano del ragionamento l’opera salvifica non solo è giustificata, ma anche pienamente praticabile.


Dal mondo all’uomo

La salvezza del pianeta viene così ricondotta all’impegno costante, quotidiano, di attenzione verso il mondo come forma di salvaguardia di sè, della propria umanità, delle reti di relazioni che costituiscono la "realtà". Per un’ecologia che appare, prima che una questione relativa al (cosiddetto) "mondo esterno", un’ecologia della condizione umana.
Vera Fisogni


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Per gentile concessione dell’editore Ancora pubblichiamo un estratto, a firma di monsignor Paolo Tarchi, dell’introduzione "La Terra è casa tua. Consigli pratici per un vivere sostenibile", di Andrea Masullo. Il saggio sarà in libreria dal 24 settembre.


L’esperienza dimostra che ogni atteggiamento irrispettoso verso l’ambiente reca danni alla convivenza umana, e viceversa. Sempre più chiaramente emerge un nesso inscindibile tra la pace con il creato e la pace tra gli uomini. L’una e l’altra presuppongono la pace con Dio. L’impegno è quindi quello di promuovere una sensibilità per la creazione come dono di Dio a partire dalla "prima creatura" che è l’uomo.
Come ha sottolineato il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, alla Giornata della Gioventù di Sidney in un incontro con la stampa: "Non si può vivere sempre sopra le righe. Le ricchezze della terra non sono inesauribili e anche le energie hanno dei confini, dei limiti che devono essere rispettati". Interrogato su cosa la Chiesa propone ai giovani per sensibilizarli sui temi della salvaguardia del creato, il presidente della Cei ha ricordato che "il mondo è il giardino che Dio ha costruito per l’umanità" e, come ogni casa in cui si viene ospitati, "dev’essere rispettato". "Da un lato è giusto far fronte alle esigenze della civiltà e della tecnologia, dall’altro occorre rispettare i limiti e le risorse della natura, anche recuperando uno stile di vita più sobrio ed essenziale".
In effetti il rinnovato interesse per la responsabilità per il creato, oltre ad essere uno dei temi emergenti nella dottrina sociale della Chiesa negli ultimi decenni, trova numerosi riferimenti nel magistero di Benedetto XVI, che ha più volte richiamato la stretta collaborazione tra la tutela dell’ambiente e la possibilità di una convivenza giusta e pacifica entro la famiglia umana.
Papa Benedetto XVI, agli oltre 300.000 giovani riuniti nel settembre 2007 a Loreto, nella piana di Montorso, per l’Agorà dei giovani, nell’omelia ha sottolineato: "Uno dei campi, nei quali appare urgente operare, è senz’altro quello della salvaguardia del creato. Alle nuove generazioni è affidato il futuro del pianeta, in cui sono evidenti i segni di uno sviluppo che non sempre ha saputo tutelare i delicati equilibri della natura".
Paolo Tarchi

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