Severino e la Cattolica:
scontro che fece storia

Il pensatore, morto pochi giorni fa, sostenne che le cose sono eterne Il ricordo del filosofo Ghisalberti, che all’epoca fu suo studente in università

Quasi alla soglia dei 91 anni (li avrebbe compiuti il 26 febbraio), è morto il filosofo Emanuele Severino, considerato uno dei maggiori pensatori italiani ed europei. Bresciano, è celebre per aver negato il divenire (il cambiamento della realtà), a favore dell’eterno, con stringente argomentazione logica. La teoria lo rese popolare fin dal Sessantotto, anche tra i non specialisti, perché le sue conseguenze teologiche mettevano Severino in conflitto con la Chiesa cattolica. In pratica: se si attribuisce l’eternità al mondo, la si toglie a Dio. Lo stesso pensatore chiese il pronunciamento del Sant’Uffizio – correva il ’68 – che si espresse negativamente nei confronti della sua tesi, giudicandola sostanzialmente “inconciliabil” con la dottrina cristiana. Per Severino, che all’epoca era un giovane professore di filosofia all’Università Cattolica di Milano, questo significò lasciare l’ateneo fondato da Padre Gemelli, per iniziare una carriera a Venezia, accompagnata da grande clamore mediatico e indubbia popolarità internazionale. Ma come fu vissuto quel momento dai suoi studenti e dai colleghi? Lo chiediamo al professor Alessandro Ghisalberti, bergamasco d’origine, uno dei più autorevoli specialisti di pensiero del Medio Evo, docente emerito in questo ambito, come pure in Filosofia teoretica, alla Cattolica.

Professor Ghisalberti, Severino è stato suo insegnante? Come ricorda lo “scontro” teorico e teologico seguito al celebre articolo “Ritornare a Parmenide”, uscito sulla “Rivista di Filosofia Neoscolastica” nel 1964)?

Ho avuto Emanuele Severino come docente, prima di Storia della filosofia antica e poi di Filosofia morale, negli anni accademici 1962-64 nella Facoltà di Filosofia dell’Università Cattolica di Milano, e ricordo di avere ricevuto grandi stimoli speculativi dai suoi corsi, riconducibili al rigore della razionalità ed insieme alla amabilità dei tratti che lo distingueva sul piano personale. Il 1964 fu l’anno in cui uscì il noto saggio di Severino “Ritornare a Parmenide” su “Rivista di Filosofia Neo-scolastica”, in cui sosteneva l’impossibilità del non-essere (il non-essere per definizione non è), applicando la tesi parmenidea anche alla lettura del divenire corrente nella metafisica neoscolastica, che leggeva il divenire come passaggio dal non-essere all’essere, e viceversa. Ci furono diverse reazioni; la più significativa fu quella del maestro di Severino, Gustavo Bontadini, che rispose affermando il reale manifestarsi della contraddizione, ossia il darsi del non-essere, nel divenire degli enti finiti.

Bontadini come rispose al suo brillante, ex allievo e poi collega, Severino?

Prese avvio una controversia tra Bontadini e Severino, che dalla dialettica metafisica si trasferì nel giro di pochi anni sul piano dell’ortodossia cattolica: Severino descriveva l’idea di “mondo” (che egli contrastava) come la regione dell’essere diveniente, dove dunque c’è dell’essere che si annulla, e riteneva che questa idea della metafisica greca sia stata assunta dal cristianesimo, attraverso la dottrina della creazione. La controversia si ampliò e giunse a un coinvolgimento della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede (ancora nota come Santo Uffizio), dove una commissione di “periti” concluse (aprile-maggio 1970) che “la dottrina filosofica di Severino non è conciliabile con alcune verità della fede cattolica”. Severino ne prese atto, con rammarico ma mai con toni astiosi o ribelli, e lasciò la Cattolica per la Facoltà di Filosofia della Università di Venezia.

Tutto il pensiero di Severino ruota attorno a quel nocciolo teorico.

Nei decenni successivi, Severino ebbe modo di approfondire il suo pensiero circa l’immutabilità dell’essere, e precisò in più occasioni le proprie divergenze dalle tesi “ufficiali” sostenute dai metafisici cristiani, insistendo sul problema della nascita e della morte negli enti come legato a una lettura contraddittoria, da superare attraverso la fedeltà all’immutabilità dell’essere, che è diventata la cifra teoretica dell’intera speculazione severiniana, affermante l’eternità di ogni cosa.

Il confronto con il metafisico Bontadini ebbe ulteriori sviluppi?

La posizione di Bontadini aveva elaborato qualche affinamento in proposito, soprattutto quando il dibattito si spostò sull’apparire e sulle variazioni che il divenire manifesta; ma il dialogo si arrestò nel 1984: Bontadini era già da tempo fuori ruolo, e la divergenza di fondo rimase aperta. Severino continuò la sua docenza e la ricca produzione, nei confronti della quale diversi filosofi di area cattolica mostrarono la pregnanza teoretica di alcune tesi del parmenidismo severiniano.

Com’è stata recepito questo “parmenidismo” nel dibattito filosofico italiano più recente?

Ricordo in particolare Leonardo Messinese, che ha dedicato diversi volumi alla ponderazione del pensiero severiniano, e con il quale mi sono sempre ritrovato in sintonia. Tra i suoi volumi segnalo: “L’apparire del mondo. Dialogo con Emanuele Severino sulla ‘struttura originaria del sapere’” (Mimesis 2008), “Il paradiso della verità. Incontro con il pensiero di Emanuele Severino” (ETS 2010), e “Né laico, né cattolico. Severino, la Chiesa, la filosofia” (Dedalo 2013). L’approfondimento delle dottrine severiniane ha nel tempo mostrato la distanza di queste da una forma di facile nichilismo, che è stato attribuito loro con superficialità. Le costanti critiche di Severino alle convinzioni comuni possono ben essere lette come indicative di un “volto diverso” della terra e di un “senso diverso” dell’essere uomo; la stessa divergenza dalle formulazioni tradizionali dei contenuti della fede cristiana appare rivolta a una conversione dello sguardo, alla ricerca della struttura originaria della verità e alla comprensione dell’autentico “apparire”, che in Severino è sempre collegata alla domanda fondamentale: “cos’è che apparirà dopo la morte?”. Mi piace pensare che oggi a lui è dato di conoscere la risposta.

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