Cultura e Spettacoli
Venerdì 10 Aprile 2009
Un tesoro nascosto nella mummia
Durante il restauro di Isiuret trovati due amuleti, uno a forma di cuore e l'altro di papiro
La mummia di Isiuret, il pezzo più importante della collezione egizia conservata al museo archeologico «Paolo Giovio» di Como, ha svelato i suoi ultimi segreti. Il restauro in corso da febbraio non solo sta rivelando informazioni preziosissime per gli archeologi, ma ha addirittura restituito due amuleti che erano rimasti ancora celati nella mummia: «Questo restauro ci sta regalando emozioni bellissime», racconta Gianluigi Nicola, il direttore tecnico del laboratorio di Aramengo (Asti) incaricato dell’intervento dal Comune di Como.
Gianluigi Nicola non è solo un restauratore: per lui le mummie non sono reperti, ma veicoli per viaggiare nel tempo che lo portano al cospetto di esseri umani vissuti nel passato. Chi altri si sarebbe preoccupato, restaurando la mummia del museo di Narni, di riavvolgerla con cura nelle bende strappate malamente da un ufficiale tedesco durante l’ultima guerra, «così ora i visitatori vedono quello che la persona morta avrebbe voluto che si vedesse»?
Questo è amore, non fredda tecnica.
E con la stessa capacità di emozionarsi il dottor Nicola si è accostato alla mummia di Isiuret, la sacerdotessa del dio Amon di Tebe morta nel IX secolo a.C. fra i 18 e i 30 anni, secondo quanto stabilito da una Tac effettuata nel 1990 all’ospedale Sant’Anna di Como. La mummia fu donata al museo alla fine dell’Ottocento dal collezionista Alfonso Garovaglio, che fu il primo ad aprire il sarcofago di cartonnage, costituito cioè da vari strati di tela stuccata e dipinta, a sua volta oggetto di restauro.
Un intervento che si prolungherà per tutto l’anno, e che è cominciato con la scoperta che Garovaglio, nella sua relazione sull’apertura della mummia, aveva omesso di raccontare i danni patiti dal reperto durante l’operazione.
Poi è iniziata la fase delle indagini, comprese quelle radiografiche, che hanno regalato al dottor Nicola l’emozione più grande: «Nell’ambito di tutte queste verifiche ho scoperto che alcuni gioielli erano rimasti nella mummia. Che grande emozione è stata estrarli, con l’aiuto della radiografia: uno di essi è un frammento, l’altra metà è già conservata al museo. Così lo abbiamo ricomposto. Sono amuleti dal valore rituale, non gioielli d’oro come quelli che nell’Ottocento si pensava di trovare nelle mummie. Uno è l’amuleto del cuore, l’altro a forma di bilancia di papiro, una colonnina papiriforme».
Ma le scoperte più grandi secondo Gianluigi Nicola sono quelle che condividerà con i colleghi nel corso di un convegno di restauro che si terrà il 18 aprile in Valcamonica: «La cosa più importante è che, lavorando a questo reperto, abbiamo potuto ricostruire le tracce della lavorazione antica, tracce che ci permettono di leggere, forse per la prima volta in modo così chiaro, la tecnica costruttiva del cartonnage. Siamo riusciti a decifrare nel dettaglio tecniche che di solito non sono rintracciabili in manufatti come quello di Como, perché arrivano a noi chiusi o, se aperti, completamente fracassati».
Ed è qui che Isiuret è stata capace di regalarci qualcosa di davvero immortale, uno squarcio quasi inedito sul passato: «Il restauro è un momento di conoscenza, se lavora in maniera scrupolosa il restauratore può aiutare lo studioso a fare dei passi avanti nella conoscenza della sua disciplina. A volte il restauro somiglia a un’indagine poliziesca: un piccolo indizio può condurre a scoperte interessantissime. Per esempio ho trovato sul cartonnage della mummia di Isiuret impronte del tessuto dei vestiti delle persone che ci hanno lavorato. Una scoperta piena di risvolti, e che mi piacerebbe indagare ulteriormente. E su una mummia che ho recentemente inviato a Bolzano ho trovato impronte digitali vecchie di seimila anni».
Ma qual è lo stato di salute di Isiuret? «Sono ancora in attesa di una serie di riscontri dalle analisi biologiche, ma complessivamente la mummia è in buone condizioni, nonostante le numerose scoperte credo di poter completare il restauro, come da contratto, entro quest’anno. Però non tutto è prevedibile, le mummie hanno i loro problemi, non ultimo il fatto che si incollano dove le si appoggia: gli unguenti utilizzati per l’imbalsamazione a volte rimangono fluidi e causano l’incollamento al sarcofago. Dal punto di vista conservativo abbiamo consolidato e messo in sicurezza parti pericolanti. Il sarcofago invece presenta degli scollamenti di colore e dei ritocchi di cui stiamo cercando di stabilire l’epoca: certamente i più antichi verranno mantenuti, come stato di fatto storicizzato, mentre altri che possono impedire la leggibilità del pezzo è possibile che vengano rimossi».
Un’indagine a parte meriterebbero le bende: «Anche se non credo che sia possibile recuperare tutto, molte parti sono andate perse con il tempo e altre imbibite di resine sono andate in briciole: qualcosa comunque riusciremo a fare. Resta da decidere quale sarà l’immagine finale del reperto, se mummia e cartonnage verranno espose insieme o separatamente, rendendo il pubblico più partecipe della scoperta a livello visivo. In qualche modo sarà la stessa mummia, cammin facendo, a indicarci le soluzioni migliori. Quello di cui sono certo è che verrà un ottimo lavoro. Dal punto di vista della conoscenza delle tecniche costruttive, già allo stato attuale abbiamo guadagnato tantissimo, abbiamo messo a fuoco cose che fino a sei mesi fa non sapevamo. Questo lavoro è una sorpresa continua, mi entusiasma vedere che c’è una corrispondenza con le nostre ipotesi sulla composizione degli stucchi utilizzati ai vari livelli. Sembra davvero di tornare indietro nel tempo, torno al momento in cui il sarcofago è stato realizzato, leggo uno dopo l’altro i passaggi della lavorazione. È un’emozione bellissima, è la cosa che vale di più di questo lavoro».
Barbara Faverio
© RIPRODUZIONE RISERVATA