Cultura e Spettacoli
Mercoledì 04 Febbraio 2009
Van de Sfroos e la Lega
"Quel consiglio del Senatùr"
Un libro scritto dai giornalisti Parenzo e Romano ricostruisce i trent'anni del partito "lumbard". Nell'occasione, La Provincia ha interpellato la popstar laghée, la cui musica ha molti fan nel movimento del Nord, per farsi raccontare il suo rapporto con la Lega
Il mio primo incontro con Umberto Bossi è stato davvero indimenticabile. Avevo appena finito un concerto, ero nel camper che fungeva da camerino e avevo perso i pantaloni. Ho salutato il Senatùr... in mutande. Ma lui non si scompose e parlammo delle mie canzoni. Sì, perché tanti pensano che i politici parlino solo di quello, che quando ti avvicinano sia più forte di loro chiederti «da che parte stai?». Invece Bossi mi disse «se vuoi uscire dai confini della Lombardia ti conviene dire che sei di sinistra, devi farti conoscere, non puoi bloccarti, loro hanno un sacco di agganci». Lo disse scherzando, però lo disse. So che anche lui ha fatto musica in un passato davvero remoto, mi hanno detto di un singolo, di una partecipazione infelice al Festival di Castrocaro: sarei davvero curioso di sentire quelle antiche incisioni. Maroni, invece, l’ho ascoltato sul serio, mentre suonava le tastiere con la sua band di rhythm’n’blues. Ci siamo incrociati spesso dietro al palco in svariate situazioni e lì, da musicista a musicista, abbiamo parlato... di musica. Così ha fatto anche Castelli confermandomi che tra i politici, della Lega o meno, c’è una grande passione per le note. Anzi, per par condicio posso dire che Giorgia Meloni ama molto «La balàda del Genesio» e «Sciur capitan» mentre Mario Capanna ha voluto tutta la mia discografia. Credo sia dovuto al fatto che le mie canzoni raccontano storie e situazioni, spesso vere, senza alcuna volontà di fare politica. E in questo devo dire che i leghisti, come gli altri politici, sono stati molto onesti, chiamandomi per quello che ero, apprezzandomi per quello che sono e per ciò che faccio, al di là delle mie idee. Senz’altro più onesti di chi, soprattutto agli inizi, ha fatto due più due, come se il dialetto appartenesse a una parte o all’altra. Certo: i militanti amano particolarmente questo fatto della lingua popolare, tra loro ci sono estremisti che potrebbero scoppiare a piangere se io passassi all’italiano. A questi voglio dire: tranquilli, non succederà.
(Testo raccolto da Alessio Brunialti)
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di Giorgio Bardaglio
Non sappiamo se il Francesco Cherubini (il Cherubini, con l’articolo determinativo rigorosamente avanti il nome) la contempli nel suo dizionario "milanese - italiano". I nostri nonni però la usavano, ognuno con inflessione su accenti e vocali differente da territorio a territorio. L’espressione a cui ci riferiamo è "scìgna" (i puristi ci scuseranno la trascrizione tendente al pressappoco). «Al scìgna...», letteralmente «strizza l’occhio...», «fa l’occhiolino...». Ecco, "Romanzo Padano", libro scritto dai giornalisti David Parenzo e Davide Romano, "al scìgna". Strizza l’occhio alla Lega insomma e, meglio ancora, a tutti quei leghisti che nella Lega non hanno trovato soltanto un partito, ma anche un’idea, un’appartenenza, un punto di orientamento. "Romanzo Padano" non è però un libro ad esclusivo uso e consumo dei leghisti, tutt’altro. Poiché nonostante faccia l’occhiolino per non perderne nessuno, è scritto pure con rigore, nella migliore tradizione anglosassone dell’archivio giornalistico "masticato" e divulgato al grande pubblico. Gli autori, in poche parole, hanno svolto un lavoro certosino, spulciando libri, giornali, opuscoli, bollettini e immaginette persino, assemblando poi il tutto in forma di racconto. Un racconto che ha un protagonista assoluto, Umberto Bossi. E come ogni racconto che si rispetti non omette nulla di lui, compresi miti, riti, leggende e aneddoti la cui verità storica è poco dimostrabile, ma - come tutte le leggende - la tradizione orale ha ormai reso più vere del vero. Un esempio: le prime aggressioni subite dal Bossi «tecnico elettronico applicato alla medicina» che voleva cambiare il mondo e si ritrovò a fare l’imbianchino. Un secchio di colla e manifesti e stava lontano da casa giorni e giorni, mangiando panini e dormendo sull’auto. Tranne in un caso, a Pizzighettone, perché lì c’è «un giardinetto con le panche in pietra» e d’inverno no, ma d’estate schiacciarci un pisolino era uno spettacolo. Nel resoconto dell’Umberto manca forse la poesia, non il folclore. Si legge così che a Cremona se la vide brutta, sottoposto a una gragnuola di colpi affibbiati da cinque energumeni: «Quella volta la vidi brutta - ricorda Bossi - andai poi a lenire il dolore poco fuori città, nei pressi di un grande luna park». È questo Bossi estemporaneo che invece del pronto soccorso sceglie il luna park a colpire l’immaginario. Un Bossi inviso ai salotti e ambito dalle sagre, che il libro di David Parenzo (conduttore del talk show "Iceberg" su Telelombardia) e Davide Romano (editorialista de "La Repubblica Milano") racconta al meglio. Il Bossi che non si vergogna di indossare la canottiera come quattro quinti del popolo padano, che magari non vota Lega o, peggio, la odia proprio, ma sotto sotto la canottiera non l’abbandona mai, cascasse il mondo. Il Bossi che non si vergogna di cantare a "Porta a Porta" con Mino Reitano, e fargli il verso, replicando a "Italia" il suo "Padania", con voce rauca e stonata, proprio come in osteria farebbero tutti, dopo un bicchiere di vino. Bossi, apprendiamo, preferisce la Coca Cola, ma per fiutare gli umori del popolo ha odorato finissimo e se Parenzo e Romano hanno un merito (un merito da furbi, ma pur sempre un merito) è quello di non avere la puzza sotto il naso, limitandosi a mettere i fatti nero su bianco. Scrive bene Aldo Bonomi, nella prefazione: «Romanzo padano è un libro utile per capire l’antropologia del leghismo, attraverso la storia minuta del costituirsi della sua classe dirigente e del bacino di militanti, con la sua capacità di connettersi sentimentalmente con ciò che stava emergendo». Il quadro che ne esce è sorprendente soltanto per coloro che in questi anni sono stati troppo distratti dal proprio compiacimento per guardare ai fatti e registrare ciò che stava accadendo. Per tutti coloro che, come noi, di Lega si sono occupati sempre e solo di striscio e la considerano tuttora come fenomeno circoscritto e temporaneo, il libro apre gli occhi già nelle prime pagine, con una semplice constatazione che vale però un pugno nello stomaco: la Lega Nord è il partito più vecchio rappresentato oggi in parlamento. Per il resto, segnaliamo l’appendice che riporta, tra l’altro, i nominativi e la professione di tutti i parlamentari eletti nella storia della Lega Nord. Quisquiglie, si dirà. Invece no. Poiché per capire un’epopea vale più quest’elenco d’un trattato e tra i mestieri c’è di tutto, compreso il collaudatore di centrali telefoniche Erminio Boso.
David Parenzo e Davide Romano, «Romanzo padano», Sperling & Kupfer editore, 285 pagine, 15 euro
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