Cronaca / Olgiate e Bassa Comasca
Martedì 19 Gennaio 2021
Covid, cinque mesi in ospedale
«In coma, mi ricordo due porte»
Lurate Caccivio Mauro Puricelli, odontotecnico di 59 anni, ripercorre il suo calvario «Devo la vita a medici e infermieri»
Cinque mesi e cinque giorni interminabili lontano da casa, per sconfiggere il Covid e le sue pesanti conseguenze. Il calvario vissuto da Mauro Puricelli – odontotecnico di 59 anni – e dalla sua famiglia che ha sofferto con lui e per lui.
Ha cominciato ad avere i primi sintomi il 6 marzo con un banale mal di testa. Il giorno dopo ha accusato una grande stanchezza alla quale è subentrata la febbre.
«Da lì è iniziata tutta l’escalation – racconta Puricelli – Nonostante gli antibiotici la situazione non migliorava e anzi si era aggiunta la tosse. Da giovedì 12 marzo (quando il medico di base, Giovanna Valsecchi, lo aveva visitato) a sabato 14 la situazione è precipitata, tanto che il mio medico ha disposto il ricovero all’ospedale Sant’Anna. È stato tutto così rapido da non riuscire neanche a salutare i miei cari».
Dal pronto soccorso, dopo l’esito del tampone positivo, è stato trasferito al reparto dei malati Covid in via di dimissione.
«Avevo il nasello e l’ossigeno – prosegue Puricelli, che non aveva patologie pregresse – Ho cominciato a sentire una crescente spossatezza. Quando è emerso che l’ossigenazione continuava ad abbassarsi, sono stato trasferito al primo piano. Mi hanno messo prono con la maschera dell’ossigeno e una sorta di cuscino sotto il petto per aiutare la respirazione. Sono rimasto così una notte, ma continuavo a peggiorare. Da lì sono passato al casco per un giorno e il 26 marzo in terapia intensiva».
«Ho telefonato a mio fratello Sandro e gli ho detto “Non so se ci rivedremo” e gli ho raccomandato di stare vicino a mia moglie e a mio figlio nel caso non ne fossi uscito».
Nei giorni precedenti aveva scritto il testamento, nella drammatica consapevolezza di essere all’inizio di un tunnel forse senza uscita. È stato intubato e sedato. Un intero mese senza coscienza, poi un altro mese e mezzo di cure intensive ma vigile.
«Durante il coma farmacologico per due volte mi hanno ripreso per i capelli – prosegue Puricelli – Non so se sia stata autosuggestione, ma ho sognato molto e avuto ripetuti incubi. Ricordo in particolare di aver visto mia madre, che è deceduta. Sono arrivato da lei dove c’erano due porte, in quella di sinistra c’era lei e in quella di destra nessuno. Mi ha detto “devi scegliere” e istintivamente sono andato verso quella di destra, che rappresentava la rinascita. Quando sono stato svegliato dal coma all’inizio ho fatto fatica a capire quale fosse la realtà, se quella oggettiva o dei miei incubi».
Al risveglio, prima di Pasqua, una prova terribile.
«Ho avuto un trauma perché, a causa di una atrofia muscolare, ero completamente paralizzato, muovevo solo leggermente le dita della mano destra – aggiunge Puricelli – Avendomi fatto la tracheotomia l’8 aprile, non potevo neanche parlare. Ero così sconvolto e disperato che ho pregato il Signore di farmi morire».
«Ho avuto attacchi di panico - conclude Puricelli - Ricordo in particolare una sera in cui al culmine di una crisi respiratoria l’infermiera Angela si è avvicinata, mi ha messo la mano sul petto e mi ha parlato in modo così pacato da rasserenarmi. La forza che non riuscivo a trovare in me stesso me l’hanno data medici e infermieri, veri angeli, che mi dicevano di stare tranquillo, perché era una condizione momentanea e che avrei recuperato. Da solo non ce l’avrei mai fatta. Devo a loro la vita».
(Manuela Clerici)
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