Cronaca / Olgiate e Bassa Comasca
Martedì 05 Maggio 2020
«Io guarito dopo 52 giorni
Mi sembra una seconda vita»
Bulgaro, Tommaso Riva, 68 anni, tra i primi contagiati «A tutti ora dico di starsene a casa per il loro bene»
«Dopo il coronavirus è come una seconda vita». Quella cui è tornato Tommaso Riva– 68 anni – dopo 52 giorni di ricovero all’ospedale Sant’Anna. La sua battaglia contro il Covid-19 l’ha vinta. Da qualche giorno è tornato a casa, dove prosegue la convalescenza.
Lui che c’è passato avverte: «State attenti. Ho paura di quello che succederà nella “fase 2”. Ho il timore che gente irresponsabile pensi di andare in giro come prima, senza mascherina e senza rispettare le prescrizioni. Non auguro a nessuno di provare quello che ho passato a causa di questo virus tremendo».
Un calvario iniziato ai primi di marzo.
«Da qualche giorno accusavo uno stato di malessere. Avevo sempre un po’ di febbre ed ero inappetente – racconta Riva – La sera del 9 marzo mio figlio ha chiamato la Sos di Appiano. Dopo essere salito sull’ambulanza, a metà strada verso l’ospedale già non ero più del tutto cosciente. Deve essermi salita la febbre, ho ricordi vaghi. Ho presente l’immagine di noi pazienti ammassati sulle barelle al pronto soccorso, tanto era il via vai di ambulanze che scaricavano malati. Dopodiché non ricordo più nulla. A seguito di un rapido peggioramento sono stato intubato e portato in terapia intensiva. Della prima settimana non ho alcun ricordo».
Uscito dalla terapia intensiva, è stato poi trasferito in Chirurgia 3, monitorato 24 ore su 24, e in seguito in Chirurgia 2, dove negli ultimi 15 giorni ha lentamente riconquistato l’autonomia.
«Sono tornato a casa da qualche giorno, ma tuttora mi sveglio pensando che mi sia uscito l’ago dal braccio, poi metto a fuoco e capisco che sono nel mio letto – prosegue Riva – Ricordo ancora nei giorni più duri la sensazione strana che mi dava il casco che indossavo e tutto il contesto attorno, sembrava di essere in un film di fantascienza. Chiedevo alle infermiere cosa ci fosse nel casco perché mi sembrava di vedere cose strane, certe notti poi era davvero insopportabile. Quando vedevo la luce del giorno ringraziavo il Signore».
«Mi hanno fatto sette tamponi, il primo positivo, gli altri negativi – aggiunge Riva – È subentrata prima una broncopolmonite, poi una trombosi. Uno dei momenti in cui ho avuto più paura di non farcela è stata una notte quando mi hanno sottoposto d’urgenza a una trasfusione di sangue, la prima della mia vita. Da mezzanotte fino alle 5.30 ho pregato e sperato che non subentrassero complicazioni. Ho tenuto chiusi gli occhi perché non avevo il coraggio di vedere quanto sangue ancora ci fosse nella sacca».
Medici e infermieri per 52 giorni sono stati la sua famiglia. «Ringrazio di cuore in primis i medici della Terapia intensiva, Chirurgia 3 e Chirurgia 2 che mi hanno salvato la vita – conclude Riva - Ringrazio le infermiere e ausiliare di tutti i reparti che con la loro professionalità e soprattutto umanità mi hanno aiutato anche nei momenti di sconforto, comprese le addette alla pulizia. Ringrazio amici e parenti che con ogni forma di affetto mi sono stati vicini».
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