Vent’anni di Light of day, il rock che cura

Joe D’Urso: nato per Bob Benjamin, amico di Springsteen e mio manager, che a 40 anni si ammalò di Parkinson, oggi il concerto solidale gira il mondo

Dopo tre anni di pausa forzata a causa del Covid torna in Italia il Light of Day (domenica 4 dicembre alle 17 al Teatro del Sacro Cuore di Figino Serenza. Per info e prenotazioni [email protected]). Ne parliamo con Joe D’urso, cantautore del New Jersey, anima e cuore di questa manifestazione patrocinata da Bruce Springsteen. La prima volta che vidi Joe D’Urso dal vivo avevo ventuno anni, era il 1996 e suonava All’una&35circa di Cantù. Terminò il concerto in piedi su un tavolino, in mezzo al pubblico con una travolgente versione di “The River” del Boss. Il Light of Day durante la pandemia ha continuato la sua battaglia al Parkinson con eventi in streaming, ma finalmente la carovana di cantautori americani è tornata a viaggiare e tra le tappe del tour mondiale non poteva mancare l’Italia.

Joe, finalmente ci rivediamo a Figino Serenza!

Si, è una sensazione fantastica tornare in Italia! L’idea di portare il Light of Day in giro per il mondo è nata proprio in Italia durante uno spettacolo a Roma. È stato lo spunto per far diventare il Light of Day itinerante e portarlo in tour in altri paesi Europei e successivamente in Canada e Australia.

Il mondo è cambiato in questi anni con forti ripercussioni anche sulla scena musicale. Molti locali storici non sono sopravvissuti. Mi riferisco in particolare All’una&35circa di Cantù dove ti ho visto suonare la prima volta che sei venuto in Italia e dove abbiamo portato il Light of Day con ospiti Jake Clemons, Eddie Manion e Davide Van De Sfroos.

All’una&35circa avrà sempre un posto speciale nel mio cuore. La prima volta che ci ho suonato era il 1996, grazie a Carlo Carlini e alla sua Only a Hobo Promotion. Il pubblico era formato da veri appassionati di musica che mi conoscevano grazie a una bellissima recensione che era uscita sul “Buscadero”. Quando il locale si spostò ero preoccupato che non riuscisse a mantenere la sua vecchia anima, ma mi sbagliavo e ho continuato ad emozionarmi e divertirmi a suonare lì. Poi nel backstage, vicino al tavolo da biliardo, c’era il mio poster autografato appeso a una parete, di fianco alla foto di Carlo Carlini. Mi vengono i brividi ed è terribile pensare che non ci sia più. Stiamo attraversando un momento storico davvero difficile, forse però la musica ancora una volta può aiutarci. Io sto lavorando con la mia band, gli Stone Caravan, al quindicesimo album in studio della mia carriera e quest’anno ho pubblicato due live, uno elettrico registrato in Germania e uno acustico dal titolo “What Would Pete Do?”

Tre dischi in uscita, i tuoi concerti e poi c’è la macchina del Light of Day da preparare ogni anno. Come scegli il cast degli artisti e chi ci porti quest’anno?

Ogni anno faccio del mio meglio per scegliere un “cast” che abbia un po’ di storia e seguito in Europa, poiché è importante che ogni artista coinvolto possa contribuire a portare parte del suo pubblico al Light of Day. Negli anni abbiamo fidelizzato un nostro pubblico che ci segue indipendentemente dagli artisti, ma per vincere la battaglia col Parkinson dobbiamo riempire i teatri. Nella line up di quest’anno, oltre a me e Rob Dye (entrambi membri del consiglio di amministrazione del Light of Day), ci saranno il cantautore passionale Jeffrey Gaines di Harrisburg, Pennsylvania, l’introspettivo Ben Arnold di Filadelfia e la meravigliosamente talentuosa e vivace Miss Emily di Kingston, Canada.

E poi c’è Elliott Murphy!

Un vero colpo visto che parteciperà solo alle date italiane del Light of Day e a nessun’altra in Europa.

Sono davvero felice che siamo riusciti a far salire finalmente Elliott sulla carovana del Light of Day, per la prima volta nonostante l’amicizia che lo lega a Springsteen. Elliott è sulla scena da molto tempo ed è un punto fermo della musica mondiale. Fu Bob Benjamin a farmelo conoscere nei primi anni Novanta. Elliott è nativo di New York, ma entrambi a un certo punto ce ne siamo andati. Elliott vive in Francia, io ho percorso meno strada e mi sono fermato al New Jersey.

C’è un musicista in particolare che ti piacerebbe riuscire a portare in Italia nei prossimi anni?

Sicuramente ci sono alcuni cantautori eccezionali con cui lavoriamo che non siamo ancora riusciti a portare in Europa. Uno di questi è Joe Grushecky, che finalmente dovrebbe essere con noi il prossimo anno quando terminerà il suo lavoro di insegnante. Mi piacerebbe far tornare Willie Nile e Jesse Malin che mancano da un po’. E poi gli amici di sempre: Guy Davis, Jake Clemons, James Maddock, Eddie Manion. Quella del Light of Day è una famiglia, oltre allo spessore artistico c’è il lato umano, che è fondamentale.

E uno dei membri di questa famiglia è Bruce Springsteen…

Bruce e Bob Benjamin si sono conosciuti nei primi anni Settanta. Fu grazie a Bob che Bruce iniziò a fare le sue prime t-shirts per i fan. Bob è stato il mio manager e anche di Joe Gruschecky e ha mantenuto negli anni questo forte legame di amicizia con Bruce. Il Light of Day è nato nel 1999 a Red Bank, in New Jersey, in occasione del quarantesimo compleanno di Bob. Gli avevano diagnosticato il Parkinson da poco e aveva chiesto di non fargli regali ma di creare una raccolta fondi. Quella sera Bobby Bandera (Bon Jovi, Asbury Jukes) ha suonato con me. Poi, due anni dopo, Bob chiese a me e Tony Pallagrosi di organizzare uno spettacolo di beneficienza allo Stone Pony, a Asbury Park. Coinvolgemmo Willie Nile, Joe Grushecky, i Marah e una manciata di artisti locali e a sorpresa arrivarono Bruce Springsteen e Michael J Fox. Bruce suonò tutta la sera e da allora ha partecipato a ben 13 delle 21 edizioni della maratona finale del Light of Day, che si tiene ogni anno, a gennaio, a Asbury Park. Davvero incredibile.

Già, davvero incredibile! L’ho visto coi miei occhi. Sono stato fortunato, le due volte che mi avete invitato a Asbury Park a suonare mi sono ritrovato sul palco con Springsteen. Torniamo al concerto di Figino Serenza, che come da tradizione sarà l’ultima tappa del tour italiano. Fa abbastanza impressione vedere il nome di un piccolo paese in provincia di Como di fianco a quello delle principali città europee.

Il Light of Day di Figino è speciale. Uno dei momenti cult è sicuramente la cena dopo il concerto. Si canta in coro, si fanno ascoltare canzoni nuove, ci sono discorsi e applausi. Gli applausi più forti vanno al mitico “gruppo cucina”. Ho già l’acquolina in bocca pensando al risotto che stanno preparando per noi. Il lunedì ci concediamo il day off a Como, che nel periodo natalizio è davvero magica.

In questi anni a Figino si sono aggiunti alla line up del Light of Day personaggi di spicco della musica e dello spettacolo come Joe Bastianich, Vinicio Capossela, Davide Van De Sfroos, Eugenio Finardi…

C’è qualcuno che ricordi particolarmente e che ti piacerebbe coinvolgere ancora in futuro?

Sono molto riconoscente a ognuno di loro per quello che ha fatto per il Light of Day e per il Parkinson. Joe Bastianich ha il carisma e la personalità dei grandi personaggi televisivi, Vinicio mi ha ricordato le cose più belle di Tom Waits. Davvero sono stati tutti speciali, ma Bobo Rondelli occupa un posto in alto nel mio cuore perché le sue storie, le sue canzoni e il suo calore fanno sempre sorridere e stare bene la gente, e questo si aggiunge al messaggio del Light of Day che cerchiamo di portare a ogni spettacolo. Credo che Davide Van De Sfroos abiti in zona, se volesse raggiungerci anche quest’anno sarebbe molto bello.

Joe, lascia un messaggio per convincere chi sta leggendo questo articolo a partecipare al Light of Day.

Il Covid, la guerra, quello che succede oggi nel mondo sta rendendo la nostra “missione” ancora più difficile. Ci sono persone che hanno bisogno di avere una voce e sapere che gli altri si preoccupano e vogliono aiutarli. Garantisco che chiunque venga a uno spettacolo del Light of Day si divertirà, emozionerà, commoverà e se ne andrà con la sensazione che le persone nel mondo si prendono cura l’una dell’altra. A volte basta cercarle!

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