Più educazione finanziaria nei programmi scolastici

Intervista Livello di competenze ancora al di sotto della media Ocse: «Argomento lontano per i ragazzi? Affatto, conoscenze utili anche a 12-13 anni per la gestione di piccoli budget»

L’educazione finanziaria rimane un punto debole delle competenze degli studenti dei due cicli di scuola secondaria dei giovani italiani, ma anche fra gli adulti non va meglio. A dimostrarlo sono le ultime rilevazioni del test Pisa (programme for international student assessment), indagine internazionale realizzata dall’Ocse fra i Paesi aderenti per misurare le competenze degli studenti 15enni. Gli ultimi dati diffusi a luglio (col risultato dei test realizzati nel 2022) ci dicono che, per la parte relativa alle competenze finanziarie, gli studenti italiani sono sotto la media degli altri Paesi, seppure in leggero miglioramento nel medio periodo (2018) e ancora meglio sul lungo (2012). Ma stringendo il confronto fra Italia e Paesi Europei, a fare peggio di noi è solo la Bulgaria. Ne parliamo con Paolo Balduzzi, professore di Economia pubblica e Scienza delle finanze in Università Cattolica.

Professore, in senso didattico qual è l’età giusta per iniziare a istruire sui temi economico-finanziari, che sembrano essere così lontani dai giovanissimi italiani?

L’educazione economico finanziaria è certamente un argomento che potrebbe risultare comunque molto lontano per gli studenti, ma anche a partire dai 12-13 anni di età, trovandosi a gestire dei piccoli budget, possono capire l’interesse pratico nello sviluppare un certo tipo di conoscenza e di competenza.

Non è mai troppo presto per imparare?

Certamente l’argomento si può toccare anche prima della scuola secondaria, ma per un approccio concreto di utilizzo della competenza credo sia decisamente più efficace da partire dalla scuola secondaria inferiore.

Cosa c’è alla base della carenza italiana in educazione economica e finanziaria?

C’è innanzitutto un ritardo della scuola, che tende a sottovalutare certe materie. Pensiamo solo ai tomi intonsi dei nostri vecchi testi di educazione civica, materia che nelle scuole era prevista prevista ma di fatto poco praticata. Regolarmente oggi il legislatore torna a parlare della necessità di insegnare educazione civica, ma rimane materia residuale, così come accade per l’educazione finanziaria.

Un recupero è possibile?

L’Italia è uno dei pochi Paesi che da quando esiste il test internazionale Pisa, che misura le competenze dei ragazzi nei Paesi Ocse, ha sempre partecipato e ciò dimostra che il nostro Paese da un certo punto di vista ha dunque un approccio volto all’approfondimento di tali competenze. Formalmente, dunque, l’Italia è interessata. Detto ciò, nelle scuole non ci sono competenze specifiche per svolgere tali programmi. Quindi, molto è lasciato un po’ all’interesse dei docenti e all’iniziativa delle case editrici: ce ne sono alcune che nei propri libri di testo introducono schede di educazione finanziaria e altre che non lo reputano importante.

Un’Italia formalmente interessata ma che non agisce?

Formalmente l’Italia da un lato ha un approccio corretto, ma nella pratica non dà abbastanza indicazioni curriculari e spazio allo sviluppo delle competenze finanziarie. Dall’altro lato c’è un atteggiamento culturale degli italiani, grandi risparmiatori ma poco interessati a ciò che viene fatto con i propri soldi. Storicamente gran parte dei risparmi italiani sono sempre stati investiti negli immobili, con poco interesse per il mercato finanziario. Il sistema pensionistico italiano obbligatorio porta a pensare che se già si deve pagare una parte dello stipendio per le pensioni che almeno fino a qualche anno fa davano buoni rendimenti in quanto si poteva andare in pensione presto, quindi perché mai si dovrebbe pensare a investimenti a lungo termine in previdenza complementare? Tanto ci pensa già il sistema previdenziale. La struttura di welfare state non ha incentivato gli italiani ad approfondire le questioni finanziarie

C’è anche un problema di trasmissione culturale in famiglia delle attitudine al risparmio e relativo utilizzo?

E’ un’attitudine che viene trasmessa poco dalle famiglie. Aggiungo che, fra l’altro, gli ultimi test Pisa dicono che l’effetto della famiglia di appartenenza sullo sviluppo di tali competenze è tuttavia molto basso: non è detto che i giovani provenienti da famiglie agiate o con genitori con grado di istruzione elevato abbiano regolarmente risultati migliori degli altri. Le carenze in educazione finanziaria riguardano la generalità della nostra popolazione, c’è una grande sfida e possibilità: i risultati scolastici dipendono molto dalla famiglia di appartenenza, ma la competenza finanziaria non altrettanto e quindi nell’istruzione scolastica c’è maggior spazio per portare tutti avanti, senza creare ulteriori differenze.

Perché l’educazione finanziaria dovrebbe diventare materia curriculare?

Rispondo con un esempio, perché sul punto c’è un tema di democrazia. E’ più facile convincerci che se nessuno di noi sa come funziona una legge elettorale o come vengono prese le decisioni in Parlamento è evidente che il nostro voto come elettori è inconsapevole. Dovremmo convincerci che lo stesso tipo di problema si ha anche nei casi di mancanza di educazione finanziaria: se non siamo in grado di valutare alcune riforme o proposte che vengono realizzate o portate all’opinione pubblica durante le campagne elettorali non possiamo distinguerne la correttezza. Non possiamo individuare, ad esempio, l’esistenza di proposte inique, che favoriscono solo una parte di popolazione: ad esempio, col Superbonus ci siamo illusi di ristrutturare a costo zero le case e invece ci troviamo con i conti da ripagare. Il debito pubblico italiano accumulato negli anni Settanta e Ottanta, quando la classe politica prometteva qualunque cosa, è un altro esempio di come l’opinione pubblica abbia creduto che nessuno mai avrebbe ripagato quel debito, che invece adesso è da ripagare. L’educazione finanziaria serve a valutare che non esiste nulla di gratis nello Stato: ogni volta che usufruiamo di un servizio senza pagarlo (sanità, istruzione) tale servizio è finanziato da qualcun altro e capirne i meccanismi è possibile con un certo tipo di competenza. In tal senso credo che l’educazione finanziaria nelle imprese migliori anche la qualità della vita democratica del Paese.

Come vele de iniziative di educazione finanziaria realizzate dalla Banca d’Italia e da singoli iIstituti finanziari?

In mancanza di iniziativa ministeriale vanno bene anche le iniziative delle istituzioni finanziarie ma non credo che a regime vada consolidato tale modello. Dobbiamo chiederci se il ministero dell’Istruzione voglia lasciare queste iniziative al mondo finanziario oppure se farle proprie.

L’educazione finanziaria fa riferimento non solo alla gestione del proprio budget, tema che pure è importante ed è parte dell’insegnamento, ma soprattutto al funzionamento del mercato dei mutui e degli investimenti. E’ un insegnamento che porta a competenze un po’ più elevate, che richiedono evidentemente anche una formazione specializzata di chi insegna. Non si può dire che negli ultimi decenni non sia stato fatto nulla, ci sono state iniziative sporadiche e richiami. Se ne scrive e se ne parla molto sui media quando c’è la settimana finanziaria della Banca d’Italia, così come quando arrivano i test dell’Ocse, poi cala il disinteresse. L’interesse del Paese è creare le competenze finanziarie, distribuite uniformemente sul territorio nazionale, cosa che oggi non accade. In Italia, dove comunque non ci comportiamo bene in educazione finanziaria, tuttavia al Nord abbiamo risultati un po’ migliori rispetto al Sud, mentre i ragazzi ottengono punteggi leggermente migliori rispetto alle ragazze. Su tali aspetti la scuola ha un grande spazio di azione e anche una grande responsabilità.

© RIPRODUZIONE RISERVATA