Strage di Erba, i giudici: «Nessuna nuova prova, nessun complotto. Bazzi e Romano sono colpevoli»

Revisione Le motivazioni con cui la Corte d’Appello di Brescia demolisce la richiesta di riapertura del processo

Nessun complotto. Nessuna confessione estorta. Nessun testimone manipolato. Ma, soprattutto, nessun dubbio: Olindo Romano e Rosa Bazzi sono gli autori della strage di Erba. E a dimostrarlo è «la solidità dell’impianto probatorio su cui si fonda il giudicato e, soprattutto, l’assenza del carattere di novità della maggior parte delle prove della difesa».

La Corte d’Appello di Brescia ha depositato le motivazioni con le quali, nel luglio scorso, ha rigettato la richiesta di revisione del processo per la strage dell’11 dicembre 2006. Quasi novanta pagine che demoliscono punto per punto tutte le suggestioni proposte dalla difesa dei due imputati, giudicate del tutto prive di novità. Anzi: «La maggioranza delle prove proposte - si legge - si concentra su dati di contorno o ambivalenti che, anche sommati e valutati unitamente alle prove già acquisite, non sono in grado di incrinare il compendio probatorio su cui si fonda il giudicato di condanna». E sulle suggerite falsità commesse dagli investigatori comaschi, i giudici non lasciano alcuno spazio ai dubbi: «La falsità delle prove così come i presunti fatti-reato che avrebbero inquinato il processo non discenderebbe da nuove prove di segno opposto a quelle considerate ma da una sorta di complotto ai danni di Romano e Bazzi».

I giudici ripercorrono passo dopo passo le asserite nuove prove che la difesa aveva elencato nella richiesta di revisione. Con una premessa: «La richiesta dei difensori è inammissibile sotto il duplice profilo della mancanza di novità e della inidoneità a ribaltare il giudizio di penale responsabilità delle prove di cui è chiesta l’ammissione».

Ma soprattutto, come peraltro più volte sottolineato anche nei nostri articoli (oltre che nel nostro podcast e videopodcast Anime Nere) «Ai frammentari dati su cui si concentra l’istanza di revisione si contrappone un quadro probatorio solido e univoco, in cui convergono accanto alle tre prove su cui si concentra l’istanza di revisione» (ovvero le confessioni, la testimonianza di Mario Frigerio e la macchia di sangue sull’auto di Olindo Romano) «anche: le annotazioni sulla Bibbia, la lettera a padre Bassano Pirovano, le dichiarazioni rese da Olindo a Giuliano Tavaroli, il movente, le ferite sul dito di Rosa Bazzi, lo scontrino del Mcdonald’s, le caratteristiche delle ferite, il contatore chiuso e apribile solo dai condomini, la via di fuga».

SANGUE SUL BATTITACCO

Com’è noto la difesa di Olindo Romano e Rosa Bazzi ha cercato di demolire la presenza del sangue di Valeria Cherubini (e di tracce anche di Mario Frigerio) sulla Seat Arosa dei coniugi assassini. Il tutto attraverso una corposa consulenza di un esperto, il dottor Capra. Secondo i giudici, tuttavia, le considerazioni del consulente «sono generiche e ricalcano questioni già esaurientemente affrontate nei precedenti gradi di giudizio». Tra l’altro, riguardo all’assenza di foto che ritraggono la luminescenza, i giudici sottolineano come è vero che «le fotografie non consentono di vedere la traccia ma, contrariamente a quanto affermato dal consulente, immortalano chiaramente l’effetto bagnato derivante dall’aspersione del Luminol».

Anche «la tesi di una possibile colposa o dolosa commistione tra i reperti», ovvero l’invio al consulente della Procura di prove scambiate (per colpo o per dolo), i giudici sottolineano come sia «escluso che il reperto possa essere stato erroneamente inserito tra quelli prelevati dalla vettura o confuso con altri. La tesi di un inserimento doloso è fantasiosa, giacché si fonda su un preteso accanimento degli inquirenti nei confronti di Romano e Bazzi, già escluso con dovizia di argomenti dalle sentenze di merito e smentito dalla pluralità delle piste seguite nell’immediatezza dell’eccidio». Ma ciò che «è dirimente è che la consulenza non rappresenta una prova nuova, giacché le valutazioni non sono il risultato di nuove tecnologie».

LA TESTIMONIANZA DI MARIO FRIGERIO

«Ancor più lampante l’assenza di novità» nella consulenza su Mario Frigerio con l’asserita inidoneità dell’uomo sopravvissuto alla strage a rendere testimonianza. I giudici fanno una considerazione tanto logica quanto decisiva: la deposizione resa in dibattimento dal marito di Valeria Cherubini è stata «lucida, sicura e ricca di dettagli» e questo «contraddice la tesi dell’amnesia anterograda che avrebbe investito solo l’identità dell’aggressore, lasciando intatta la memoria di ogni altro particolare». Come dire: com’è possibile che Mario Frigerio ricordi ogni dettaglio e si sbagli solo sull’identità dell’assassino? E poi: chi l’ha detto che Mario Frigerio è rimasto davvero intossicato dal monossido di carbonio? In realtà proprio La Provincia aveva pubblicato gli esami del sangue che smentiscono l’intossicazione, causa diretta - secondo i consulenti della difesa - dell’amnesia anterograda. I giudici si limitano a sottolineare come «l’intossicazione da monossido di carbonio su cui si concentra la consulenza è indimostrata» e in ogni caso «le osservazioni di consulenti e difensori sul rivisitato contenuto delle audizioni non hanno niente d’inedito ma riproducono pedissequamente specifici motivi del ricorso per Cassazione respinti dalla corte».

LE CONFESSIONI DI ROMANO E BAZZI

«Si propone una diversa valutazione della genuinità delle dichiarazioni confessorie degli imputati, già approfondita, come anche la personalità degli stessi e la denunciata opera di suggestioni degli inquirenti». Anche qui, stesse considerazioni: le consulenze non portano alcun elemento nuovo. Tutte le sentenze di condanna ripercorrono le confessioni e spiegano il motivo per cui la ritrattazione non è giudicata in alcun modo credibile. E anche riguardo ai «plurimi motivi di doglianza in merito al carattere coartato dalle confessioni» i giudici sottolineano come questo non sia «mai stato lamentato dagli imputati prima dell’udienza preliminari ed anzi» sia stato «escluso dal tenore delle annotazioni a margine della Bibbia da Romano e dalla lettera spedita a padre Bassano dagli imputati».

IL RUOLO DE LE IENE

Ma la sentenza della Corte d’Appello di Brescia si sofferma anche sul ruolo di quel processo parallelo, che si è celebrato sulla strage di Erba, che è il processo mediato. E, in particolar modo, sulla mole di asserite nuove prove consistite nei servizi proposti dalla trasmissione di Italia Uno Le Iene. Tra queste l’intervista all’ex maresciallo dei carabinieri di Como, Giovanni Tartaglia, liquidate dai magistrati così: «Le presunte rivelazioni dell’ex maresciallo di Como sono quanto di più generico e sono sprovviste di qualsivoglia elemento di riscontro». Per non parlare dello spacciatore Abdi Kais: «La tesi della pista legata allo spaccio è già stata prospettata dalla difesa e confutata nelle sentenze e certo non può trarre nuova linfa dalle generiche asserzioni di Kais, all’epoca del fatto detenuto da sei mesi, smentite dal contenuto dell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti, tra gli altri, di Azouz Marzouk e dello stesso Kais». O ancora l’intervista a Ben Chemcoun, l’uomo che aveva dichiarato di aver visto una persona che somigliava a Pietro Castagna la sera della strage (descritto come «aveva lo sguardo da matto» e capace di capire la lingua araba) «ricalca il contenuto dei verbali» e «la mancata valorizzazione di tali dichiarazioni è stata denunciata dalle difese nei motivi di appello e per cassazione e, dunque, palesemente la prova difetta anche del requisito della novità».

«Poiché una parte delle prove sono rappresentate da interviste - sottolineano ancora i giudici - la natura di documenti di tali interviste non vale a conferire loro il rango di prova ammissibile in sede processuale. Diversamente dal testimone escusso in giudizio, il soggetto intervistato non ha l’obbligo di dire la verità e non assume alcun impegno in tal senso. Al contrario è sicuramente condizionale dalla pubblicità che il mezzo garantisce e tende generalmente a compiacere l’intervistatore». E dunque «nessun presidio, al di là della deontologia dell’intervistatore, è previsto a tutela della genuinità e libertà delle risposte e della correttezza delle domande che possono essere suggestive, insinuanti e insidiose».

TARFUSSER

Infine non manca una tirata d’orecchie anche all’ex sostituto procuratore generale Cuno Tarfusser, che si è costruito una notorietà televisiva negli ultimi mesi grazie alla richiesta di revisione presentata alla stampa, prima ancora che al suo capo presso la Procura generale di Milano: «La richiesta di Tarfusser, prima ancora che carente sotto il profilo della novità della prova, è inammissibile per difetto di legittimazione del proponente». Infatti Tarfusser è «sostituto procuratore generale privo di delega relativamente alle revisioni» e nel voler presentare a tutti i costi quell’atto ha violato le regole al buon funzionamento dell’ufficio, regole ben note allo stesso Tarfusser.

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