«Un paese più moderno e vicino alle famiglie. Meloni? si può battere»

L’intervista Enrico Letta: «Se Salvini approvasse la flat tax, vedremmo tagliati tutti i servizi pubblici essenziali per ripianare il buco di bilancio che si verrebbe a creare»

Segretario Letta, lei vede possibilità di rimonta da parte del centrosinistra? Tutti i sondaggi parlano di una netta vittoria del centrodestra con FdI a fare la parte del leone.

Assolutamente sì. Sono proprio i sondaggi a dirci che tantissime persone devono ancora decidere chi votare. In questi ultimi giorni di campagna, con la forza delle nostre idee sapremo dimostrare che abbiamo la ricetta giusta per il Paese: sviluppo sostenibile, sostegno a famiglie e imprese contro il caro bollette, lotta al cambiamento climatico, diritti civili e sociali, a partire da scuola, lavoro, salute e casa. La maggioranza delle italiane e degli italiani chiede proprio questo, un’Italia più moderna, più giusta, che non lascia indietro nessuno. Non è vera la narrazione secondo cui il Paese ha già sposato la visione oscurantista, di destra estrema, di Giorgia Meloni.

Lei ha detto che se Giorgia Meloni vincerà le elezioni sarà legittimata a fare il presidente del consiglio. Però poi parla di tutta una serie di rischi legati all’Europa e alle politiche di bilancio se dovesse verificarsi questa eventualità. Non c’è una contraddizione?

I risultati delle elezioni non si discutono. Al contrario di quello che fanno le destre in giro per il mondo, come i repubblicani di Trump amici di Meloni e Salvini. Accetteremo qualsiasi risultato uscirà dalle urne, perché è così che funziona una democrazia. Ma un governo non vale l’altro. Se Meloni si mettesse a rinegoziare il Pnrr, rischieremmo di perdere un’occasione storica per il nostro Paese. Se Berlusconi togliesse le sanzioni a Putin, resteremmo isolati dal resto dell’Europa, senza tra l’altro aiutare davvero i nostri cittadini. Se Salvini approvasse la flat tax, vedremmo tagliati tutti i servizi pubblici essenziali per ripianare il buco di bilancio che si verrebbe a creare. Queste sono scelte che fanno la differenza, e che non fanno gli interessi dell’Italia.

Pare che la partita decisiva si giochi al Sud, dove i 5Stelle potrebbero strappare voti decisivi alla destra. Il Nord non tocca palla in queste elezioni: è già tutto deciso?

No, non è tutto già deciso. Un buon risultato del Movimento 5 Stelle al Sud in realtà ci favorisce, perché rende contendibili collegi che prima non lo erano. È comunque la conferma del disagio profondo di un Sud che si sente abbandonato e si aggrappa al reddito di cittadinanza, che i 5Stelle stanno usando come bandiera. Noi al Sud ci siamo: per questo abbiamo lanciato la Carta di Taranto, il nostro piano strategico per il rilancio del Mezzogiorno. Ma anche il Nord riserverà sorprese: artigiani, commercianti, professionisti e imprenditori sono stati traditi dalla scelta di Lega e Forza Italia di far cadere il governo Draghi e non possono certo fidarsi di chi non ha mai sostenuto quel governo. Andremo meglio di quanto dicono i sondaggi: le nostre candidate e i nostri candidati stanno facendo una campagna elettorale straordinaria, in ascolto del territorio, delle famiglie, delle imprese.

Quanto si è pentito di non aver insistito abbastanza per creare le condizione così da poter cambiare questa legge elettorale?

Nessun pentimento, noi ci abbiamo provato fino all’ultimo. Da quando sono stato eletto Segretario del Pd ripeto che questa legge elettorale è pessima. Ho insistito con le altre forze politiche per cambiarla, ma la destra ha preferito andare al voto con questo sistema perché è convinta di esserne avvantaggiata. È un errore cinico e anche gli elettori ne sono consapevoli.

Che farà in caso di sconfitta del Pd e della coalizione di centrosinistra? Lascerà l’incarico?

Ha poco senso ora parlare di questo argomento. È la destra ad aver costruito progetti politici soltanto sui leader: prima Berlusconi, poi Salvini, ora Meloni, domani chissà. Ma non è il nostro modo di intendere la politica. Il Partito Democratico è una grande comunità, dove le decisioni si prendono insieme. Le idee e i valori sono più importanti della persona che è chiamata momentaneamente a rappresentarli.

Lei pensa che il ceto politico attuale sia all’altezza delle sfide terribili che attendono il Paese, su tutte quella del caro energia con le sue ricadute sociali?

Sì, a una condizione. Che tutte e tutti siano disposti a mettere da parte interessi di parte, protagonismi e ambizioni personali. Quello che più mi spaventa in questa fase è il cinismo politico, la scelta di guardare ai sondaggi più che agli interessi del Paese.È quello che è successo con la fine del Governo Draghi. C’erano tutte le condizioni per proseguire il lavoro, per lanciare un serio piano contro il caro bollette e approvare le misure dell’agenda sociale annunciata da Draghi stesso. Ma Salvini, Conte e Berlusconi hanno preferito farsi i conti in tasca, invece di comportarsi da uomini di Stato.

Con i Cinque Stelle e il Terzo Polo, dopo il voto e se non ci fossero vincitori certi, sarebbe possibile riaprire una dialogo? Ci sono forze di centrodestra con cui lei rifarebbe una “grande coalizione”?

Valutazioni di questo tipo saranno da fare dopo il voto, sulla base ai risultati. Ma l’ho già detto più volte e lo ripeto: la maggioranza che ha sostenuto il governo Draghi è irripetibile, un’eccezione dovuta a circostanze emergenziali e straordinarie. Servono chiarezza e alternanza tra destra e sinistra, come in tutte le democrazie mature.

Una domanda locale: che idea si è fatto del risultato delle amministrative di Como dove la vostra candidata è stata sconfitta a sorpresa al ballottaggio da un esponente “civico”?

Il risultato comasco, specie al primo turno, va valutato nell’ottica del forte supporto dato dai cittadini a Barbara Minghetti, a cui è andato il 39,4% dei voti. Segno che la sua agenda progressista per lo sviluppo della città ha convinto moltissimi cittadini. Il primo turno è poi stata una vera Caporetto per un centrodestra dilaniato da tensioni intestine e responsabile di cinque anni di immobilismo politico e amministrativo che hanno letteralmente affossato Como. Se guardiamo invece al risultato del ballottaggio, la mia riflessione non può prescindere da due elementi: l’affluenza in picchiata e la scelta degli elettori per un candidato civico, marcatamente anti-partitico ma vincitore anche grazie a migliaia di voti dei partiti di centrodestra buttati fuori al ballottaggio. Sono segnali che indicano l’erosione di fiducia da parte dei cittadini: un fenomeno globale a cui dare risposta, tanto a Como quanto in tutta Italia. Possiamo farlo solo con idee, visione, concretezza e serietà.

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