«I negozi alimentari restano presidi sociali»: ma a Como sono pochi

La classifica In provincia solo un residente su tre può raggiungere uno spaccio in 15 minuti a piedi. Monetti (Confcommercio): «Problema da affrontare»

Poco più di tre comaschi su dieci raggiungono un punto vendita alimentare in 15 minuti a piedi dalla propria abitazione.

A misurare la vicinanza fisica dei servizi alle persone, è un indice realizzato nell’ambito del progetto Urban Pulse 15 del Centro studi delle Camere di commercio Guglielmo Tagliacarne che prende spunto dalla «Città di 15 minuti» dello scienziato franco-colombiano Carlos Moreno, un concetto urbano residenziale in cui la maggior parte delle necessità quotidiane dei residenti può essere soddisfatta spostandosi a piedi o in bicicletta da casa propria.

Graduatoria

La classifica italiana è guidata dalla provincia di Barletta dove il 68,4% dei residenti ha un punto vendita alimentare a meno di 15 minuti dalla propria abitazione, chiude la graduatoria Belluno con il 21,7%. La media nazionale è del 39%. La città più servita è invece Torino che ha la maggiore quota di residenti (80,8%) servita da almeno un supermercato entro 15 minuti.

Il territorio comasco con il 30,1% si posiziona 86esimo su 107 province. L’indice rappresenta una media tra capoluogo e provincia, grande e piccola distribuzione. In merito alla grande distribuzione a Como città il 57,9% dei residenti riesce a raggiungere un punto vendita in meno di 15 minuti a piedi (13 supermercati ogni 10 km quadrati), nel resto della provincia la media è invece del 30,5% (due attività ogni 10 kmq). Per quanto riguarda il piccolo commercio al dettaglio (panifici, macellerie, pescherie, fruttivendoli) a Como città il 44,2% dei residenti riesce a raggiungere un punto vendita in meno di 15 minuti a piedi (23 attività ogni 10 km quadrati), nel resto della provincia la media è invece del 22,6% (quattro attività ogni 10 kmq).

«I dati confermano quella che è la nostra preoccupazione sulla quale stiamo lavorando da anni: il fenomeno della desertificazione commerciale, quando vengono a mancare anche i servizi essenziali di prima necessità che costringono le persone a dover percorrere lunghe distanze, sempre che possano farlo, con mezzi autonomi o pubblici - commenta Graziano Monetti direttore di Confcommercio Como – Il tema, al di là della classifica, è interessante, mette in risalto come il commercio non vada visto solo come necessità di beni di consumo, è comodo avere il negozietto sotto casa, ma anche come servizio sociale».

Logica

L’aumento delle serrande abbassate nei paesi sono sotto gli occhi di tutti: «La difesa dei piccoli negozi può sembrare romantica, ma in realtà c’è molto di più, si possono creare situazioni di disagio che diventa difficile ripristinare, una volta svuotato un centro dai negozi è complicato ripopolarlo».

Confcommercio ha provato con alcune amministrazioni comunali a prevedere incentivi per le nuove aperture, ma non è così semplice. Cosa si potrebbe fare? «Lavorare a livello di urbanistica e di programmazione delle città, concependo spazi di commercio anche in una logica sociale di presidio e di servizio. Confcommercio si pone come interlocutore per poter dare spunti e collaborazioni nella fase di progettazione di nuovi quartieri o di riqualificazione di quelli esistenti». Altri punti su cui operare riguardano i collegamenti e i parcheggi: «La grande sforza del centro commerciale è la comodità, bisognerebbe ricreare le stesse condizioni anche nei centri e nei quartieri. Il tempo è tra gli elementi più critici della nostra epoca, bisogna dare la possibilità alle persone di raggiungere facilmente e rapidamente l’esercizio che stanno cercando».

© RIPRODUZIONE RISERVATA