Benessere che dà business: «Focus sulla formazione»

Intervista Mauro Ferraresi di Iulm: fatturato da 16,6 miliardi «che richiede professionisti all’altezza in un Paese di riconosciuta eccellenza globale»

Nell’ultimo report del Global Wellmess Institute realizzato sul periodo gennaio-settembre 2023 i consumi nei (numerosi) settori dell’economia del benessere si sono ripresi e hanno superato i livelli pre pandemia. Il dato riguarda tutti i comparti industriali e terziari collegati ad attività e stili di vita riconducibili al mondo del benessere su 11 diversi indicatori in 218 Paesi, dal mondo Spa a quello delle terme, dal turismo all’edilizia dedicata, al benessere sul posto di lavoro. Stringendo il focus su “bellezza e benessere” i dati di Cosmetica Italia-Confindustria stimano che il 2024 in Italia chiuda con un fatturato di oltre 16,6 miliardi (+9,8% sul 2023).

La formazione nel settore ha un ruolo determinante. Ne parliamo con Mauro Ferraresi, professore di Sociologia dei consumi e della comunicazione all’Università Iulm e direttore del master Management e comunicazione del beauty e del wellness, iniziativa a numero chiuso (35 alunni con colloquio in ingresso) che fra i docenti vede anche imprenditori e grandi esperti del settore.

Professore, perché in Italia anche in tempi di calo dei consumi i prodotti e i servizi legati alla cura della persona sembrano non conoscere crisi?

Questo aspetto è emerso in modo particolare in quel momento, tragico per il mondo, dato dalla pandemia. Dopo i primi mesi del 2020 l’acquisto di cosmesi online era uno dei consumi che aveva visto una positiva controtendenza, perché c’era bisogno di qualche aiuto in più per lenire la solitudine di quel periodo. Sta nei comportamenti umani, dagli antichi egizi in poi: quando ci sono situazioni di sofferenza la cosmesi dà un piccolo aiuto anche psicologico, aiuta ad affermare la cura del sé. Cura che, quando viene a mancare, mostra che ci si è arresi alle circostanze avverse.

Cosa include l’economia del benessere, al netto dei servizi sanitari?

L’economia del benessere va dalle Spa (salus per aquam), migrate dall’essere nel secolo scorso centri di salute agli attuali centri di benessere. Ciò significa che si è ritenuto più importante, ovviamente anche dal punto di vista del business, lavorare sugli aspetti psicologici che non su determinati aspetti fisici. L’economia del benessere inoltre non può non tener conto della bellezza passiva, quella che si costruisce attraverso la cosmesi, mentre la salus per aquam e lo sport producono bellezza attivamente. Ma anche la bellezza passiva, la costruzione di un’immagine di sé che sia piacente e piacevole, è un aiuto non solo esteriore ma anche per la mente, è una parte dello stare bene con sé stessi, etimologia del termine benessere.

Come valuta lo standard formativo italiano del settore, università incluse?

È uno standard cresciuto moltissimo in Italia negli ultimi anni grazie al traino dell’industria. Non dobbiamo dimenticare che sebbene le grandi marche della cosmesi possono anche non essere italiane (mi riferisco ai grandi Gruppi francesi del settore), dal punto di vita produttivo l’Italia è un’eccellenza indiscussa. In senso produttivo noi forniamo il mondo intero, la nostra unica vera concorrente potrebbe essere oggi la Corea del Sud, ma l’Italia, per cultura, tradizione, capacità artigianale, scelta e cura dei materiali ha una eccellenza produttiva che tutto il mondo del business ci riconosce, è un B2B, non un B2C, quindi non è detto che il consumatore finale sappia che il prodotto che sta utilizzando sia di origine italiana. Ma la nostra industria è florida e su questo è nata la necessità, trainata dall’industria, di creare delle competenze che potessero portare i giovani e le giovani sul mondo del lavoro già formati.

Come deve essere organizzata una buona formazione?

Un buon impianto formativo deve essere strutturato in tre step: primo, parlare con tutti gli stakeholders per vedere com’è il mercato nelle sue caratteristiche e necessità; secondo, costruire a partire da questo bagaglio di informazioni un impianto formativo che sia in sintonia con quanto appreso; il terzo step è quello della manutenzione: il settore della cosmesi e del benessere è piuttosto rapido, significa che serve una manutenzione tale per cui anno dopo anno le offerte formative devono essere in grado di dismettere certi insegnamenti e accenderne di nuovi, togliere alcune realtà formative e aggiungerne altre, per permettere ai giovani di essere un passo avanti nell’ingresso al lavoro.

E ciò fa bene a loro e alle aziende che li assumono.

A che punto siamo in Italia sull’attuazione dei tre step?

Parlando per la mia esperienza in relazione al master Beauty and wellness della Iulm, abbiamo utilizzato tutti e tre gli step descritti e credo che chiunque voglia mettere in campo un’offerta formativa degna di tale nome debba farlo. In Italia ci sono tre tipi di offerte formative: quelle strutturate, determinate dall’impianto scolastico e universitario; quelle di istituti privati; infine, ci sono le scuole interne date dalle grandi aziende e da iniziative delle associazioni di settore. Le offerte formative aziendali sono molto specifiche, permettono scivoli diretti nel mondo del lavoro e hanno un impianto molto pratico. Per quanto riguarda le offerte universitarie, queste vanno fatte con l’approvazione del Miur. L’offerta formativa universitaria unisce (e lo dico con cognizione di causa) aspetti pratici e teorici. L’idea di base sta nel fatto che le provenienze degli studenti possono essere le più disparate, ma occorre una competenza di base in termini di conoscenza di cultura di base, di economia, dell’impresa, di marketing, di comunicazione: quindi portiamo tutti i ragazzi alla pari. Acquisite tali conoscenze si può passare alle fasi più pratiche e questa è esattamente la struttura del nostro master.

Come vede gli istituti privati?

Sono quelli da un lato più libero e dall’altro più selvaggi, meno coordinati da un ente superiore. Sono spinti da certe esigenze del mercato e ritengo che dal punto di vista dell’offerta formativa e della scelta dei docenti forse il livello non sia all’altezza del livello universitario. Gli istituti privati derivano dalle idee (a volte anche buone e in qualche caso anche geniali) dell’imprenditore che impronta di sé molto di tutto l’impianto formativo. Ciò significa che non c’è stato un controllo migliore su come vanno erogate le unità formative.

Com’è strutturato il master Iulm?

Il nostro master è vivo da una decina di anni, strutturato con sei mesi di aula per cinque giorni la settimana e otto ore al giorno, più uno stage fino a sei mesi nelle aziende. La Iulm ha un panorama di aziende piccole, medie e grandi che svolgono essenzialmente tre tipi di lavoro con noi: o vengono in aula a fare testimonianza raccontando la loro realtà e dialogando con gli studenti, facendosi così conoscere; o accettano persone in stage; terzo, più spesso gli imprenditori non solo vengono in aula e danno una testimonianza, ma producono un brief di lavoro vero e proprio, con risultati che nell’arco di due settimane vengono valutati dalle imprese. I gruppi che hanno lavorato meglio vengono ricompensati, non in denaro ma con formule valutate dalle imprese.

Ciò è un aiuto per l’azienda, per gli studenti e soprattutto è una ventata di idee nuove e fresche che all’azienda non può fare che bene. Non è un master che fa rimanere i ragazzi sei mesi in aula: i ragazzi fanno visite in aziende, vanno alla Wellness Valley in Romagna o a visitare centri di produzione di cosmesi. E poi c’è uno study tour importante: ogni anno si vanno a studiare a Londra o a Parigi le nuove forme di retail, o a Grasse, capitale delle essenze, e i ragazzi apprendono lavorando in concreto e mettendo a confronto realtà italiane con quelle estere.

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