Boom di annunci in smart working. Raggiunta una quota record: 13%

Confine Per i lavoratori frontalieri resta in vigore la soglia massima del 25% dell’orario

È boom di annunci di lavoro in modalità home office in Svizzera. Quella che durante i mesi bui della pandemia era diventata una necessità - poi divenuta oggetto di una norma tra Stati (è il caso dell’Italia, ma anche della Francia) - sembra entrata a pieno titolo tra le buone prassi della vicina Confederazione in termini di domanda e offerta di posti di lavoro. Nel dettaglio, al 31 marzo scorso, il 13,9% degli annunci di lavoro veniva proposto in modalità di telelavoro. Una percentuale mai registrata prima sul territorio federale. All’inizio del 2025 questa quota era pari al 12,8%.

In questo contesto la Svizzera è in buona posizione e si colloca davanti alla Francia (12,3%) ed Italia (10,5%), ma alle spalle della Germania, Paese in cui il telelavoro ha superato il 15,2% degli annunci riferiti al mondo del lavoro. Italia e Svizzera hanno regolamentato l’home office attraverso la quota del 25% - vale a dire un giorno alla settimana in telelavoro - contro il 40%, cioè due giorni alla settimana, deciso da Svizzera e Francia. Introdotto con i crismi dell’urgenza nella primavera 2020, il telelavoro ha saputo quindi farsi largo nel panorama delle offerte legate ai vari comparti produttivi, nonostante soprattutto negli ultimi mesi molte aziende avevano preferito richiamare nelle rispettive sedi molti dei lavoratori abilitati all’home office. La piattaforma Indeed, che ha curato questo studio, ha parlato di un nuovo record dal 2019, anno in cui sono cominciate le rilevazioni.

«Il telelavoro non è quindi un fenomeno passeggero, ma è diventato parte integrante del mercato dell’impiego - si legge nella nota a corredo del report -. Fermo restando che non tutti i settori si prestano all’home office. Il pensiero ad esempio va al settore delle cure (4%) e così alla vendita al dettaglio o ai lavori manuali (circa il 6%)». Come anticipato, Svizzera e Italia per colmare un vuoto legislativo che avrebbe potuto creare grattacapi sotto vari aspetti in primis ai nostri frontalieri hanno definito per il telelavoro una quota pari al 25%. «Ovviamente questa quota del 25% continua a rappresentare il riferimento diretto per il telelavoro dei frontalieri - rimarca Matteo Mandressi, responsabile frontalieri della Cgil di Como - è chiaro che se il riferimento principe del report è il 2019, dopo il Covid l’esplosione del telelavoro c’è stata ed in maniera marcata. Noi riteniamo comunque che il limite del 25% sia troppo basso e non tiene conto delle evoluzioni del mercato del lavoro. Alcune aziende infatti non concedono in alcun modo il telelavoro in quanto temono possa costituire postazione fissa in Italia e divenire oggetto di tassazione nel nostro Paese».

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