Cala la dispersione scolastica, ma rimane un fattore di rischio

L’intervista Per il professor Pierpaolo Triani, nonostante il dato sia sceso di -10,5% nel 2023, resta un fallimento di sistema: «Il 13-15% dei giovani non arriva al titolo di studio. Didattica tutta da ripensare»

Secondo i dati Istat, nel nostro Paese nel 2023 la percentuale di giovani , tra i 18 e i 24 anni d’età, che hanno abbandonato precocemente gli studi è del 10,5%, in calo rispetto alla stima del 2022, rispetto al benchmark europeo che il Quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione per il 2030 è fissato al 9%. L’abbandono precoce degli studi caratterizza più i ragazzi (13,1%) delle ragazze (7,6%) in quello che viene definito «un fattore di rischio per la realizzazione personale» da Pierpaolo Triani, professore ordinario di Pedagogia in Università Cattolica e specialista, fra l’altro, dei rapporti tra sistema scolastico e sistema sociale.

Triani fa parte del gruppo di lavoro promosso dall’Istituto Giuseppe Toniolo che realizza il Rapporto Giovani sulla condizione giovanile in Italia, studio di riferimento per il settore, dato che l’edizione 2023 ha coinvolto 2mila giovani fra i 18 e i 34 anni, residenti in Italia, che hanno risposto a quasi 2mila domande. Triani è anche direttore, dal 2018, del centro studi per l’educazione alla legalità nella sede bresciana dell’ateneo.

Professore, qual è l’andamento del fenomeno dell’abbandono negli ultimi anni?

L’abbandono scolastico è un fenomeno determinato da molti fattori, un fenomeno che noi tecnicamente riferiamo a quegli studenti che non hanno raggiunto almeno un diploma di formazione professionale triennale, i cosiddetti early school leavers, ragazzi che lasciano precocemente la scuola. Per fortuna, dal 2000 a oggi, i dati vedono una certa diminuzione del fenomeno, grazie all’aumento dell’età di obbligo scolastico introdotto nel 2006.

Tuttavia, nel nostro Paese l’abbandono scolastico rimane un fattore preoccupante, con una media nazionale che nei dati Istat negli ultimi anni oscilla fra il 13 e il 15% di giovani che non raggiungono il titolo di studio.

Che tipo di dispersione scolastica è?

È la cosiddetta dispersione esplicita, ma dobbiamo considerare la dispersione implicita, termine che gli studi Invalsi negli ultimi anni emerge sotto forma di percentuale di studenti che, pur raggiungendo il titolo di formazione professionale o di maturità, di fatto non acquisisce le competenze minime in italiano e in matematica e che, perciò, non ha le competenze sufficienti per affrontare la realtà del lavoro.

Quanto pesa la dispersione implicita?

I dati dell’ultimo Rapporto Invalsi ci dicono che se nel 2021 il fenomeno della dispersione implicita si era attestato al 9,8%, crescendo di due punti percentuali e mezzo a livello nazionale rispetto al 2019 (7,5%), nel 2022 arretra leggermente, al 9,7%, in una flessione che appare distribuita su tutto il territorio nazionale.

Quali sono i principali fattori che portano ad abbandonare gli studi di istruzione terziaria?

Solitamente si arriva all’abbandono in un processo dispersivo nel quale incidono diversi fattori. I più rilevanti sono quelli socio economici: le famiglie con maggiori difficoltà sociali od economiche, e spesso con entrambe, sono quelle che per varie ragioni riescono meno a sostenere i loro ragazzi nell’impegno scolastico.

Ci sono inoltre, ma in quota minore, fattori direttamente riconducibili agli studenti, fattori che riguardano quindi difficoltà personali o motivazionali, per i quali anche il supporto della famiglia comunque risulta insufficiente.

La scuola non riesce a mediare adeguatamente in tali situazioni?

Chiarito che le cause principali dell’abbandono scolastico sono strettamente legate alle risorse della persona e al sostegno delle famiglie, dall’altro lato la scuola non riesce a compensare le difficoltà del contesto di appartenenza dei ragazzi. Stabilito che ovviamente ci possono essere differenza lda scuola a scuola, in genere l’attuale impegno delle istituzioni scolastiche nel contrasto alla dispersione scolastica è elevato, ma non basta perché ciò che manca è la possibilità di esercitare una flessibilità per mettere in atto interventi piuttosto decisi, una flessibilità che la scuola non ha.

Non è dunque nemmeno possibile intervenire in via preventiva?

Numerosi studi ci dicono che soprattutto le situazioni più gravi, che si colgono precocemente, richiederebbero interventi personalizzati molto forti, che però comportano, di nuovo, una flessibilità nelle strutture organizzative scolastiche che, soprattutto nelle scuole secondarie, non è sempre facile avere.

È dunque un problema di risorse, perlopiù economiche?

C’è anche un problema di risorse, ma non è tutto e non è il fattore più importante: c’è anche un problema relativo al modo di intendere l’organizzazione della scuola e delle strutture curriculari: in buona sostanza, bisogna ripensare l’impianto scolastico.

In che modo?

Ad esempio, se i ragazzi delle scuole secondarie di secondo grado dispongono di interventi personalizzati ma che faticano ad essere riconosciuti nei curricula come percorsi che hanno attinenza con ciò che la scuola di appartenenza realizza, è difficile che si ottengano risultati.

È proprio un problema di impianto organizzativo, di inserimento delle azioni nel contesto generale della scuola. Perciò bisognerebbe fare in modo che la scuola abbia maggiori possibilità di lavorare in termini di flessibilità ripensando, ad esempio, alla possibilità di compresenza di diversi tipi di docenti su percorsi specifici personalizzati e immaginando anche (soprattutto nella scuola media di primo grado) un approccio più laboratoriale e meno concettuale dell’insegnamento.

Abbandonata la scuola che succede ai ragazzi? Si cercano perlopiù un lavoro o vanno ad alimentare le fila dei Neet?

In proposito non abbiamo dati precisi. Non tutti i ragazzi che lasciano gli studi vanno fra i Neet dove, ricordo, ci sono anche parecchi diplomati. Chi smette precocemente di studiare tenta di inserirsi nel mondo del lavoro, a volte anche con successo: è paradossale, e certamente non faccio l’elogio della dispersione scolastica, ma accade che si trovino diplomati liceali fra i Neet e alcuni ragazzi in dispersione scolastica che hanno avuto un qualche successo lavorativo. Ma sottolineo che i dati dicono che la dispersione scolastica è un fattore di rischio della realizzazione personale.

L’abbandono investe anche i giovani maggiorenni che lasciano l’Università, per i quali i dati ci dicono che nel decennio 2011-2022 si è passati da un tasso di abbandono del 6,3% al 7,3%, soprattutto fra gli uomini (7,4%) rispetto alle donne (7,2%). E’ un fenomeno sottovalutato rispetto alla dispersione dei precedenti livelli di istruzione?

Il precoce abbandono degli studi universitari è ancora un problema nel nostro Paese e va opportunamente affrontato. La dispersione universitaria va studiata attentamente, è estremamente seria fra il primo e il secondo anno di università durante i quali si registrano abbandono che oscilla fra il 10% e il 20% e riguarda in pratica chi lascia gli studi subito dopo essersi iscritto. Anche per questo nelle università è in atto un potenziamento sia dell’attività di orientamento in ingresso sia delle attività di accompagnamento.

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