Da qui al 2028 il mondo del lavoro
avrà fame di giovani tecnici e laureati

Capitale umano Il rapporto previsionale di Unioncamere indica gli indirizzi più gettonati. Pais (professore alla Cattolica e consigliera Cnel): «Ma la chiave di volta è nella formazione continua»

Ultimi scampoli di vacanze per gli studenti, perché a giorni si tornerà a scuola. Una ripartenza sulla quale è sempre più forte l’attenzione delle aziende: dalle aule usciranno i futuri lavoratori. Nelle classi dove suonerà la campanella si formerà quel capitale umano di cui le imprese hanno un bisogno disperato. Diventa quindi fondamentale capire quale è il percorso di formazione che, nel prossimo quinquennio 2024-2028, avrà più possibilità di accedere al mondo del lavoro. L’attuale scenario economico italiano, infatti, sta soffrendo tremendamente il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, si tratta di uno dei problemi più urgenti per il futuro del Paese. Secondo il report «Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine (2024-2028)», realizzato dal Sistema informativo Excelsior di Unioncamere, tale squilibrio ha generato nel 2023 una perdita economica di quasi 44 miliardi di euro.

Un cambiamento di tendenza

Accanto a un fattore così negativo, dai dati del capitolo della ricerca dedicato ai fabbisogni per indirizzi di studio e il confronto con l’offerta in uscita dal sistema formativo nel periodo 2024-2028, emerge però anche un cambiamento di tendenza che farebbe ben sperare: ci sarà un aumento della richiesta di laureati da parte delle imprese. Le stime indicano che circa il 38% del fabbisogno occupazionale previsto (in termini assoluti intorno a 1,2-1,3 milioni di lavoratori) riguarderà personale in possesso di una formazione terziaria, ossia una laurea o un diploma Its Academy o un titolo dell’Alta formazione artistica, musicale e coreutica (Afam). Solo al 4% dei profili (120-145mila unità) sarà richiesto un diploma liceale e al 46% (1,4-1,7 milioni di unità) una formazione secondaria superiore tecnico-professionale, che comprende sia i percorsi quinquennali sia i percorsi di Istruzione e formazione tecnica professionale (IeFP) triennali o quadriennali regionali. Esaminando, invece, la distribuzione dello stock occupazionale dai dati Istat di Forze Lavoro, risulta che nel 2022 i lavoratori in possesso almeno di una laurea rappresentano solo il 24% degli occupati.

Tuttavia, resta aperta la questione su come colmare il mismatch, considerando che quello lavorativo è un mercato in rapida evoluzione, in cui anche le strategie risolutive potrebbero rivelarsi inefficaci sul lungo periodo. Ivana Pais, docente di Sociologia economica all’Università Cattolica di Milano da più di 20 anni e Consigliera del Cnel, ha analizzato la questione e messo in discussione le soluzioni più tradizionali. Secondo la docente il problema non può essere risolto con un approccio funzionalista, che si limita ad adeguare il sistema formativo alle esigenze del mercato lavorativo: «Questa è un’operazione inefficace per un fatto demografico, ovvero abbiamo sempre meno giovani e quindi meno lavoratori, e per un fatto evolutivo, perché viviamo così tanto che è impossibile pensare a una formazione di base che resti valida per tutta la carriera lavorativa». Di contro, Pais ritiene che il problema potrebbe essere arginato attuando politiche a supporto delle scelte di genitorialità, anche se resta comunque innegabile il fatto che il sistema formativo sia chiamato a dare risposte puntuali a questo dilagante problema; ma la soluzione non sta nell’idea che la formazione di base debba inseguire il mondo del lavoro, semmai precederlo.

I fondi per la formazione ci sono

«Vedo una risposta nella formazione continua, non in quella di base; quest’ultima è utile per acquisire basi solide su cui poi costruire le competenze necessarie a restare nel mondo lavorativo nel modo più adeguato possibile». Sorge spontaneo domandarsi se i mancati investimenti sulla formazione continua risiedano in una questione economica: «I problemi italiani nascono raramente da mancanza di finanziamenti, sono piuttosto legati alla gestione delle politiche». Difatti, in Italia esiste un sistema di fondi interprofessionali per la formazione continua, basati su un prelievo dello 0,30% dello stipendio del lavoratore volto a finanziare fondi settoriali e bilaterali e che, se non usato in supporto della formazione continua, verrebbe destinato ad altri sussidi. L’elemento problematico non è, dunque, quello economico, ma si tratterebbe di comprendere che dalla formazione continua passa lo sviluppo economico e sociale di un Paese. Inoltre, dal report di Unioncamere emerge anche la difficoltà a reperire la manodopera in settori meno attrattivi, come quello dell’edilizia. «Bisogna prestare attenzione alla retorica del giovane fannullone. Spesso il vero problema sono le condizioni di lavoro». Se da un lato Pais sostiene che il sistema formativo non dovrebbe adeguarsi alle richieste di lavoro, dall’altro ne riconosce una mancanza su cui da tempo si cerca di intervenire, invano: «In Italia manca un sistema di formazione professionale di tipo terziario. Dopo le superiori i ragazzi non hanno la possibilità di iniziare un percorso tecnico professionale, utile anche per favorire l’acquisizione di competenze in settori dove scarseggia il personale. Gli Its sono un tentativo ma a oggi non sufficienti».

Euforia occupazionale

Questa carenza di manodopera, come evidenzia il report, ha generato nel 2023 un costo pari a quasi 44 miliardi di euro e se non si riuscisse a colmare questo gap le conseguenze andrebbero ben oltre la mera questione economica: «Il rischio è che la presenza di lavoratori con basso livello d’istruzione vada a limitare l’innovazione aziendale. Infatti, dopo il Covid, si è registrato un aumento del tasso di occupazione. Si tratta di un segnale positivo ma, come ha evidenziato la Banca d’Italia, non dobbiamo dimenticare che questo dato è legato al basso costo del lavoro e può andare a scapito degli investimenti in innovazione» conclude Pais. Nonostante le problematiche messe in luce, il report evidenzia anche un dato particolarmente positivo: l’aumento della richiesta da parte delle aziende di laureati, che potrebbe spronare i giovani a fare un investimento formativo in vista di un riscontro in termini di inserimento lavorativo. Purtroppo, capita sempre più di frequente che i laureati trovino lavori a cui avrebbero avuto accesso anche solo con il diploma, il che disincentiva molto la scelta di laurearsi. Per affrontare efficacemente il mismatch tra domanda e offerta, sarà dunque cruciale valorizzare la formazione continua con un intervento mirato, per garantire un futuro solido al mercato del lavoro italiano.

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