Il rapporto Draghi indica la priorità: ricostruire l’istruzione tecnica

L’analisi La carenza dei tecnici minaccia la competitività. Valerio Ricciardelli, manager: «Occorre costruire un sistema di istruzione di eccellenza allineati a quelli dei Paesi con cui dobbiamo confrontarci»

La pubblicazione del tanto atteso rapporto Draghi, almeno per chi è interessato ad occuparsi delle sorti del nostro futuro, ha rimesso al centro dell’attenzione l’importanza dell’Europa e della sua dell’economia industriale per affrontare le complesse sfide competitive nei confronti degli Stati Uniti e della Cina.

Ne avevamo già fatto cenno negli articoli precedenti, evidenziando la perdita di competitività del continente europeo nei suoi asset fondamentali, a partire dall’industria strategica. Questo si riflette sul nostro Paese, dove molte aziende, come abbiamo scritto più volte, appartengono alla supply chain di aziende tedesche che per diversi fattori strutturali, oggi sono in serio affanno.

La produzione industriale

Il calo della nostra produzione industriale, per il 18° mese consecutivo, è sintomo di un fenomeno non congiunturale, così come le varie crisi industriali che ci sono sul tavolo, ad iniziare dal settore automotive, osservando che la nostra posizione di seconda manifattura in Europa, dopo la Germania anch’essa in crisi e da cui dipendiamo in varie modalità, è a rischio, con ripercussioni sulla crescita economica delle nostre imprese e sul mantenimento del nostro welfare.

Sull’argomento ne abbiamo recentemente discusso in un convegno a Milano, all’Ambrosianeum, e il tema è stato ripreso dalle riviste di settore che si occupano di strategie di management e di cultura d’impresa.

L’occasione delle discussioni trae origine anche dal volume che ho pubblicato recentemente: “Ricostruire l’istruzione tecnica-Ultima chiamata per rimanere la seconda manifattura in Europa, salvare la nostra economia e preservare il nostro welfare”. Alcuni di questi contenuti sono già stati oggetto di precedenti articoli. Se nella recensione del testo, l’esperto prof. Niceforo di Tuttoscuola evidenziava gli “accenti drammatici e di estrema preoccupazione che caratterizzano il volume”, ora va osservato che quella preoccupazione trova pieno fondamento anche nel rapporto Draghi, che ci pone davanti ad importanti sfide con poche alternative di scelta.

Ma, per i non addetti ai lavori, cos’è il rapporto Draghi? Occorre dedicarci qualche riga. La competitività dell’Europa, che significa la capacità di far crescere l’economia dei 27 stati membri e mantenere alto il welfare dei cittadini, nello scenario mondiale dove per ora il confronto è con gli Stati Uniti e con la Cina, è decisamente in calo.

Le aziende europee, soprattutto nei settori strategici, stanno perdendo terreno nei confronti di quelle dei colossi citati, che significa in ultima analisi perdere mercato e quindi un calo dell’economia, con a seguito tutte le ripercussioni sul nostro benessere. Il settore più a rischio è quello industriale, perché l’Europa ha bisogno di una industria forte e di conseguenza anche l’Italia che è la seconda manifattura dopo la Germania. Di fronte a questa crisi di competitività, occorre reagire e la presidente Ursola von der Leyen ha incaricato Mario Draghi, perché è una delle persone più competenti per occuparsi di queste cose, a predisporre un piano per l’Ue che indichi le possibili vie di intervento, in modo che tutti i paesi europei possano prendere contezza della situazione in cui ci troviamo e conseguentemente assumere le decisioni di loro competenza.

Il documento

Il rapporto Draghi, sul piano del metodo è un perfetto strategic plan. È un documento che ci obbliga a guardare avanti, ben oltre gli orizzonti verso i quali siamo soliti guardare, dove ipotizza i possibili scenari in una situazione di grande indeterminatezza e individua le visioni necessarie per il rafforzamento del continente europeo, che per molte cose importanti è ancora una semplice “sommatoria scalare” di 27 paesi. Infine, identifica ben 170 misure di intervento che andrebbero attivate anche con urgenza, con la stima degli investimenti necessari per provvedervi, che sono ben 800 miliardi di euro all’anno. Si direbbe una cosa impressionante, ma sembrerebbe l’unica via di uscita di una sfida all’apparenza quasi impossibile, per dare un futuro all’Europa, ricollocandola con il rafforzamento dei suoi fattori competitivi vicini ai colossi mondiali che in alternativa avrebbero vita facile per dettare le regole e le condizioni per tutto il mondo. In mezzo a questa complessità, espressa nelle 400 pagine del rapporto, ci sono però delle cose immediate, e anche ben comprensibili, che sono perfettamente allineate al tema di cui scriviamo da tempo e oggetto del volume richiamato.

La sintesi è presto fatta. L’Europa ha bisogno dell’industria così come l’Italia. Per avere una industria competitiva servono i tecnici giusti, ovvero le professioni tecniche che invece mancano, e che sono coloro che devono essere capaci di innovare le imprese, aumentare i fattori di produttività, diminuire, almeno nel caso dell’Italia, il costo del lavoro unitario per unità di prodotto, aumentare la competitività delle nostre aziende esportatrici nei territori ad alta crescita demografica. Ma i tecnici di cui avremmo bisogno non ci sono, né in quantità e nemmeno in “qualità”. In Italia il mismatch è drammatico e lo abbiamo scritto tante volte, e la mancanza di competenze e di personale tecnico è una emergenza anche degli altri paesi, ad iniziare dalla Germania, così come ho scritto nel mio saggio.

Per disporre dei tecnici necessari, assieme a una chiara visione di politica industriale, è urgente ricostruire nel nostro Paese, in quantità e qualità, l’istruzione tecnica di un lontano passato, oggi ridotta nell’immaginario collettivo ad un percorso scolastico di serie B. Anche di questo ne abbiamo ripetutamente scritto.

Le industrial skills

Draghi, nel suo rapporto mette bene in evidenza l’urgenza di colmare in fretta la mancanza delle industrial skills nei diversi settori strategici industriali dell’Europa. Ma ciò che emerge dal rapporto è anche la necessità di un allineamento e di una standardizzazione e certificazione delle competenze, con livelli qualitativi elevati, dei sistemi di istruzione e di formazione di tutti i paesi. Esattamente quanto sto sostenendo da tempo per il nostro Paese: costruire un sistema di istruzione tecnica di eccellenza da allineare ai sistemi eccellenti dei paesi con cui dobbiamo competere.

E la necessità di un allineamento comune dei sistemi di istruzione e di formazione nasce dalla standardizzazione dei profili professionali, rispetto ai modelli organizzativi e agli standard prestazionali ormai riconosciuti de facto e in corso di certificazione in tutto il mondo.

Da ciò deriva una visione unitaria dell’istruzione e della formazione tecnica coerente con l’economia e il mercato del lavoro di un mondo globalizzato, non certo provincializzata e sottoposta all’autonomia differenziata e nemmeno sottoposta a interventi di riforme scolastiche in diminutio.

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