Giovani e posto di lavoro: chiedono fiducia e valori

La ricerca I ragazzi sono sempre di meno e molti vanno a stare all’estero: «Sbaglia chi li accusa di individualismo: cercano autenticità e coerenza»

«La popolazione giovanile si è fortemente ridotta; demograficamente abbiamo perso un giovane ogni cinque, circa 3milioni nella fascia 18-34 anni». Questa la premessa con cui Alessandro Rosina, coordinatore scientifico dell’osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo e docente di Demografia e Statistica Sociale all’Università Cattolica del Sacro Cuore ha presentato il Rapporto Giovani 2024.

E che i giovani siano una risorsa scarsa è stato confermato anche da Elena Marta, direttrice del Centro di ricerca dell’Università Cattolica e docente di Psicologia Sociale e di Psicologia di Comunità durante la Convention ITS10 organizzata da Fondazione ITS Lombardia Meccatronica per i 10 anni dalla nascita.

Il trend

«Avremo sempre meno giovani e molti di questi pur con livelli e percorsi di formazione diversi lasceranno l’Italia, paese che purtroppo non attrae neppure altri giovani europei - ha avvertito la docente - come adulti e come imprenditori è quindi necessario chiedersi con urgenza come coltivare, mantenere, sostenere e supportare questa risorsa».

Di aiuto possono essere i dati emersi nella ricerca dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo e nell’’indagine commissionata dall’Unione cristiana imprenditori dirigenti - Ucid Milano - realizzata dal Centro di ricerca sullo sviluppo di comunità e la convivenza organizzativa - Cerisvico - della Cattolica.

«Serve partire da una lettura equilibrata che prescinda dalle narrazioni eccessivamente buoniste o eccessivamente colpevoliste. Non si può cedere a tutte le richieste che ci arrivano, ma neppure si deve mortificare una generazione che sta crescendo con le risorse che ha a disposizione e in un contesto complesso quale quello attuale. Come vivono i giovani dipende anche dai rapporti che hanno con gli adulti - ha sottolineato Elena Marta ricordando che tutte le generazioni si sono sempre comportate come il momento storico consentiva loro - in questa generazione ci sono tante cose che non vanno così come succedeva quando eravamo noi al loro posto, ma che cosa ci dicono? Di che cosa sono portatrici? Se ci mettiamo in ascolto insieme, che cosa possiamo imparare?»

Comprendere quale sia per loro il senso del lavoro è prioritario quando si è alla ricerca di strategie efficaci per attrarre figure con alta professionalità. «Al di là di alcune situazioni che possiamo definire come mancanza di interesse per il lavoro - ha continuato - se andiamo a fondo vediamo che i giovani si interrogano su quale sia il giusto equilibrio fra vita e lavoro e allo stesso si chiedono quanto il lavoro possa diventare davvero autorealizzativo di quello che sono. A differenza di quanto ci dicono alcune narrazioni, i giovani non sono individualisti; al contrario hanno un grossissimo bisogno di appartenenza e il senso del lavoro per loro diventa il bisogno di appartenenza ad un contesto. Quello che cercano è una comunità che abbia dei valori, in cui ci sia autenticità e coerenza e se in qualche modo vedono la possibilità di esprimersi sono disposti ad assumersi la propria responsabilità e dare il proprio contributo».

I pregiudizi

Troppo spesso rappresentati dal mondo adulto attraverso pregiudizi e preconcetti, il ritratto degli studenti lombardi tratteggiato dai ricercatori di Cerisvico ce li rivela come determinati, motivati, portatori di positività e capaci di mettersi alla prova pur di raggiungere l’autonomia, personale ed economica. Insieme al desiderio di investire sulla propria realizzazione, si avverte però anche un profondo senso di incertezza e spaesamento.

«Dalla ricerca che abbiamo appena concluso - è ancora Elena Marta - è emerso come noi adulti li consideriamo inadeguati; i traguardi che hanno raggiunto non sono abbastanza; hanno frequentato una scuola, poi un percorso superiore, hanno acquisito delle competenze, ma anche questo non basta. A questo la domanda che i giovani ci pongono è: “Perché devo sentirmi sempre inadeguato? Esiste una soglia oltre la quale sarò adeguato?”»

Vogliono essere riconosciuti per ciò di cui sono portatori, per i loro talenti e per le loro fatiche. Non chiedono sconti, ma vogliono un incontro autentico e reale con la generazione adulta; vogliono relazioni con adulti significativi che sappiano sostenerli, ma non si sostituiscano; che stiano al loro fianco lasciandoli sperimentare e provare, aiutandoli ad assumersi il rischio.

«Quando lavorano cercano qualcuno che dica loro “bene, stai facendo bene” o “no, hai sbagliato, stai facendo male” e la questione non è “stai facendo bene o male”; quello che vogliono sapere è: “quando sbaglio, come mi posso rialzare?”»

Incontrando il mondo del lavoro a scuola non si accontentano di ascoltare i successi delle grandi aziende successo, ma sono più interessati a ricevere risposte a domande come: “quando è andata male cosa è successo? come ha affrontato il problema? «Abbiamo abituato le giovani generazioni a pensare che non esistano limiti; tutto è possibile e l’errore è qualcosa di sbagliato di per sé. Non li abbiamo allenati a pensare che dall’errore si può imparare, che dall’errore ci si può risollevare. Quello che loro ora ci dicono , sentendosi fragili, è: “So che potrò sbagliare, ma cosa faccio per crescere una volta che ho sbagliato?”»

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