Giovani e imprese: il valore dello stage
per avvicinare la scuola al lavoro

L’esperto Incertezza sul futuro e scarsa conoscenza del mondo produttivo prevalgono nella “Gen Z”. Importante è ottimizzare le opportunità esistenti

L’Italia è un paese per giovani? Ho letto con attenzione l’intervista al prof. Rosina di due settimane fa che mi ha spinto a riflettere sul rapporto tra i giovani e a proporre alcune osservazioni sulla base dell’impegno e dell’esperienza di volontariato nella scuola a partire dal 1978, nel Gruppo Scuola dell’Unione Industriali di Lecco.

L’incontro con gli studenti

Come volontari entriamo nelle scuole del territorio con l’approccio metodologico e un pacchetto di contenuti ben strutturato e collaudato nel tempo dalle organizzazioni che da oltre 20 anni fanno riferimento a Federmanager Lecco e a Fondazione Sodalitas.

Perciò la proposta, interattiva e coinvolgente, presenta un livello di omogeneità ed efficacia tale da evitare improvvisazioni e quindi danni maggiori di quelli che sono provocati dall’assenza di proposte.

Quando mi capita di essere il tutor di una classe, nei primi minuti dell’incontro e dopo le reciproche presentazioni, pongo ai ragazzi tre domande: 1) chi conosce quale lavoro fanno i propri genitori; 2) se i genitori ne parlano con loro; 3) se hanno mai visto un luogo di lavoro.

Le risposte affermative sono drammaticamente pochissime e ciò mi esime dal porre la quarta, che verrà posta nei giorni successivi della nostra sessione: cosa vi piacerebbe fare da grandi? Questo è lo stato dell’arte nelle classi degli ultimi due anni delle scuole tecniche. Nei licei, la quarta domanda – inevasa - è più comprensibile, considerata la distanza dal termine degli studi.

È invece sorprendente come l’incertezza sul proprio futuro sia notevole anche alla fine di una laurea magistrale oppure dopo un master post-laurea: negli ultimi 15 anni ho girovagato l’Italia promuovendo il settore della cosmetica nelle facoltà di chimica, CTF, farmacia, scienze e nei master specializzati e ho trovato le stesse incertezze dimostrate dai più giovani. Insomma, si arriva ala fine degli studi come i navigatori di un tempo arrivavano alle colonne d’Ercole, si chiedono: cosa ci sarà aldilà del conosciuto?

Govani e imprese, e chi altri?

La relazione tra giovani e lavoro è complessa e articolata, si intreccia in misura significativa e profonda con la famiglia e con il processo della loro formazione (scuola e università): può essere utile considerarle una per volta.

I giovani non hanno un’idea di lavoro perché nessuno glielo racconta: i genitori, pensando forse di compiere un gesto educativo spesso non parlano con i propri figli del loro lavoro, talvolta perché non sono soddisfatti di ciò che fanno, talvolta lo fanno con intento protettivo, e lasciano questo tema fuori dalla porta come se volessero evitare di caricare la famiglia di altri problemi. Si può dire che l’unico lavoro che i giovani conoscono bene è quello dell’insegnante e, salvo eccezioni, non lo percepiscono in modo positivo perché squilibrato, a senso unico: paradossalmente trasmette la stessa insicurezza della famiglia, concentrandosi più sulla didattica e molto meno sulla relazione tra le persone. La famiglia in questi anni si è trasformata e ha dovuto affrontare nuove sfide educative alle quali forse non era preparata e ha risposto come ha potuto. Sul lavoro ha spesso passato ai figli stereotipi demotivanti, poco incoraggiamento e poca disponibilità al rischio. La conseguenza è stata una vita vissuta con una visione del quotidiano e orientata alla prudenza: i giovani hanno assimilato l’atteggiamento più protettivo delle proprie famiglie, a partire dalla loro relazione con la scuola fatta di difesa individuale e di pressione sociale sui docenti e sul sistema dell’istruzione più in generale.

È vero che la scuola oggi non è, pur con le numerosissime eccezioni che tutti conosciamo, un contesto che faciliti la crescita personale, sociale e delle conoscenze del mondo: essa stessa non conosce molto bene il mondo al suo esterno e gradisce poco l’infiltrazione di altre realtà che cerchino di aiutare gli studenti ad aprire qualche finestra sul mondo del lavoro. Questi ultimi si sono quindi sentiti meno in colpa quando hanno si sono trovati a vivere senza una prospettiva futura e basata sul giorno per giorno, perché sono diventati consapevoli di non essere in conflitto con i loro educatori principali: un problema in meno.

Secondo me ciò è la conseguenza della mancanza di un progetto personale-esistenziale.

I giovani crescono con l’attenzione al presente e non hanno occasioni di allenamento al futuro, né prossimo né remoto: non è colpa loro, è un po’ tutta la società che ha più paura e non ha quindi la capacità di pensare a lungo termine, con un progetto, appunto.

I giovani hanno sempre avuto scarsa conoscenza di sé fino a quando hanno iniziato a confrontarsi con una realtà nuova e sconosciuta: un tempo il servizio militare per i maschi, da sempre il lavoro per tutti.

Solo la conoscenza di sé stessi – infatti - permette di avere la consapevolezza delle proprie capacità e dei propri limiti e, dunque, essere in grado di prendere le decisioni importanti e compiere le scelte necessarie ad orientare la vita verso gli orizzonti prefissati.

L’idea di lavoro è vaga, tuttavia i giovani contemporanei sono molto attenti ai temi etici delle relazioni sociali e quindi più attenti all’equità, al merito, al rispetto e all’autonomia: il problema sta nel fatto che essi coltivano principi e valori che fanno loro onore ma spesso rimangono astratti e forse anche un po’ ingenui nel tentativo di attuarli.

Quando essi affrontano i colloqui di selezione da parte di qualunque organizzazione si presentano con scarse informazioni sul lavoro, molti pregiudizi negativi e poca conoscenza di sé.

Per questo è difficile entrare in modo efficace in quella particolare relazione rappresentata dal colloquio che pur sempre rappresenta la prima porta d’ingresso nel modo del lavoro e, in un certo senso, dallo stato di giovane a quello di adulto.

Quindi, che fare?

Innanzitutto, rinforzare il legame tra impresa e giovani tramite la scuola. La maggiore conoscenza del mondo del lavoro si ottiene mediante le testimonianze in classe, i PCTO orientati all’economia e al lavoro, qualche occasione di formazione specifica sull’organizzazione e i suoi mestieri. Ormai vi sono numerose esperienze collaudate, disponibili attraverso le associazioni di volontariato e le istituzioni provinciali: con maggior coordinamento e soprattutto pressione sugli organismi partecipativi della scuola, si potrebbero ottenere risultati interessanti. Lo strumento più efficace è senz’altro lo stage.

Esso va preparato bene prima, e valorizzato dopo altrimenti risulta un’occasione persa e irrecuperabile di conoscenza ed esperienza dal vivo, la più formativa seppur nella sua brevità. Negli ultimi anni ha visto la luce il cosiddetto processo di formazione duale, gli ITS, che rappresentano lo sviluppo biennale, organizzato e didatticamente qualificato dello stage.

La maggiore diffusione di questo strumento potrebbe rappresentare un’occasione importante per accorciare la distanza tra scuola e impresa e, inoltre, creare livelli di professionalità che siano davvero immediatamente spendibili e adottabili dalle imprese come elemento di novità e innovazione. Per quanto riguarda la conoscenza di sé e l’acquisizione di quelle soft skill utili per l’elaborazione di un progetto personale, il discorso si fa più complicato e delicato poiché si rivolge direttamente alla persona e quindi lo scopo della proposta potrebbe essere frainteso e potrebbe trovare alcuni ostacoli nella sua realizzazione. In ogni caso, ancora attraverso l’impegno dei volontari nelle scuole, dei presìdi istituzionali di orientamento scolastico e professionale, e della documentazione disponibile online usufruibile direttamente dagli studenti, quale ad esempio il sito https://www.inapp.gov.it/professioni/strumenti-per-l-orientamento/holland/ . Infine, ultimo ma non meno importante, la collaborazione tra i docenti e le famiglie per sensibilizzare i giovani verso la necessità di conoscersi meglio, costruire una scala di valori e affrontare la vita con la necessaria consapevolezza, resa ancora più solida dall’uso degli strumenti metodologici adatti.

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