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Intervista alla professoressa Silvia Mazzucotelli, dell’Università Cattolica sul nuovo progetto “CreAbility”. «Piattaforma di formazione su attività che non tramandano solo tecniche ma anche etica e cooperazione»
Il nostro progetto CreAbility si realizza attraverso una piattaforma aperta di formazione sulle attività artigianali e creative, che non tramandano solo delle tecniche ma anche etica, cultura, valori, fiducia e cooperazione”.
Silvia Mazzucotelli, sociologa dei processi culturali e comunicativi della facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica, ha all’attivo una lunga esperienza di ricerca iniziata occupandosi di artigianato artistico diversi anni fa. Dal 2011 al 2013 ha collaborato con la Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte, con grandi ricerche. Una du queste sui mestieri dell’oreficeria, del legno e delle vetrate artistiche è confluita nel volume “Maestri del fare”, un’indagine sulla domanda dei mestieri d’arte a Milano con cui si cercava di intrecciare le ragioni per cui la domanda e l’offerta non si incontrano.
Con il centro di ricerca ModaCult, del cui Consiglio direttivo Mazzucotelli è parte, e col Centro di ricerca Arti e Mestieri dell’Università Cattolica, la docente ha partecipato a una ricerca sui mestieri d’arte nella moda italiana con l’obiettivo di ricostruire la filiera del tessile e di capire quali professioni tradizionalmente artigianali fossero sopravvissute all’interno del sistema moda italiano, diventato sempre più industriale.
L’anno scorso abbiamo avviato un progetto non di pura ricerca ma di ricerca-azione che si chiama CreAbility, un progetto realizzato col Pnrr con l’obiettivo di creare uno spazio digitale dove offrire attività di formazione, coaching e mentorship a professionisti che lavorano nell’artigianato, nella moda artigianale, nel cosiddetto mondo dell’arte in cui entra anche l’artigianato artistico.
Sì. Il relativo bando ministeriale prevedeva tre linee di azione: moda, artigianato e arte. Noi abbiamo inteso l’artigianato come comune denominatore applicato alla moda, all’artigianato della cultura materiale e all’arte. Stiamo popolando di mese in mese questo spazio con soggetti che troviamo attraverso un’azione di scouting attivando le nostre reti sul territorio italiano con l’obiettivo di mettere all’interno della stessa stanza virtuale persone con interessi comuni e che abbiano necessità di acquisire competenze sulla transizione digitale e sulla transizione per la sostenibilità, due aspetti che non vengono di solito adeguatamente curati per le professioni del lavoro manuale e di settori creativi.
Sono piccole realtà imprenditoriali, a volte unipersonali e a volte micro imprese. Abbiamo poi progetti, associazioni, cooperative, ma abbiamo anche Fondazioni che magari non sono direttamente soggetti creativi bensì realtà che a loro volta offrono servizi rivolti a realtà più o meno creative del loro territorio.
Sono soggetti che lavorano tipicamente nella produzione manuale della moda e dell’artigianato, per interventi artistici negli spazi pubblici, oppure sono Fondazioni che lavorano all’interno del comparto moda e artigianato.
Abbiamo una Fondazione che si occupa di ceramica, una di promozione della poesia, una per la valorizzazione del territorio comunale. Abbiamo delle sartorie, dei grafici, persone che si occupano di tessitura, di gioielli. Una realtà variegata e in costruzione.
Sì. Sarebbe bello arrivare al punto in cui una sartoria sociale o un artigiano che si occupa della lavorazione della pietra ollare si iscrivesse a CreAbility perché al di là del fatto che in un dato momento ci siano o meno percorsi che gli possano essere subito utili comunque partecipando troverebbe persone simili, con attenzione a progetti con attenzione all’artigianalità, alla circolarità. Soggetti che certo lavorano per fare business ma con un’idea di economia un po’ nuova ed etica, basata sulla persona, sulla fiducia, sulla cooperazione.
L’intenzione non è portare nel progetto chiunque: quindi non tutti gli artigiani, non tutte le sartorie, bensì quelli che si identificano con determinati valori, fra cui il prendersi cura di aspetti legati al territorio. L’iscrizione è soggetta ad approvazione. Chiediamo a chi si vuole iscrivere di esporci alcune idee per permetterci di capire il profilo di chi si propone, chiediamo se hanno pagine professionali su qualche social. Accettiamo realtà molto diverse fra loro, accettiamo chi ha già un’attività ma anche chi ha un’idea da trasformare in impresa. Tuttavia nessuno fino ad oggi non è stato approvato, tranne un paio di casi, anche perché chi arriva sulla nostra piattaforma è già chi in qualche modo opera all’interno del panorama che ci interessa.
Oltre agli aspetti economici e produttivi, un tema centrale sta nel fatto che l’attività artigianale e manuale non tramanda solo delle tecniche ma anche un bagaglio culturale fatto di valori, riti, conoscenze: un patrimonio immateriale che nel momento in cui non ci sono più apprendisti tende ovviamente a scomparire. Ciò che non è messo abbastanza in evidenza è il fatto che tale patrimonio nella storia del nostro Paese è immediatamente collegato ai territori e perderlo significa snaturare l’unicità di alcune zone italiane.
Io sono nata a Como, ho studiato in provincia di Sondrio e conosco anche il territorio di Lecco. Il lago di Como è costellato di ex filande, ex cotonifici ed ex tessiture che non sono più attive ma di cui si sta dimenticando anche la presenza. Accade che quello che storicamente è il cuore pulsante di una tradizione scompare, se ne perde il ricordo. La lavorazione del metallo in provincia di Lecco è ancora presente anche nel livello artigianale e lo stesso si potrebbe dire di Sondrio per l’artigianato del legno, della pietra: attività in simbiosi coi territori.
Un tema serio da affrontare è quello formativo: in Italia la formazione per i mestieri d’arte è frammentata e spesso è poco connessa col mondo del lavoro perché le botteghe artigiane hanno risorse per formare apprendisti, ma le scuole non sempre offrono percorsi adeguati. E c’è un altro tema: la formazione per i mestieri d’arte è relegata a quella che viene considerata una scelta di ripiego, di seconda o terza fascia. Ciò diminuisce il prestigio sociale dell’artigiano perché in qualche modo si scoraggiano i giovani più talentuosi dall’intraprendere tali percorsi.
Bisogna valorizzare gli istituti professionali con programmi di eccellenza e partnership. Bisogna promuovere una formazione più duale, come accade in altri Paesi, e soprattutto bisogna cambiare il modo di raccontare un certo tipo di attività. Sono molto convinta del valore di una giusta comunicazione: c’è necessità di lavorare da un lato su nuovi modelli formativi che uniscano saperi tradizionali, competenze digitali, laboratori, attività di mentoring e dall’altro nuove narrazioni che mostrino anche ai giovani che oggi tendono a vedere l’artigianato come settore stabile e poco redditizio che invece è un ambito innovativo. Ma affinché questo sia possibile la formazione deve lavorare su sé stessa per capire che ci sono delle mancanze.
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