Imprese artigiane e giovani: «Si dia più appeal ai mestieri»

L’intervista Stefano Micelli, docente alla Iuav, suggerisce nuove narrative per arginare il calo di addetti: -17,4% dal 2012 al 2023

Non si arresta la fuga delle imprese dall’artigianato, visto che dal 2012 al 2023 in Italia si sono perse 325mila unità (-17,4%). Solo nel 2021 la platea complessiva è aumentata, seppur di poco, rispetto all’anno precedente, arrivando a contare (secondo gli ultimi dati Inps disponibili) poco più di un milione e mezzo di attività nel 2022.

Sono dati a cui contribuiscono anche gli effetti del calo demografico e soprattutto la difficoltà di avvicinare i giovani ai mestieri artigiani. Secondo un’analisi realizzata dalla Cgia di Mestre nei mesi scorsi, oltre al calo di interesse dei giovani che sempre meno si candidano alle professioni artigiane, crescono gli imprenditori di lungo corso del settore che, non avendo maturato i requisiti pensionistici, scelgono di chiudere la partita Iva e concludere l’iter lavorativo da dipendenti per avere meno preoccupazioni e insicurezze.

Le due tendenze si incrociano, perché alla base di tutto c’è la mancanza di ricambio generazionale.

«Ma non chiamiamola emergenza. Un’emergenza rimanda a qualcosa di non previsto, ma ciò che accade è ciò che avevamo previsto da tempo: siamo in un problema strutturale ormai da lunga data. Se parliamo di emergenza non facciamo un servizio, mettendo ciò che accade in un ambito non corretto. Il problema è più profondo», afferma Stefano Micelli, docente di Economia e Gestione delle Imprese all’Università Ca’ Foscari di Venezia, fondatore dello spin off Upskill 4.0 e responsabile scientifico di “ITS 4.0”, progetto avviato nel 2018 dal Miur e sviluppato in collaborazione con il dipartimento di Management di Ca’ Foscari.

Professore, i giovani si allontanano dall’artigianato e le diverse aziende per mancanza di ricambio alla guida e anche fra i lavoratori decidono di chiudere. Perché accade e come arginare il problema?

Il problema è duplice: la classe dirigente da un lato deve chiedersi se sia stato fatto tutto il possibile per arginare il problema o correggerne la traiettoria e dall’altro deve chiedersi se le politiche messe in campo siano state efficaci o meno.

Qual è la sua opinione?

Io ho la sensazione che su questo fronte non si siano promossi un investimento e un impegno sufficienti a limitare il problema. Possiamo parlarne a più livelli. Sul fenomeno demografico si è già detto molto. Per il resto dobbiamo prendere consapevolezza della necessità di coinvolgere i giovani e di rendere appetibili e interessanti i mestieri artigiani. Chiediamoci pure se abbiamo reso interessanti e attrattive queste attività. Dobbiamo rendere accattivante per un giovane entrare nei vari settori dell’artigianato, che sia il fare mobili su misura o riparare biciclette.

I progetti anche istituzionali non mancano.

Sì, in tal senso, ad esempio, il progetto Lombardia Style sull’alto artigianato lombardo ha molto contribuito a dare un’altra luce alle produzioni locali lombarde, così come a Venezia Homo Faber ha avuto una grande eco. Ma serve tempo affinché questa immagine del lavoro artigiano cambi e cambi anche lo spirito con cui i giovani si rivolgano a tale tipo di attività. Quindi c’è un problema di attrattività: i mestieri devono tornare ad essere interessanti.

È ovvio che un giovane preferisca andare a lavorare dai campioni delle nuove tecnologie piuttosto che affrontare una carriera più faticosa e difficile, per quanto magari in un percorso legato all’alto artigianato.

I programmi di formazione professionale sono adeguati per attrarre i giovani?

Dobbiamo senz’altro interrogarci, a livello locale, su quanto i percorsi formativi che abbiamo predisposto siano davvero all’altezza. Se dobbiamo coinvolgere un giovane dobbiamo essere certi che il percorso preparato per lui sia un investimento che una famiglia possa affrontare con serenità, fiducia e determinazione. Certo, i tempi non sono immediati nel raccogliere i frutti di iniziative come Homo Faber o Lombardia Style. Il tema dell’attrattività comporta investire, lavorare molto su corsi di formazione interessanti, capaci di coinvolgere i giovani. Una considerazione: oggi i giovani più che in passato si interrogano sull’aspetto economico.

Gli stipendi sono troppo bassi?

Le statistiche ci dicono che tanti ragazzi rimangono a lungo a vivere in famiglia non avendo le risorse per pagarsi un affitto, per comprare l’auto e per far fronte alle spese del vivere. Le imprese italiane, non solo le artigiane, pagano troppo poco. Dobbiamo iniziare a dire anche al mondo degli artigiani che se vogliamo portare nuove leve in questa filiera dobbiamo remunerare di più. Per gli artigiani ciò significa focalizzarsi necessariamente sulle attività a maggior valore aggiunto, fare meno cose ma più di qualità.

Quanto è difficile rendere attrattivo l’artigianato metalmeccanico?

Anche loro devono lavorare sull’immagine del lavoro e delle aziende.

C’è una responsabilità delle associazioni d’impresa nel promuovere adeguatamente i mestieri artigiani?

Non do pagelle, dico solo che oggi dobbiamo fare di più per rendere il comparto artigiano, che è un grande pezzo dell’economia italiana, più interessante e competitivo. Senza questo comparto il Made in Italy è a rischio. Si deve fare di più, si deve essere più incisivi.

Se per mille motivi non si riesce a coprire questo tipo di carenza bisogna dirselo, porsi su una linea più difensiva e ammettere che alcune attività riusciranno ad andare avanti e altre non riusciranno a farlo. Il problema ora va affrontato in modo più esplicito, più frontale. Capisco che possa essere faticoso, e in certi casi più doloroso e impegnativo: ma questo è un problema strutturale, ripeto non emergenziale, che se non affrontato continuerà. Bisogna metterci la testa e trovare una soluzione: pensare che il problema della mancanza di giovani disposti ad entrare nelle attività artigiane si risolva da sé mi sembra impossibile.

C’è stato un ruolo dei grandi gruppi industriali, settore della moda incluso visto che ha indotto a chiudere tanti piccoli laboratori sartoriali, nell’aver ridotto il ruolo dell’artigianato italiano a seguito di certe delocalizzazioni di forniture o di lavorazioni?

Le grandi marche della moda sono terrorizzate dalla scomparsa dell’artigianato italiano. Esiste un’alta qualità italiana che dipende dal nostro artigianato. Io credo che vada costruita un’alleanza con la grande impresa, che ha gli stessi problemi della piccola. Oggi la grande impresa si è attrezzata collaborando con gli Its.

Il passaggio dal dire “non troviamo candidati” a una dimensione strutturale del problema ha indotto a organizzarsi in modo diverso e credo che questa sia una strada a cui siamo chiamati come classe dirigente. Certo, ci sono meno persone e meno giovani, i quali hanno deciso di viaggiare e scegliere altre destinazioni. Oggi noi siamo chiamati a riflettere su come vivremo e su come faremo con un numero di persone che tenderà ancora a ridursi. Cosa offriamo ai giovani, a che condizioni sapendo anche quali sono i vincoli, in primis quelli economici.

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