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Made in Italy Claudio Feltrin, presidente di FederlegnoArredo: «Con un impatto al 25% anche la media-alta gamma ne risentirebbe»
Il mercato americano, unico tra i principali partner commerciali italiani a registrare una crescita nelle esportazioni lo scorso anno, rischia di subire un contraccolpo con l’introduzione dei dazi, il cui impatto potrebbe compromettere anche il settore dei beni di alta gamma.
«Se dovessero essere attivati, sarà fondamentale capire in che misura – afferma Claudio Feltrin presidente di FederlegnoArredo - In ogni caso, è certo che creerebbero significative difficoltà. Il mercato statunitense, secondo i dati Istat gennaio-novembre 2024, è l’unico tra i primi cinque Paesi nei quali le nostre esportazioni hanno registrato un segno positivo, con un incremento del 1,4%. Francia, Germania, Regno Unito e Svizzera, hanno segnato tutti risultati negativi. Quindi l’unico mercato che stava vedendo un segno positivo potrebbe essere minacciato e questo rappresenta una preoccupazione reale».
Sul termometro dell’inquietudine, la colonnina si alza o si abbassa a seconda dell’entità dei dazi. Se fossero al 5% «l’impatto sarebbe limitato, poiché esportiamo prodotti di media-alta gamma». Se invece arrivassero al 25% «anche i prodotti di fascia medio-alta potrebbero risentirne negativamente». Come poter parare questi colpi non è semplice, costruire un mercato richiede anni: «Nel caso specifico del mercato americano, le nostre aziende sono presenti da oltre 50 anni e hanno raggiunto risultati con grande fatica, come abbiamo visto anche l’anno scorso. Tuttavia, se un semplice decreto del Presidente stabilisse che da domani scattano i dazi, ciò minerebbe il mercato alle fondamenta».
Trovare uno sbocco alternativo che possa compensare la perdita di quello americano è complicato: «Non è una questione di sostituire un mercato con un altro simile in termini di dimensioni, ma di trovare uno altrettanto significativo. Siamo un’industria di beni durevoli e inoltre il nostro settore si basa su un certo grado di gusto e cultura che non è così diffuso quando si esce dai Paesi più tradizionali, come Europa, Stati Uniti o Giappone. Si potrebbero considerare mercati promettenti, come gli Emirati Arabi, che hanno una performance percentuale di incremento interessante, su numeri ancora relativamente piccoli, ma non è che improvvisamente questi Paesi raddoppierebbero gli acquisti di mobili italiani».
Creare nuovi mercati richiede tempo e risorse, e ciò è ancor più difficile quando ci si trova di fronte a situazioni impreviste: «In Russia, dopo l’invasione della Crimea nel 2014, abbiamo assistito al crollo di un mercato che stava cominciando a performare molto bene per le nostre aziende. Successivamente, con l’aggravarsi della situazione geopolitica e la guerra in Ucraina, è diventato un mercato inaccessibile». Lo stesso è accaduto con la Cina negli ultimi anni: «L’inversione a U in termini politici, ha ridotto drasticamente i consumi dei nostri prodotti, nonostante questo mercato fosse ritenuto strategico e in forte crescita fino a pochi anni fa. Costruire quel mercato ha richiesto anni di lavoro e stavamo cominciando a vedere risultati soddisfacenti. Oggi non è più considerato il mercato del futuro, ma un mercato “occasionale”».
Tutto questo evidenzia quanto sia fragile il mercato internazionale e quanto sia difficile per le imprese italiane riuscire a sostenere il peso di cambiamenti improvvisi, come l’introduzione dei dazi, che potrebbero minare equilibri costruiti nel tempo. «Siamo di fronte a un grande punto interrogativo su come affrontare l’incertezza e preservare le posizioni in mercati cruciali come quello americano».
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