Economia / Como città
Venerdì 11 Ottobre 2024
Infermieri, cercasi “cura”: 176 iscritti per 249 posti. «Nel resto d’Italia va peggio»
Il focus A fronte di una forte domanda sociale, la professione non attrae più. Angeli, presidente della laurea dell’Insubria: «Sacrifici, studio e incertezze»
Sempre meno infermieri in Italia, con le immatricolazioni nelle università in calo in tutta la Penisola e i ragazzi che sembrano voler fuggire da un lavoro molto impegnativo, considerato non sufficientemente pagato per i sacrifici che richiede e sempre più difficile da gestire anche nei rapporti con i pazienti, in un sistema sanitario al collasso. L’infermiere, naturalmente, è chiamato a far fronte ai turni di notte, festività, oltre al fatto che, essendo sotto organico, spesso ci si ritrova davanti a doppi turni e il giorno di riposo slitta.
In una zona di confine con la Svizzera, poi, il rischio è che i nostri infermieri scappino verso il territorio elvetico, con il quale è difficile competere a livello economico. Una situazione che, dicono gli esperti, è destinata a peggiorare sempre di più, a meno che non ci sia presto un cambio di rotta. In questo quadro tutt’altro che rassicurante, però, ci sono anche delle buone notizie e arrivano dall’Università dell’Insubria, come spiega il presidente del corso di Infermieristica Fabio Angeli. Qui le immatricolazioni sono inferiori rispetto ai posti disponibili, però tengono un ritmo considerato soddisfacente.
Come stanno andando le immatricolazioni quest’anno?
A oggi all’Università dell’Insubria abbiamo già 176 immatricolati su 249 posti disponibili (100 a Varese, 99 a Como e il resto a Busto Arsizio, ndr) con gli scorrimenti tra le varie professioni sanitarie, il numero è destinato a salire. A livello nazionale ed europeo, comunque, la situazione è molto preoccupante. Negli ultimi mesi c’è stato un intervento della Conferenza Permanente e l’11 ottobre ci sarà a Roma un evento dedicato agli infermieri, proprio per capire cosa sta succedendo.
Quali sono, secondo lei, le cause di questa disaffezione dei giovani verso una professione che prima era ambita?
Le cause sono tante: innanzitutto la tipologia di lavoro che è cambiata e forse è anche poco pubblicizzata. Il ruolo dell’infermiere nel 2024 è molto diverso rispetto anche solo a 15 anni fa. Ora ci sono competenze diverse e una maggiore autonomia, ma forse non sempre passa il messaggio corretto di quale sia il reale ruolo. Secondo motivo, la decadenza del servizio sanitario nazionale; terzo, secondo me, anche il trattamento economico che viene dedicato a questa figura professionale, molto lontano dagli standard europei.
Tanti sacrifici non ripagati da un adeguato stipendio, quindi.
È così. Se non c’è dietro una vera e propria vocazione, i ragazzi non prendono questa strada. Bisogna fare il percorso di tre anni di università, poi volendo si può proseguire con la magistrale o il master, comunque è faticoso.
Un corso di laurea non facile per poi avere davanti a sé la prospettiva di 35/40 anni di lavoro senza la possibilità di una vera e propria carriera e uno stipendio base di fatto basso, come è quello italiano. Tutti gli operatori sanitari sono gravati da carichi assistenziali pesanti, calano gli infermieri ma anche i medici.
Una situazione tutt’altro che semplice.
Se non riusciamo a dare una sterzata nei prossimi anni, il palcoscenico non sarà tranquillo. Noi, come università, forniamo una qualità didattica superiore e al passo con i tempi, i nostri feedback infatti sono positivi. L’anno scorso siamo stati riconosciuti tra i primi dieci atenei italiani proprio per la nostra qualità didattica. Coinvolgiamo i ragazzi e facciamo corsi al passo con i t empi. Vicino a noi ci sono grandi atenei come, ad esempio, a Milano, ma non è tanto una questione di attrattività. Il problema è che ci sono tante università a poca distanza.
Il rischio, tra l’altro, è che i neolaureati possano poi “scappare” all’estero, verso condizioni lavorative e di stipendio migliori. È così?
Io sono presidente del corso di Infermieristica da tre anni e posso dire che una buona componente rimane sul territorio, intendo nella provincia o comunque nei dintorni. C’è sicuramente una quota non indifferente che cerca fortuna lavorativa soprattutto verso la Svizzera, dove il trattamento economico è diverso, anche se si tratta di un numero difficile da quantificare. I centri svizzeri, tra l’altro, sanno la qualità degli studenti che vengono formati in Italia, per loro è un investimento.
Spesso si sente parlare di aggressioni al personale sanitario. Anche questa percezione di una scarsa sicurezza, forse, può influire sulle scelte dei ragazzi?
Sicuramente bisognerebbe essere supportati anche dal punto di vista istituzionale, con garanzie sulla sicurezza, anche se mi rendo conto che non è facile.
Ormai comportamenti fuori luogo o aggressioni sono all’ordine del giorno.
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