Istruzione tecnica, quale identikit
per dare valore all’orientamento?

L’esperto La riflessione del manager Valerio Ricciardelli a partire dal piano del ministro dell’Istruzione Valditara: «Percorsi in linea con l’evolversi dell’economia globale»

Leggo sui media che il ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara sta facendo predisporre una “grande campagna di orientamento scolastico” che, con il coinvolgimento delle imprese, sarà in grado di fornire alle famiglie degli studenti che devono scegliere la scuola secondaria di secondo grado, una serie di informazioni sui settori che offrono le migliori prospettive occupazionali.

Scuola e mercato

Sempre nell’articolo si sostiene che l’intenzione di Valditara sembrerebbe che non sia solo quella di lasciare nelle mani dei soli docenti il compito di consigliare la scuola del futuro, ma di “consegnare a mamme e papà” un identikit dell’economia del nostro Paese in modo che via sia un incontro tra il sistema scolastico attuale e le competenze richieste dal mercato.

Si evidenzia anche, che il sindacato della scuola apprezzerebbe l’iniziativa, con qualche preoccupazione sollevata dalla Uil che teme che la grande campagna d’orientamento si possa tradurre in «una esaltazione degli istituti tecnici e professionali a scapito di una visione più ampia del sistema educativo», sottolineando che la scuola non possa essere asservita al mercato per soddisfare le esigenze che a quel contesto appartengono.

Prendendo per buone queste notizie, mi sento di dire che finalmente siamo entrati nel cuore del problema, che è comunque multifattoriale e quindi complesso, su cui ho già scritto in precedenza su questo giornale e pubblicato il saggio dal titolo: “Ricostruire l’istruzione tecnica. Ultima chiamata per rimanere la seconda manifattura in Europa, salvare la nostra economia e preservare il nostro welfare” Su questa novità occorre però fare alcune importanti osservazioni.

Ispirarsi al rapporto Draghi

Conoscere il modello economico del Paese, e quindi farne un identikit, soprattutto per la parte industriale, quella più bisognosa di competenze nuove e di tecnici, significa conoscere e rappresentare molto bene il mondo delle imprese, secondo un modello e linguaggi che si ispirano a grammatiche e sintassi adeguate. Ne scrivo approfonditamente nella seconda parte del libro.

Nell’identikit, però, non ci si deve fermare ai confini domestici, essendo la nostra economia intimamente legata a quella di altri Paesi, a partire dalla Germania, ed intrecciata con aziende straniere in complesse supply chain, dove spesso le nostre imprese anche per la loro dimensione sono l’anello debole della catena. Occorre uno sguardo di scenario e un identikit che porti, concretamente, a riflettere ben oltre gli orizzonti attuali.

I confini dell’identikit si devono allargare secondo quanto è scritto nel rapporto Draghi, sull’assoluta urgenza del rilancio della competitività dell’Europa. Questa è la vera sfida per tutti.

Ma l’identikit quali informazioni dovrebbe dare?

Consapevoli del sistema aziendale

Lo scopo dell’iniziativa ministeriale, sembrerebbe che sia di orientare i giovani a scegliere un percorso di istruzione secondaria coerente a dove sta andando il Paese, osservando però il mondo intero, perché siamo in una economica globale interconnessa.

È evidente che l’economia di cui abbiamo bisogno, anche per salvaguardare il nostro welfare, è prevalentemente l’economia industriale del manufacturing avanzato, che comprende anche i servizi associati. Questa economia ha da tempo ridefinito il repertorio delle professioni tecniche e molte di queste cambieranno continuamente nelle loro competenze fondamentali nel prossimo futuro. Di tutto ciò si sa poco.

Purtroppo, i tecnici non sono presenti in quantità e qualità per soddisfare i bisogni delle aziende, che non sono solamente quelli del momento, ma che dovrebbero essere anche quelli che identificano i fattori di competitività individuati da Draghi, sui quali si gioca il futuro dell’Europa e anche del nostro Paese che è la seconda manifattura europea.

Questi fattori riguardano la capacità di fare innovazione, almeno medium tech e di incrementare la produttività del nostro sistema industriale che è piatta da decenni, con un costo del lavoro per unità di prodotto continuamente in salita- mentre quello degli altri Paesi è stabile- e che non si abbassa con politiche salariali al ribasso o contratti precari.

Bisogna avere consapevolezza di come è fatto il nostro sistema economico industriale, perché è particolare; aiuterebbe la lettura del libro “Trasformazione aziendale. Percorsi di management per rinnovare le aziende imprenditoriali italiane”, autori Carminati-Farinella-Gnoato.

Allora, l’identikit dell’economia servirebbe per costruire finalmente, un percorso di orientamento scolastico che indichi ai potenziali discenti come effettivamente è fatto il mondo del lavoro, da un punto di vista economico.

Poi andrebbe spiegato anche da un punto di vista della dimensione dell’employability, argomento costantemente disatteso. Certamente nella campagna di orientamento scolastico ci sarà anche la “temuta esaltazione” da parte della UIL scuola, degli istituti tecnici e professionali per favorire il lancio delle riforme che, in qualche modo, dovrebbero attenuare il famoso disallineamento tra domanda e offerta di tecnici di cui ho scritto molte volte.

Non percorso di serie B

Meglio “esaltare” l’istruzione tecnica e professionale nella sua configurazione attuale, anche se non è un sistema di eccellenza e ha bisogno di essere ricostruita con una rivoluzione copernicana come ho scritto nel libro, piuttosto che proseguire con un orientamento inadeguato che faccia percepire all’opinione pubblica che questi percorsi scolastici siano di serie B e di serie C, rispetto a quelli liceali.

Il potenziamento dell’istruzione tecnica e dell’istruzione professionale, coerente però con l’evoluzione dell’economia mondiale, e non solo come risposta on demand ai bisogni del momento, che la collocano nella fattispecie di un sia pur necessario addestramento professionale, con l’aumento significativo degli iscritti non produrrà nessun danno ai percorsi liceali “a scapito di una visione più ampia del sistema educativo”.

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